Myanmar, due morti e decine di feriti nel giorno più buio dall’inizio delle proteste
Myanmar: due morti e decine di feriti nel giorno più buio dall’inizio delle proteste
In Myanmar continuano le proteste contro il colpo di stato che ha portato all’arresto di Aung San Suu Kyi e alla destituzione del governo democraticamente eletto a novembre. Uno sciopero generale che per tre settimane è andato avanti quasi pacificamente ma che nel fine settimana ha visto una escalation di violenza: due persone sono morte per mano della polizia e decine sono rimaste ferite.
Gli scontri più violenti tra polizia e manifestanti sono avvenuti sabato a Mandalay, la seconda città più grande del Paese, dove le forze dell’ordine – come si vede dalle immagini circolate sui social e secondo quanto riportano i media locali – hanno cercato di disperdere la folla con pietre, proiettili, punte di ferro lanciate alla testa e gas lacrimogeni.
Le due persone rimaste uccise sabato sono un ragazzo di 18 anni, colpito alla testa e morto sul corpo, e un 36enne ferito al petto e deceduto in ospedale. Il giorno prima era morta un’altra manifestante, la 20enne Mya Thwe Thwe Khaing, colpita alla testa da un proiettile della polizia durante le proteste del 9 febbraio. Intanto almeno 30 persone sono rimaste ferite.
La comunità internazionale ha condannato duramente gli scontri di sabato 20 febbraio: Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Nuova Zelanda hanno annunciato sanzioni verso alcuni leader della giunta militare al potere, mentre oggi saranno i ministri degli Esteri dell’Unione Europea a discutere le misure da adottare contro la dittatura dell’esercito.
“Condanno fortemente la violenza dei militari contro i civili che manifestano pacificamente. È necessario che tutte le forze di sicurezza nel Paese interrompano immediatamente la violenza”, ha detto intanto sabato il ministro degli Esteri europeo Josep Borrell.
Le proteste sono continuate anche ieri nelle principali città, da Burma a Myitkyina, dove la polizia la settimana scorsa aveva usato cannoni ad acqua per reprimere i manifestanti. L’attore Lu Min, che aveva criticato il colpo di Stato, è stato arrestato.
Perché si protesta in Myanmar
Lo sciopero generale coinvolge diverse fasce della popolazione: studenti, insegnanti, medici, monaci chiedono la liberazioni del Consigliere di Stato della Birmania Aung San Suu Kyi e di altri membri del governo democraticamente eletto dopo che, il primo febbraio, un colpo di Stato ha destituito la giunta, poche ore prima della riunione inaugurale del nuovo Parlamento.
I militari hanno dichiarato lo stato di emergenza per un anno e preso il potere. Da settimane erano emerse crescenti tensioni tra l’esercito, che ha governato il Paese per quasi mezzo secolo, e il governo civile sulle elezioni del novembre dello scorso anno, in cui il partito guidato da San Suu Kyi, la Lega nazionale per la democrazia (Nld) ha vinto nettamente.
Ma il portavoce dell’esercito, il maggiore generale Zaw Min Tun, aveva dichiarato che le elezioni, con il pretesto della pandemia di Coronavirus, “non erano state né libere né eque”. Oggi Zaw Min Tun afferma che la maggior parte del popolo birmano appoggia il governo militare.
Il premio Nobel per la pace si trova adesso agli arresti domiciliari con l’accusa di “importazione illegale” per aver acquistato walkie talkie all’estero per fornirli alle proprie guardie del corpo. Un’accusa pretestuosa che, in caso di condanna, potrebbe costarle fino a due anni di carcere. La prima udienza del processo intanto è avvenuto a sua insaputa: il suo avvocato non era stato avvisato e la seduta si è conclusa prima del suo arrivo.
La prossima è fissata per il primo marzo. Secondo l’Assistance Association for Political Prisoners, un’associazione per l’assistenza ai prigionieri politici birmani, dall’inizio del colpo di stato sono state arrestate in tutto 569 persone. Per i media internazionali le manifestazioni di questi giorni sono le più grandi da oltre 10 anni in Myanmar, da quando cioè migliaia di cittadini protestarono contro il governo ispirati dai monaci buddisti e furono repressi dalle autorità militari, nel 2007.