La donna che ha costruito un rifugio per le vittime delle mutilazioni genitali in Tanzania
Ogni anno decine di giovani corrono il rischio di essere incise, Rhobi Samwelly ha fondato una casa che le accoglie e le protegge
Mutilazioni genitali Tanzania – Nel 2012 il progetto di creare una casa di accoglienza per le ragazze in fuga dal pericolo di essere sottoposte a mutilazioni genitali era solo una sfida per Rhobi Samwelly.
Quell’idea ha preso corpo nelle pareti e nelle stanze della Mugunum House, costruita nella città tanzaniana di Mugunum, che annualmente accoglie le giovani donne scampate a quella pratica disumana.
Quando in Tanzania inizia la cosiddetta “stagione del taglio”, centinaia di ragazze corrono il rischio di essere sottoposte alle mutilazioni dei loro genitali, una pratica orribile, illegale, che spesso può provocare anche la morte.
L’obbligo viene imposto generalmente dalle famiglie ancorate al rispetto di una pratica culturale. Mentre i genitori si preoccupano di organizzare il tutto, le loro figlie tentano nella maggior parte dei casi la fuga.
Per decenni però, queste giovani donne non hanno trovato sulla loro strada un punto di riferimento, un luogo dove potersi rifugiare. Alcune decidevano di nascondersi tra i boschi, rischiando di essere ferite da animali selvatici, oppure fuggivano via verso altre città, correndo il pericolo di ritrovarsi sole, senza soldi e senza contatti familiari.
Nella maggior parte dei casi, non avendo alcuna via di fuga, tante ragazze finivano per sottoporsi alla tortura fisica e psicologica delle mutilazioni genitali femminili.
Almeno fino a quando non è nata la casa di protezione fondata da Rhobi, anche lei a suo tempo vittima di mutilazioni genitali quando era una bambina.
“Non volevo farlo, perché una mia amica era morta per quel motivo. Il suo corpo era stato gettato in un cespuglio e alla sua mamma era stato imposto il silenzio”, ha raccontato Rhobi.
“Quando i miei genitori mi hanno detto che anche io mi sarei dovuta sottoporre a questa pratica, nella mia testa ho subito pensato a dove mi sarei potuta nascondere. Se avessi avuto un posto sicuro dove rifugiarmi, ci sarei andata subito. Ma non c’era”.
Le sue paure si sono materializzate il giorno in cui decisero di inciderla. Rhobi sperava fosse meno doloroso di come veniva descritto. Ma non fu così. La giovane rischiò di morire dissanguata e rimase incosciente per diverse ore.
Quando alla fine si svegliò e riprese conoscenza, i suoi genitori erano così sollevati che promisero di non sottoporre le sorelle più piccole a quella pratica.
Rhobi inconsapevolmente aveva salvato le sue sorelle e fu in quel momento che sentì dentro di lei il dovere di salvare altre ragazze della Tanzania. Così ha fondato la sua casa sicura, meta ogni anno nel periodo in cui inizia la stagione delle mutilazioni (generalmente nel mese di dicembre) di bambine e ragazze in età-preburerale.
All’interno della struttura si tengono dei corsi di educazione per le ragazze scappate dalle loro famiglie, scampando così al pericolo di essere mutilate.
Attualmente, la casa di accoglienza viene finanziata dalla Chiesa anglicana ed è sostenuta anche da altre chiese e moschee locali. La struttura può ospitare almeno 40 ragazze, che vengono sistemate in letti a castello o quando non c’è spazio a sufficienza su materassi adagiati sul pavimento.
Le ospiti possono rimanere lì gratuitamente fino a quando non corrono più il rischio di essere sottoposte alle mutilazioni o ad altri gravi abusi.
Le ragazze vengono incoraggiate a intraprendere gli studi e raggiungere un grado di istruzione secondaria. Il personale impiegato nella struttura si prende cura di loro e di tutti i loro bisogni, compresa la possibilità di accedere a corsi di formazione professionali, come imparare a fare le sarte, a costruire oggetti di artigianato o affinare le abilità culinarie.
La maggior parte delle giovani ospiti rimangono dentro la casa di accoglienza per tutta la stagione del taglio, mentre i volontari sono impegnati in incontri con le famiglie per sensibilizzarle sui pericoli insiti nella pratica delle mutilazioni.
“Abbiamo iniziato a costruire un rapporto di fiducia tra i genitori e le ragazze fuggite via”, ha raccontato ancora Rhobi. “Alcuni di loro erano d’accordo sul fatto che non avrebbero più sottoposto le loro figlie alle pratiche di incisione. Molti genitori, alcuni poliziotti e il presidente del villaggio hanno firmato un modulo ufficiale in cui rinunciavano a ricorrere a questa pratica”.
“Non tutti i genitori sono facili da convincere. Alcuni padri hanno confessato di aver provato tristezza, quando la loro figlia è scappata. Oppure molti padri ricoprono ruoli pubblici accanto ai leader tradizionali del villaggio e temono di perdere il loro status sociale, se la loro figlia non si sottopone alla mutilazione”, ha precisato Rhobi.
Il suo impegno verso le vittime di questa pratica disumana non è mai venuta meno, e di recente la donna con il supporto dei volontari e del personale impiegato nella sua struttura di accoglienza, ha messo a punto un sistema di localizzazione di tutti i punti sicuri in cui le ragazze possono trovare rifugio e protezione, in diversi villaggi della Tanzania.
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