La grande illusione della Nato: ricompattarsi contro il nuovo nemico cinese
La Nato compie 70 anni, ed è più disgregata che mai. Se nel 1949 l’Alleanza atlantica vedeva la luce in funzione anti-sovietica, per ricompattare i paesi occidentali in un periodo di nascenti tensioni con Mosca, oggi qual è il nemico intorno a cui stringersi? Sono molti gli analisti che a questa domanda rispondono con una parola breve, secca, di quattro lettere, che però desta sempre più preoccupazione: Cina.
Il rivale del Pacifico, contro cui il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha iniziato una spinosa guerra dei dazi, e nei confronti del quale sta facendo pressioni politiche insistenti (vedi la legge su Hong Kong e quella sugli uiguri di questi giorni), è la chiave che permetterà a una Nato “cerebralmente morta”, per usare le parole di Macron, di ritrovare un’identità?
In questi giorni i leader dei paesi membri sono riuniti tra Londra e Watford per celebrare l’importante anniversario. In quest’occasione il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha affermato che l’alleanza deve iniziare a prendere “in considerazione che la Cina si sta avvicinando a noi. Li vediamo nell’Artico, li vediamo in Africa, vediamo che lì investono pesantemente in infrastrutture europee e ovviamente investono nel cyberspazio”, ha detto Stoltenberg.
Gli Stati Uniti sembrano essere sempre più disinteressati a quello che succede dall’altra parte dell’Atlantico, tanto da aver abbandonato i curdi al loro destino, e dato il via libera all’invasione della Turchia nel nord-est della Siria. La scelta è stata pesantemente criticata in primis da Emmanuel Macron, che ha accusato Washington di indifferenza nei confronti degli Alleati. D’altro canto, Trump non sta facendo mistero del suo scetticismo, a tratti astio, nei confronti dell’Unione europea.
E lo stesso Macron non sembra condividere l’idea che la Nato debba essere un’organizzazione non per un fine condiviso, ma contro un nemico comune. “A volte sento qualcuno dire che sono la Russia o la Cina, il nostro nemico”, ha detto. “Lo scopo dell’Alleanza atlantica è identificare l’uno o l’altro come nostri nemici? Non credo. Il nostro nemico comune, chiaramente all’interno dell’Alleanza, è il terrorismo che ha colpito i nostri paesi”, ha dichiarato recentemente.
E la destabilizzazione della Siria settentrionale, con l’abbandono dei curdi, consentendo a centinaia di membri dell’ISIS di sfuggire alla custodia nel processo, sta agendo contro questa priorità, secondo Macron.
Non si può poi dimenticare quanto l’influenza di Pechino sulle capitali europee, in primis commerciale, sia ormai ben avviata: Francia e Italia, con la Belt and Road Initiative, in testa.
“L’Italia rischia di essere considerata come il principale sospettato di un’eccessiva apertura nei confronti di Pechino”, ha detto in un’intervista ad Agi Ferdinando Nelli Feroci, presidente dello Iai. “Sarebbe opportuno che gli europei si presentassero con una linea comune sul tema del rapporto con la Cina, perché è evidente che non siamo allineati con le preoccupazioni americane e non sappiamo nemmeno quanto questi timori siano fondati e quanto invece non ci sia, da parte dell’amministrazione Trump, il tentativo di creare un nemico esterno per compattare un fronte interno”.
Parlando recentemente Stoltenberg ha affermato che “dobbiamo capire meglio l’ascesa della Cina. E cosa significa per la nostra sicurezza. In termini di opportunità e sfide”.
“La Cina avrà presto la più grande economia del mondo. E ha già il secondo più grande budget per la difesa, investendo pesantemente in nuove capacità”, ha detto il segretario generale della Nato.
“La Cina è destinata a diventare l’argomento del 21esimo secolo su entrambe le sponde dell’Atlantico”, ha detto il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas in un discorso recente.
Senza tralasciare il fatto che la Cina sta diventando leader nello sviluppo di nuove tecnologie. Dal 5G al riconoscimento facciale, passando per altre tecnologie informatiche all’avanguardia. Washington è fortemente impegnata nel chiedere agli alleati atlantici di bloccare il colosso della tecnologia cinese Huawei dalle proprie reti 5G, sostenendo che ciò possa rappresentare una minaccia per la sicurezza. Così come è impegnata sul fronte dei diritti umani: le due leggi appena varate, una sui manifestanti di Hong Kong e l’altra sulla minoranza perseguitata degli uiguri dal Congresso americano, avranno la forza di fare pressione sulla potente Cina perché riveda le sue politiche di tutela dei diritti umani? O la generosità commerciale di quest’ultima sarà sufficiente a far chiudere entrambi gli occhi agli alleati atlantici?
“La Cina non è in questo momento una minaccia militare, ma questo non toglie che non si possa rimandare la definizione di una strategia Nato per confrontare l’espansione dell’influenza cinese. Come ha riconosciuto lo stesso segretario Jens Stoltenberg, se non arriveremo noi in Cina, la Cina arriverà da noi”, ha commentato pochi giorni fa il direttore della Stampa, Maurizio Molinari, in un’intervista a Formiche.net.
Eppure, quale ruolo la Nato, con i suoi limiti geografici, dovrebbe svolgere nello sforzo dell’occidente di proteggere dalla Cina non è chiaro, come scrive il Foglio.