Le Olimpiadi della distensione
Così come nel 1971 il ping-pong fu fondamentale nell’apertura diplomatica tra Stati Uniti e Cina, i sostenitori di una rappacificazione vedono i Giochi come l’inizio di una nuova fase nei rapporti tra le due Coree. L'analisi di Gaia Rizzi per AffarInternazionali
La partecipazione della Corea del Nord alle Olimpiadi invernali di PyeongChang rappresenta una svolta significativa nelle relazioni inter-coreane, che suggerisce un possibile cambio di rotta dopo un 2017 segnato da minacce nucleari e tensioni politiche.
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Se i leader coreani – Kim Jong-un per il Nord e Moon Jae-in per il Sud – sembrano apparentemente disposti a sedersi al tavolo dei negoziati, il coinvolgimento di Pyongyang sta già dimostrando la sua efficacia nel mettere in difficoltà il presidente americano Trump e nell’indebolire l’assetto geopolitico regionale.
Sebbene manchi ancora qualche giorno all’inizio formale delle Olimpiadi, Kim sembra sulla strada giusta per ritagliarsi una posizione di rilievo in quella che da competizione sportiva si sta trasformando in un ben più significativo gioco di potere.
Con Kim Jong-un che sta dimostrando di possedere una certa razionalità strategica e con Trump messo sulla difensiva per contenere la minaccia propagandistica nordcoreana, l’attenzione è adesso sull’agenda politica di Moon e sullo svolgimento dei Giochi olimpici che avranno inizio venerdì 9 febbraio.
E alla cui inaugurazione Pyongyang invierà – a ulteriore dimostrazione dell’importanza attribuita alla tregua olimpica – il 90enne presidente dell’Assemblea popolare suprema Kim Yong-nam (che potrebbe così finire a pochi metri di distanza dall’ospite Usa, il vicepresidente Mike Pence).
Lo sport come arma diplomatica
Così come nel 1971 il ping-pong giocò un ruolo fondamentale nell’apertura diplomatica tra Stati Uniti e Cina, i sostenitori di una rappacificazione sulla penisola coreana vedono le Olimpiadi invernali del 2018 come l’inizio di una nuova fase nei rapporti tra le due Coree.
La decisione di Kim Jong-un di far partecipare il suo paese alle Olimpiadi ospitate dalla Corea del Sud – annunciata durante il discorso di Capodanno – ha infatti portato le delegazioni coreane a incontrarsi per la prima volta in più di due anni.
Il 9 gennaio, la “Casa della Pace” a Panmunjom – un edificio nei pressi della zona demilitarizzata, dove gli eserciti di entrambe le parti si fronteggiano da ormai 65 anni – è stato scelto come luogo per negoziare la partecipazione nordcoreana ai Giochi.
Come risultato di questo incontro, per la prima volta in oltre dieci anni i rappresentanti della Corea del Nord e della Corea del Sud sfileranno sotto un’unica bandierabianca e blu, simbolo di una Corea unita. L’ultima volta era accaduto a Torino, in occasione dei Giochi invernali del 2006.
Saranno 22 gli atleti nordcoreani autorizzati dal Comitato olimpico internazionale a competere in tre sport e cinque discipline, tra cui pattinaggio artistico (gli unici cittadini della Repubblica popolare democratica a qualificarsi a PyeongChang erano stati proprio Ryom Tae-ok e Kim Ju-sik, che gareggiano in coppia), sci alpino e hockey.
Moon e il prezzo della tregua olimpica
Se l’atteggiamento riconciliatorio espresso da Kim sembra finalmente dare a Moon la tanto attesa opportunità di intraprendere una distensione a livello diplomatico con il vicino Nord, questa decisione vista da Seul porta però con sé un prezzo politico che il presidente sudcoreano sta già iniziando a pagare.
Da un lato, la determinazione di Moon di fare di questi Giochi un evento imperdibile sta rischiando di creare una frattura tra governo e cittadini.
I sudcoreani più patriottici stanno infatti dimostrando tutta la loro insoddisfazione rispetto alle misure adottate all’ultimo minuto per consentire agli atleti nordcoreani di prendere parte alle Olimpiadi.
In linea con lo spirito competitivo dell’evento, in un recente sondaggio oltre l’80 per cento degli intervistati si è dichiarato contrario alla decisione di integrare alcune atlete nordcoreane nella squadra di hockey femminile sudcoreana in quanto, benché si tratti di una mossa politicamente strategica e potenzialmente benefica per la stabilità della penisola, essa rischia di penalizzare la Corea del Sud nella competizione.
Dall’altro lato, Moon si trova indebolito a livello politico e tallonato dall’opposizione conservatrice, i cui esponenti lo accusano di essere eccessivamente disponibile nei confronti di Kim e ingenuamente ottimista riguardo il reale valore di questa tregua.
Una tale preoccupazione è condivisa pure dagli altri Paesi che sono maggiormente coinvolti nella crisi nucleare coreana, primi fra tutti Giappone e Stati Uniti, i quali temono che queste Olimpiadi si trasformino in una pericolosa opportunità di propaganda per il regime più oppressivo al mondo.
Non a caso Pence ha annunciato che guiderà la delegazione a stelle e strisce anche con lo scopo di contrastare e smontare il più possibile la propaganda nordcoreana.
Dati i toni bellicosi dimostrati da Kim negli ultimi mesi, la scelta di partecipare alle Olimpiadi è stata accolta da molti come una decisione inaspettata che suscita dubbi e interrogativi riguardo le reali intenzioni del leader nordcoreano.
Tuttavia, dal bisogno di veder diminuire le sanzioni contro il regime di Pyongyang all’interesse strategico di allontanare Moon da Trump e approfittare dell’attenzione mediatica per riconfermare la propria potenza militare (come nel caso della parata che si terrà la sera prima della cerimonia di apertura dei Giochi), la richiesta della Corea del Nord di partecipare alle Olimpiadi di PyeongChang non si può dire disinteressata o casuale.
Opzione bellica ancora all’orizzonte
Quello che colpisce, però, è l’impatto di questa decisione oltre i confini coreani. Il riavvicinamento fra Kim e Moon sta infatti aggravando la spaccatura della comunità internazionale sulla questione nordcoreana.
Se a Vancouver gli Stati Uniti, probabilmente messi alle strette dall’inaspettata strategia di Pyongyang, si sono riuniti di recente con altri 19 Paesi (tra cui l’Italia) per discutere del rafforzamento delle sanzioni contro la Corea del Nord, dall’altra parte del mondo Cina e Russia hanno fortemente criticato la mentalità da Guerra Fredda del summit canadese in quanto controproducente per risolvere in modo efficace le tensioni sulla penisola coreana.
Nonostante la significativa riduzione delle tensioni, Stati Uniti e Corea del Nord non hanno mancato di sottolineare come entrambi non abbiano accantonato l’eventualità di un conflitto.
Se a Pyongyang rimane la convinzione che gli Stati Uniti si stiano preparando a una guerra preventiva – come potrebbe suggerire la presenza di sei bombardieri strategici nella base statunitense di Guam –, l’amministrazione americana segue in allerta gli sviluppi ormai imprevedibili sul territorio coreano.
A poche ore dal via alle Olimpiadi, la comunità internazionale osserva con attenzione le mosse di Kim, Moon e Trump, consapevole che un minimo incidente potrebbe velocemente trasformarsi nel casus belli di un conflitto dalle conseguenze disastrose.
A cura di Gaia Rizzi