Che fine hanno fatto i 500 migranti scomparsi in mare da quattro giorni?
Quarantuno superstiti hanno detto di aver assistito al naufragio dei propri compagni di viaggio. Le ricostruzioni delle loro testimonianze
Si teme che centinaia di persone siano annegate o ancora disperse nel Mediterraneo in quello che potrebbe essere il peggiore naufragio di migranti degli ultimi mesi.
Un’imbarcazione con a bordo oltre 500 persone è affondata al largo delle coste orientali della Libia, secondo quanto emerge dalle dichiarazioni di alcuni compagni di viaggio sopravvissuti alla tragedia, gli unici testimoni dell’incidente.
I superstiti sono 41 migranti, provenienti da Somalia, Egitto, Etiopia e Sudan: 37 uomini, tre donne e un bambino di tre anni. Sono stati recuperati in mare e successivamente tratti in salvo.
Funzionari dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) hanno raccolto le dichiarazioni di alcuni fra questi sopravvissuti, i quali sostengono che il naufragio è accaduto mentre i trafficanti di uomini tentavano di trasferire un gruppo di migranti su un battello più grande.
In sostanza due differenti gruppi di migranti – a bordo di due diverse imbarcazioni – sono stati fatti incrociare al largo delle coste dai trafficanti di esseri umani. Il primo gruppo, quello che poi è riuscito a salvarsi – partito da Tobruk, in Libia – doveva essere trasferito sul battello più grande.
Nel corso del trasferimento, complice il sovrappeso delle persone imbarcate e il caos generale, si è verificato l’incidente. I superstiti hanno dichiarato di aver assistito al naufragio dei loro compagni.
Da quel momento, i migranti a bordo dell’imbarcazione più piccola sono rimasti alla deriva prima di venire incrociati da un mercantile battente bandiera filippina, che li ha tratti in salvo e poi trasportati sino a Kalamata, nel sud del Peloponneso, in Grecia, secondo quanto ci ha spiegato Carlotta Sami dell’Unhcr.
Le autorità greche hanno dichiarato che i superstiti – una volta tratti in salvo – non hanno inizialmente riferito della tragedia né ai soccorritori né alla polizia. Un portavoce dell’Unhcr in Grecia sostiene di aver parlato con alcuni dei sopravvissuti grazie all’aiuto di un interprete e di aver ottenuto conferma che le testimonianze dei superstiti concordano nei contenuti.
La data precisa del naufragio non è chiara, ma il gruppo di superstiti è stato intercettato dal mercantile il 16 aprile. La posizione in mare indica che i migranti si potrebbero essere trovati a est della Libia, quasi al confine con l’Egitto, un’area in cui non operano le navi della Marina militare italiana, secondo quanto ci hanno riferito fonti interne alla Marina Militare italiana.
Il che ha escluso sin da principio un possibile intervento delle forze navali italiane, che non hanno ricevuto alcuna segnalazione in questo senso. La Marina, tra l’altro, ancora oggi non è in grado di confermare quanto riportato dai superstiti.
La zona di mare in cui l’incidente è stato riportato è tradizionalmente meno battuta dai migranti rispetto alla tratta balcanica o a quella a ridosso del canale di Sicilia, tra il porto di Zuara e Tripoli.
Sono ancora poche le cose chiare di questo incidente, ma la casualità vuole che l’ennesimo dramma in mare si sia ripetuto quasi esattamente a un anno dall’anniversario dell’episodio più terribile del Mediterraneo, avvenuto il 18 aprile 2015 nel canale di Sicilia, in cui morirono oltre 800 persone. In quell’area di mare ancora oggi sono in corso le operazioni di recupero corpi delle vittime che persero la vita quel giorno.
Se questo naufragio dovesse venire ufficializzato, il bilancio delle vittime nel “grande cimitero” del Mediterraneo arriverebbe a 1.000 morti dall’inizio del 2016.
Il ministro dell’Informazione somalo Mohamed Abdi Hayir ha confermato la tragedia e ha detto che non è ancora certo il numero dei dispersi.
“Non sappiamo il numero preciso di dispersi, ma oscilla intorno ai 200-300”, ha detto.
Il dipartimento dell’Immigrazione somalo ha confermato che la maggior parte dei cittadini somali rimasti uccisi in questa tragedia del Mediterraneo aveva attraversato il Sudan per raggiungere le coste del Nord Africa prima di intraprendere la traversata via mare. Per questo motivo dal 19 aprile nessun cittadino somalo potrà recarsi in Sudan con l’eccezione di chi fa parte di una missione diplomatica.
I superstiti di questo naufragio non saranno trasferiti in Turchia così come prevedrebbe l’accordo tra Ankara e Unione Europea, dal momento che sono partiti dalla Libia, una nazione straziata dalla guerra con cui non è stato ancora negoziato alcun tipo di intesa.
Questa tragedia mostra senz’altro l’inefficacia dell’accordo fra Turchia e Ue, posto che quanto pattuito sta dimostrando di non essere un deterrente sufficiente ai flussi migratori.
Dall’inizio del 2016, già 25 mila migranti hanno lasciato le coste della Libia, una cifra pressoché identica a quella dell’anno scorso nello stesso periodo.
Sono quasi esclusivamente provenienti dall’Africa Sub-Sahariana i migranti che si sono imbarcati in Libia nel disperato tentativo di raggiungere l’Europa via mare. Ma secondo gli esperti, anche il numero di siriani che intraprenderanno questa strada aumenterà nel corso dell’anno a causa della chiusura delle frontiere in Grecia.
Di fronte all’ennesima tragedia in mare, le organizzazioni per i rifugiati hanno diffuso nuovi appelli nella speranza che le istituzioni collaborino e che vengano implementate nuove politiche per un accesso legale e sicuro in Europa.
L’Unhcr insiste che sono necessarie nuove misure per rendere legale l’ingresso dei rifugiati e dei richiedenti asilo in modo da gestire questa emergenza.
Sono necessarie nuove e ulteriori possibilità di ricollocamento, ricongiungimento familiare, aiuti umanitari, sostegni da parte di organizzazioni private al fine di garantire nuove condizioni di permessi e visti per combattere il traffico degli esseri umani, il progressivo flusso migratorio e in generale i traffici in mare.
Hanno collaborato Irene Fusilli, Giulio Gambino, Tiziano Rugi
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