Noi gay ceceni costretti a far cadere i nostri partner nelle trappole della polizia
Due uomini raccontano come sono stati arrestati e maltrattati nella regione russa dove almeno un centinaio di omosessuali sono stati sequestrati e torturati
Quando Gregory è stato arrestato, la polizia è entrata nel suo cellulare e nei suoi account social. Lo hanno costretto a contattare un ragazzo con cui stava uscendo e a fissare un appuntamento. Poi lo hanno condotto nel luogo dov’era stato fissato l’incontro e hanno arrestato anche lui.
Gregory ha 21 anni e racconta di essere stato sequestrato e detenuto per 12 giorni in uno scantinato, dove è stato picchiato e interrogato. Molte storie simili alla sua hanno iniziato a diffondersi da aprile 2017 quando il giornale Novaya Gazeta ha portato alla luce gli arresti di oltre cento omosessuali nella regione nel sudovest della Russia a causa del loro orientamento sessuale.
“Hanno messo un sacchetto di plastica nero sulla mia testa e mi hanno puntato una pistola”, ha raccontato Gregory alla radio statunitense Npr, utilizzando un nome di fantasia per proteggere la sua identità. “Mi hanno fatto chiamare l’altro ragazzo e dirgli di venire in macchina, poi hanno rapito anche lui”.
Questo è uno dei modi in cui in Cecenia un numero sempre maggiore di omosessuali è stato imprigionato dalla polizia: chi veniva arrestato era costretto a fare i nomi dei partner.
La notizia è stata poi confermata in un rapporto dell’ong Human Rights Watch. Il governo federale russo si è impegnato a indagare, ma secondo le organizzazioni a tutela dei diritti umani, il clima di paura e il timore di ritorsioni impedirà alle vittime di confessare i soprusi subiti agli investigatori.
Il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha negato più volte l’esistenza di una campagna anti-gay nel paese e a maggio 2017 ha dichiarato che le persone gay non esistono in Cecenia.
“Mi hanno detto che non ero un essere umano e che meritavo di essere ucciso”, racconta Gregory, che poi è stato rilasciato, probabilmente perché non ha origini cecene. Ha dovuto lasciare la regione.
Alla radio Npr si ascolta la storia di Arnie, ha appena 18 anni e dopo essere stato arrestato e ferito gravemente ha trascorso quasi due settimane in coma. Non ricorda nulla, può solo riferire quello che gli ha raccontato un parente. Dopo essere scomparso Arnie è stato riportato a casa incosciente, dentro un sacco di tela.
“Alcuni ragazzi sono venuti in casa e hanno detto ai miei genitori: ‘Questo è tuo figlio, è un omosessuale’ “. Suo zio lo ha afferrato per il collo, pronto a strangolarlo. Si è fermato solo perché Arnie era già in fin di vita.
Settimane dopo, quando si è svegliato in ospedale, i membri della sua famiglia sono entrati nella stanza e gli hanno detto che lo avevano rinnegato. Arnie pensa che sia a causa della loro fede musulmana. Durante il Ramadan si sente al sicuro, ma una volta finito il mese sacro teme che suo zio provi a rintracciarlo e a ucciderlo.
Secondo Human Rights Watch le famiglie cecene sono state “incoraggiate indirettamente” ad uccidere i loro figli o nipoti gay per “ripristinare” l’onore della famiglia.