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Militari italiani in Iraq: quanti sono, dove si trovano e quali sono i rischi. 5 domande e 5 risposte

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Militari italiani in Iraq: quanti sono, dove si trovano e quali sono i rischi. 5 domande e 5 risposte

Nell’attacco missilistico condotto da Teheran contro due basi statunitensi in Iraq nella notte tra martedì 7 e giovedì 8 gennaio non sono state registrate vittime o feriti tra i soldati italiani, come confermato dallo Stato Maggiore della Difesa (qui cosa sappiamo finora sul raid). Ad essere colpite sono state, in particolare, le basi di al-Asad, nell’Iraq occidentale, e quella di Erbil, nel Kurdistan iracheno.

In questa seconda area sono presenti anche soldati del contingente italiano, il quale fortunatamente non ha subito danni, neanche nelle strutture e nei mezzi che utilizza. “Al momento dell’attacco sono state messe in atto tutte le procedure di contingenza tese alla salvaguardia della sicurezza del contingente dislocato nell’area di Erbil”, si legge nella nota dello Stato Maggiore della Difesa.

I soldati italiani resteranno – almeno per il momento – in Iraq, nonostante l’acuirsi delle tensioni tra Usa e Iran dopo il raid statunitense in cui è stato ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani (qui il suo profilo). Ma la preoccupazione per l’escalation della crisi tra Teheran e Washington porta a porsi delle domande sulla situazione dei nostri militari. TPI ha provato a mettere in fila 5 domande e 5 risposte sull’argomento.

Quanti sono e dove si trovano i militari italiani in Iraq?

I militari italiani sono impegnati al fianco della coalizione internazionale anti-Isis a guida statunitense con 926 uomini tra Iraq e Kuwait. Si tratta del secondo contingente per rilevanza numerica dopo quello degli Stati Uniti, che conta oltre 5.200 soldati.

Una parte consistente di questi militari italiani si trova in Iraq: circa 450 soldati si trovano nella grande base presso l’aeroporto di Erbil, dove addestrano i peshmerga curdi; una novantina si trovano a Kirkuk; nella capitale irachena Baghdad si trovano invece una cinquantina di militari, in prevalenza impegnati nella Task Force Police che addestra le forze di sicurezza irachene. Circa 300 dei militari italiani impegnati nella coalizione sono invece schierati in Kuwait.

Qual è la loro missione?

I militari italiani sono presenti in Iraq nell’ambito dell’Operazione “Inherent Resolve” (o “Prima Parthica”) la coalizione anti-Isis a guida statunitense cui partecipano diversi paesi e organizzazioni internazionali come Nato ed Ue. Il nostro contingente non è impiegato direttamente in attività di contrasto al terrorismo, ma si dedica ad attività di addestramento delle forze di sicurezza irachene, polizia ed esercito, e dei peshmerga curdi, le forze di sicurezza curde. Dal 2015 l’esercito italiano svolge attività di addestramento in varie discipline: dalla formazione della fanteria all’utilizzo dell’artiglieria, dal primo soccorso alla bonifica degli ordigni inesplosi. Inoltre supporta le operazioni della coalizione con attività di ricognizione e sorveglianza a mezzo droni e attività di rifornimento in volo.

Come è cambiata la situazione in Iraq per i nostri soldati dopo l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani?

Il raid contro Soleimani dello scorso 3 gennaio ha innescato una serie di decisioni a livello militare. La Nato ha annunciato il ritiro temporaneo di parte del suo personale schierato in Iraq. La stessa scelta è arrivata da Germania, Canada e Croazia. I soldati italiani invece, insieme a quelli francesi, resteranno nel paese, come ha confermato ieri il ministro della Difesa Lorenzo Guerini.

Il ministro ha avuto un colloquio definito “articolato e franco” con il suo omologo statunitense Mark Esper, ha invitato l’alleato “alla moderazione, al dialogo ed al senso di responsabilità” e a coordinarsi in futuro per “poter continuare l’impegno della coalizione anti-Daesh all’interno di una cornice di sicurezza per i nostri militari”. “Thank you minister Guerini”, ha twittato Esper, parlando della scelta italiana di restare come di un “forte segnale positivo” e ribadendo che gli americani non intendono lasciare il paese.

