Arrivata a Genova nave carica d’armi diretta in Arabia Saudita. Portuali a TPI: “Qui rischia di esplodere tutto”
Nave Bahri Jeddah al porto di Genova | Arabia Saudita | Guerra in Yemen | Dati export
Nave armi Genova Arabia Saudita Yemen – “La nave è entrata stamattina, 11 luglio, alle sei e dal personale che vi lavora sappiamo che ci sono molte armi a bordo”, dichiara Rosario Carvelli, del Collettivo lavoratori portuali di Genova, delegato sindacale della Cgil. Il materiale bellico si trova al primo piano della nave della compagnia saudita Bahri Jeddah. Ripartirà nel pomeriggio e arriverà a Jeddah, in Arabia Saudita, il 20 luglio. Contro questa compagnia i portuali avevano protestato anche lo scorso maggio bloccando il carico di alcuni generatori ad uso militare. I sauditi infatti avrebbero potuto impiegarli nella guerra in Yemen.
Sono state messe delle guardie armate al controllo dell’accesso della nave che impediscono di entrare a tutti i lavoratori che non sono direttamente coinvolti nell’operazione. A Genova non si imbarcheranno armi, solo impianti e tubature per l’estrazione del gas. “Sulla nave ci sono 12 containers di esplosivi e 15 velivoli Boeing Chinook 15 CH-47 F di produzione statunitense destinati all’Indian Air Force: un supermercato della morte”, dichiara.
“La nave proviene dal North Carolina dove normalmente vengono imbarcati i carri armati di produzione americana destinati all’Arabia Saudita. La compagnia tocca il porto di Genova venti volte l’anno, arriva all’incirca una volta ogni venti giorni, è una sorta di taxi. Dall’Arabia Saudita poi i carri armati vengono ricaricati e riportati in America quando hanno bisogno del tagliando”, prosegue.
Il problema della sicurezza nel porto
I lavoratori restano preoccupati, la sicurezza nel porto civile è messa in pericolo dalla presenza di navi cargo cariche di armi. Sono infatti i portuali genovesi a doversi muovere dentro e fuori dalla nave per caricare i materiali in porto.
“Siamo noi che dobbiamo lavorarci e che entriamo in contatto con questo tipo di materiale. Qui se per qualche motivo prende fuoco qualcosa esplode tutto. La sicurezza in porto è pari a zero. Nel porto civile non è prevista la presenza di questo tipo di materiale e di conseguenza non siamo nemmeno a conoscenza di un piano d’emergenza per fronteggiare eventuali incidenti. I container vengono normalmente tenuti scoperti al primo piano per evitare che una possibile esplosione si propaghi agli altri container presenti sulla nave. Questa è l’unica forma di precauzione esistente.”, dichiara.
Nel pomeriggio i portuali lanceranno un comunicato per chiedere che la compagnia saudita cessi del tutto di fare scalo a Genova. “Chiederemo appoggio ai sindacati. Se la Bahri se ne va non è a repentaglio il posto di lavoro di nessuno, la compagnia non porta nessuna ricchezza al porto, noi continuiamo a lavorare anche senza di lei. Esporci su questa questione per noi non è un rischio ma una medaglia al petto”.
Nave Bahri Jeddah al porto di Genova | I precedenti scali della Bahri in Italia e la protesta dei portuali
La compagnia è la stessa che il 20 maggio tentò di caricare al porto di Genova un generatore della Teknel, società con sede a Roma, che nel 2018 ha ricevuto l’autorizzazione ad esportare questo tipo di prodotto in Arabia Saudita per una fornitura di 7,829 milioni di euro. Allora il carico fu bloccato dai portuali. Il 19 giugno prima dell’arrivo di una seconda nave l’agenzia marittima Delta che rappresenta in porto la compagnia saudita ha rinunciato a caricare gli 8 generatori che potevano essere destinanti ad uso militare. Il merito è della protesta organizzata dai portuali. Ottengono questo risultato dopo un nuovo presidio sotto la sede dell’autorità portuale.
Che fine hanno fatto i generatori militari sulla nave saudita
L’agenzia aveva dichiarato ai portuali che i generatori sarebbero stati portati via attraverso camion. Da alcune fonti interne al porto adesso sappiamo anche come è andata a finire. Il carico è stato portato ad Anversa e da qui pare che sia ripartito per l’Arabia Saudita via aereo per evitare “problemi” con i porti. La nave Bhari invece dopo essere stata bloccata dai portuali ha proseguito per il porto di Cagliari caricando nella notte del materiale. Le associazioni attive a Cagliari sospettano che il materiale imbarcato fossero le bombe provenienti dalla fabbrica di armi RWM di Domusnovas. L’azienda è una filiale del colosso tedesco degli armamenti Rheinmetall e produce bombe d’aereo MK 84 con cui l’aviazione saudita bombarda dal 2015 la popolazione civile, in una guerra contro i ribelli sciiti zaiditi Houthi.
Nave Bahri Jeddah al porto di Genova | La guerra in Yemen e lo stop all’export da parte della Camera dei Deputati | I dati export
In Yemen da allora si contano oltre 17.000 vittime civili. Secondo gli ultimi dati Oxfam 24,1 milioni di abitanti su 28,5 dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere e nel Paese è scoppiata un’epidemia di colera che ha già contagiato 1,3 milioni di yemeniti.
Il 26 giugno la Camera dei Deputati ha approvato una mozione per il blocco dell’esportazione e del transito di bombe d’aereo e missili verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ma dalla mozione restano ancora fuori le armi leggere: pistole e fucili continueranno a essere vendute. Nel corso del 2018, secondo i dati riportati da Giorgio Beretta sul Manifesto, l’Italia ha inviato in Arabia Saudita 1,3 milioni di dollari di armi leggere di cui 129.746 di pistole e revolver e 1.202.268 di fucili. Mentre stando ai numeri del Tesoro il governo saudita ha versato circa 2,8 milioni all’italiana Beretta. I dati della relazione governativa pubblicata a maggio di quest’anno ci dicono inoltre che l’Italia ha autorizzato la vendita di 13,3 milioni di euro di armi ai sauditi. Il business non si ferma.