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Obama, ancora lui

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Barack Hussein Obama ha vinto un secondo mandato, sconfiggendo il repubblicano Mitt Romney. Ora ha davanti a sé quattro anni cruciali

Obama, ancora lui

Barack Obama si conferma presidente degli Stati Uniti e conquista il secondo mandato. Dopo mesi di agguerrita campagna elettorale e un inizio sottotono, il presidente riesce a recuperare il consenso negli stati chiave, assicurandosi buona parte della East Coast, la Florida e l’Ohio, sempre più ago della bilancia. Per Mitt Romney la quasi totalità degli stati del sud.

Solo qualche settimana fa Obama aveva deluso nel primo faccia a faccia a Denver, apparendo dimesso e sulla difensiva davanti alle bordate di Romney. È possibile che in questa ripresa un ruolo non da poco sia stato giocato dal cosiddetto ‘effetto Sandy’: gestendo con perizia l’emergenza uragano, Obama è apparso di nuovo come un leader degno di questo nome; Sandy ha inoltre rinfocolato il dibattito sul riscaldamento globale, un problema che Obama è sembrato poter risolvere meglio del Repubblicano. Proprio l’agenda verde di Obama, infatti, gli ha conquistato l’endorsement del sindaco di New York Michael Bloomberg, secondo Repubblicano – dopo Colin Powell – ad appoggiare la candidatura del presidente democratico.

E poi il tema delle tasse, sul quale il presidente aveva giocato buona parte della propria candidatura (scommessa vinta se si pensa che più della metà dei votanti di questa notte è favorevole all’incremento delle tasse), promettendo un netto aumento della pressione fiscale per i ceti più abbienti, quelli che superano i 250 mila dollari annui, e garantendo incentivi alle imprese per rilanciare l’economia accompagnati da maggiori investimenti nel campo dell’istruzione e della ricerca. Nel 2008, Obama si era presentato al grido di ‘Change’, Cambiamento. Questa volta, lo slogan è ‘Forward’, Avanti, una promessa di continuità con le politiche avviate in questi primi quattro anni e la voglia di non fermarsi alle prime difficoltà, non poche se pensiamo alle difficili trattative per la rateizzazione del debito o al complicato percorso dell’assistenza medica.

Ma sono molte anche le sfide anche fuori dai confini americani: dallo stallo in Afghanistan (da cui Obama vorrebbe ritirarsi entro il 2014) fino alla polveriera del Medioriente – dove la tensione fra Iran e Israele è ormai alle stelle. La politica estera di Obama dovrà fare i conti anche con questioni non militari, ma altrettanto vitali: la continuazione della ‘reset policy’ con la Russia di Putin, i rapporti con una Cina in trasformazione, l’immigrazione e i traffici illeciti provenienti dal Messico. Infine, dovrà decidere cosa fare con la crisi in Europa – una questione mai emersa in campagna elettorale ma da cui l’inquilino della Casa Bianca non potrà prescindere. Appare evidente come da domani il presidente dovrà tornare a occuparsi dei tanti problemi che affliggono l’America. Da domani, appunto. Per qualche ora si potrà festeggiare e a Chicago è già un pullulare di bandiere e striscioni.

A cura di Gian Maria Volpicelli da Boston e Andrea Lezzi da Rochester, New York.

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