I militari italiani dunque rimarranno in Iraq, anche se una quarantina di loro sono stati trasferiti dal compound americano Union 3, che si trova al centro di Baghdad – a pochi metri dall’ambasciata Usa – e ospita il comando della coalizione internazionale anti-Isis.

Dei circa 40 italiani interessati (prevalentemente carabinieri, più alcuni soldati dello staff del comandate del contingente nazionale, generale Paolo Attilio Fortezza) una trentina sono stati trasferiti in luoghi più protetti di Baghdad, mentre dieci sono andati ad Erbil.

La base di Union 3 è ritenuta un possibile obiettivo di attacchi e i vertici della coalizione hanno pianificato la dislocazione di parte degli assetti per motivi di sicurezza.

Domenica scorsa l’esercito statunitense ha annunciato la sospensione delle operazioni militari della coalizione internazionale contro il sedicente Stato Islamico in Iraq, oltre che dell’addestramento dei militari iracheni in corso da diversi anni.

Quali sono i rischi per i soldati italiani in Iraq?

Dopo l’uccisione del generale iraniano Soleimani in un raid Usa e l’escalation di tensione tra Teheran e Washington, la situazione della sicurezza in Iraq potrebbe presto degenerare, come dimostra l’attacco missilistico di ieri notte. Inoltre, in tutto il paese c’è il rischio di attacchi da parte delle milizie sciite, che l’Iraq ha in parte integrato nelle sue forze armate e che sono sostenute dall’Iran.

Il rischio di attacchi missilistici iraniani, nonostante le minacce di Teheran siano rivolte prevalentemente agli Usa, riguarda anche i militari italiani ed europei presenti sul territorio, in quanto alleati degli americani. In particolare i rischi ritenuti maggiori sono per la cosiddetta Task Force 44, un contingente di truppe speciali dell’esercito italiano che opera tra Baghdad e il nord del Paese con base operativa a Kirkuk.

Inoltre, c’è il rischio che il governo iracheno metta in atto una risoluzione per bandire i militari Usa dall’Iraq e questo potrebbe creare problemi ai soldati italiani. Per il momento, come ha chiarito in un’intervista al Corriere della Sera Ahmad al Assadi, deputato del Parlamento di Baghdad per la coalizione di partiti sciiti Al Fatah (vicini alle milizie legate a Teheran) – il contingente italiano “può restare in Iraq col compito di addestrare i quadri dell’esercito e della polizia irachena”. “Con gli italiani in linea di massima potrebbero restare tutti gli europei e altri”, ha aggiunto il deputato sciita, “l’importante è che se ne vadano subito gli americani”.

Se le operazioni di addestramento sono state sospese perché i militari italiani devono restare in Iraq?

Le attività di addestramento dei militari e della polizia irachena per cui lavorano gli italiani al momento sono sospese. Lo Stato Maggiore della Difesa ha spiegato che la pausa e la dislocazione dei militari rientrano “nei piani di contingenza per la salvaguardia del personale impiegato”, chiarendo che non c’è nessuna interruzione “della missione e degli impegni presi con la coalizione”. La decisione – ha sottolineato – dipende “dalle misure di sicurezza adottate”, le quali “sono decise a livello di coalizione internazionale in coordinamento con le varie nazioni partner”.

La sospensione degli addestramenti, tuttavia, potrebbe protrarsi a lungo, e questo getta confusione e incertezza sul ruolo futuro dell’intera missione.

Oltre all’Iraq, i soldati italiani sono impiegati in altre missioni in Libano (Unifil, con oltre mille militari) e in Afghanistan (con poco meno di mille militari). Questo fa dell’Italia uno dei paesi maggiormente impegnati per la stabilità della regione. Per il momento anche questi contingenti resteranno in loco, ma le misure di sicurezza sono state innalzate ai massimi livelli.

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