Myanmar, oltre 700 vittime dall’inizio della repressione delle proteste anti-golpe
Almeno 701 manifestanti e civili sono stati uccisi dalle forze di sicurezza dopo la presa del potere da parte dell’esercito. A denunciarlo è l’Associazione di assistenza ai prigionieri politici (Aapp), secondo cui i morti sono almeno 701: nella sola giornata di venerdì, almeno 82 persone sono state uccise nella città sudorientale di Bago, dove secondo alcuni media locali i militari hanno fatto uso di artiglieria pensante contro i civili.
“L’Onu – ha scritto su Twitter l’ufficio delle Nazioni Unite in Myanmar – sta seguendo gli eventi a Bago e le notizie del ricorso all’artiglieria pesate contro i civili e dell’assistenza medica negata ai feriti”. Sempre nelle manifestazioni, secondo Aapp, che denuncia il ricorso alla tortura sui detenuti, i militari al potere dal primo febbraio hanno arrestato circa 3mila persone.
A questi 700 morti, sono pronti ora ad aggiungersi altri decessi, stavolta stabiliti da una corte militare che ha deciso per la pena capitale. L’accusa per i 19 è quella di aver contribuito all’uccisione di un vicecapitano dell’esercito, lo scorso 27 marzo nel distretto di North Okkalapa a Yangon, la maggiore città del Myanmar e cuore delle proteste della popolazione, che chiede a gran voce il ritorno dell’esecutivo democraticamente eletto. La pena è consentita dalla legge marziale attualmente istituita all’interno di tutto il distretto.
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