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Le nuove rotte dei migranti: dalla Turchia all’Italia in barca a vela

Immagine di copertina

Con Federico Fossi di Unhcr, TPI ha spiegato per punti cosa sta accadendo nel Mediterraneo: quali sono le nuove rotte e chi sono i migranti che ne usufruiscono

I movimenti migratori nel Mediterraneo non si fermano. Complice il tempo mite degli ultimi mesi e le nuove rotte individuate dagli scafisti, i migranti che tentano una via di salvezza verso l’Europa sono ancora molti.

A confermarlo è l’aggiornamento del rapporto “Desperate Journeys” rilasciato pochi giorni fa da Unhcr, Agenzia ONU per i rifugiati, che evidenzia i cambiamenti in atto nelle rotte usate da rifugiati e migranti per raggiungere l’Europa nel terzo quadrimestre del 2017.

Secondo il rapporto, nel corso del terzo quadrimestre dell’anno è fortemente aumentato il numero di persone che sono arrivate in Italia partendo dalla Tunisia, dalla Turchia e dall’Algeria, e la maggior parte degli arrivi in Europa, lungo la rotta del Mediterraneo sono costituti da persone di nazionalità siriana, marocchina e nigeriana.

A cambiare sono i percorsi intrapresi e le imbarcazioni utilizzate dai migranti che, a seconda delle loro disponibilità e necessità, sono costretti a sborsare fino a 6mila euro per tratta.

Come rivelato dal quotidiano La Stampa, si sale a bordo di barche a vela – più discrete e sicure – pagando una cifra che raggiunge i 6mila euro, con uno sconto del 50 per cento riservato ai bambini. Si parte dalle coste meridionali della Turchia e poi lo skipper punta verso il sud dell’Italia. Si sbarca in un porto minore e, se tutto va bene, si fugge a piedi.

Gli agenti di Europol stanno monitorando la situazione e fanno sapere di aver già intercettato 160 imbarcazioni. C’è un identikit preciso dei trafficanti: il business è nelle mani di gruppi criminali transnazionali. Gli skipper sono ucraini, russi, bielorussi e georgiani. 

Chi attraversa oggi il Mediterraneo alla ricerca di una salvezza, affronta una situazione molto critica, con poche Ong rimaste in campo a compiere i salvataggi: ne sono rimaste 5 e dispongono di un paio di grandi navi più 5 imbarcazioni più piccole, tipo pescherecci. Una di loro, la tedesca Iuventa, è sotto sequestro a Trapani per le indagini in corso. 

Procedendo per punti, TPI ha ascoltato il parere di Federico Fossi di Unhcr, che ha spiegato cosa sta accadendo nel Mediterraneo.

Arrivi: numeri e rotte

“Il trimestre luglio-agosto-settembre è stato caratterizzato da cambiamenti importanti nelle rotte utilizzate da migranti e rifugiati, principalmente in riferimento al calo di arrivi dal Mediterraneo centrale”, spiega Fossi.

Abbiamo registrato aumenti dei flussi migratori su altre rotte, principalmente quelle del Mediterraneo orientale e occidentale. La rotta dal Marocco alla Spagna, ad esempio, ha registrato un aumento del 90 per cento, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Inoltre, in questi mesi, è ripreso il flusso attraverso il mar Egeo: a settembre, quasi 5mila persone hanno raggiunto le isole del mar Egeo.

Rispetto al Mediterraneo centrale si sono riscontrati aumenti di arrivi dalla Turchia e dalla Tunisia in Italia. Quello della Tunisia è l’aumento più considerevole, quantificato in oltre 1000 persone arrivate nel mese di settembre.

Le nuove rotte dei migranti. Wiki.

“La cosa importante”, spiega Fossi, “è verificare se c’è una correlazione tra il calo degli arrivi su una rotta e l’aumento su un’altra, e questo lo si può fare analizzando il paese di origine delle persone che arrivano”. 

Come successe quando fu firmato l’accordo sui migranti a marzo 2016 tra Unione europea e Turchia, si riscontrò un aumento degli arrivi nel Mediterraneo centrale, ma Unhcr dimostrò che non c’era correlazione tra le due cose poiché i migranti provenivano da paesi differenti.

“L’aumento dei migranti dalla Turchia è un trend che abbiamo riscontrato negli ultimi anni durante il periodo estivo: si tratta di migranti o rifugiati che si nascondono in imbarcazioni turistiche o in barche a vela”, spiegano da Unhcr.

Chi sono i “passeggeri”

“Erroneamente si parte dal presupposto che chi si può permettere di pagare i trafficanti per attraversare il mare fa parte di una categoria di migranti e rifugiati privilegiati, per via degli ingenti esborsi economici”.

“Bisogna specificare, però”, prosegue Fossi, “che questi soldi sono il risultato di operazioni – come accade in Siria e Libia – in cui le persone vengono rapite e poi riscattate dalle famiglie. Senza tener conto dei mesi di prigionia, di violenze e stupri che i migranti vivono durante i loro viaggi”. 

Il caso della rotta dalla Turchia e la bufala dei migranti “ricchi”

Nel caso della rotta dalla Turchia, i viaggi sono di tipo differente, come sono diversi i trafficanti e i migranti che compiono i trasbordi.

“Come abbiamo visto già dal 2015 in poi, chi arriva dalla Siria ha un tenore di vita un po’ più elevato di chi arriva dall’Africa subsahariana. Iracheni e siriani possono permettersi di pagare di più.

“Non dimentichiamoci che chi è costretto a fuggire da guerre e persecuzioni proviene da classi sociali che possono essere molto diverse tra loro. Si tratta anche di professionisti che magari avevano maggiori disponibilità economiche perché svolgevano lavori anche di alto livello che poi improvvisamente si sono trovati costretti ad abbandonare il proprio paese”, spiega Fossi.

“Altre possono essere persone che hanno trascorso molto tempo per mettere da parte i soldi necessari. Pensiamo ad esempio agli afghani: oramai è noto che tanti minori afghani spesso hanno impiegato anni per percorrere la strada dall’Afghanistan all’Europa, proprio perché questi minori sono costretti a fermarsi per mesi o anni nei paesi in cui transitano: Pakistan, l’Iran, Turchia fino alla Grecia”, spiegano da Unhcr.

“Questi giovanissimi migranti e rifugiati spesso devono fermarsi per anni in questi paesi per lavorare e pagarsi il prossimo segmento del loro tragitto. C’è chi ha fatto grossi sacrifici, chi aveva maggiore disponibilità economiche, ma il rifugiato in sé come concetto, porta dietro proprio la costrizione della fuga, non esistono classi sociali”. 

Le attività in Libia

“L’operare in Libia fa parte del nostro mandato: quello di assistere le persone che si trovano in Libia è un imperativo umanitario. Sfollati o rifugiati”, precisa Fossi.

“Detto questo, ci opponiamo alla detenzione nei centri libici. Il fatto che abbiamo un accesso parziale a questi centri non vuol dire che approviamo cosa avviene all’interno, è il mandato che impone di visitarli e monitorare le condizioni di queste persone, verificare chi necessita di protezione internazionale e giungere alla loro liberazione”.

Finora Unhcr è riuscita a liberare 947 persone dai centri ufficiali, e nel 2016 altre 600.

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