Il Michigan, l’ex motore industriale dove Gaza può pesare sul voto
Per anni parte integrante del “Blue Wall”, come viene definito quel gruppo di 18 stati che tra il 1992 e il 2012 hanno sempre votato per il presidente democratico, il Michigan nel 2016 fu uno dei tre apparenti feudi dem a cadere sotto l’avanzata di Donald Trump, che ruppe il muro blu conquistando consensi tra la middle class impoverita della “Rust Belt” togliendo la Casa Bianca a Hillary Clinton.
E proprio il Michigan, sede delle grandi case automobilistiche americane che negli anni hanno decentrato la loro produzione altrove, è un simbolo della deindustrializzazione e delle sue conseguenze sulle città e sulla popolazione.
Vinto dai democratici in tutte e tre le elezioni degli anni Sessanta, nei Settanta e gli Ottanta fu sempre vinto dai repubblicani: non solo quando questi ottennero la Casa Bianca, ma anche nel 1976, in cui va detto che il Michigan era l’home state del candidato e presidente uscente Gerald Ford e che Jimmy Carter vinse trascinato soprattutto dal voto negli stati del sud. Dal 1992, tuttavia, sembrava essere diventato uno stato solidamente democratico, non solo negli anni del consenso di Bill Clinton o di Barack Obama, ma anche nelle elezioni perse dall’asinello nel 2000 e nel 2004, in cui sia Al Gore che John Kerry superarono tranquillamente il 50 per cento dei voti. Ma nel 2016 arrivò la sorpresa, quando Hillary Clinton fu sconfitta da Trump in questo stato con un margine di appena lo 0,22 per cento, poco più di 10mila voti, trasformando da quel momento il Michigan in uno stato in bilico e rimanendoci anche dopo la vittoria di Biden nel 2020.
Andiamo a vedere però qualcosa in più sulla geografia elettorale di questo stato. Per prima cosa, è bene dire che il Michigan ha circa dieci milioni di abitanti ed è composto da due aree distinte, separate dallo stretto di Mackinak che collega i grandi laghi, note come Upper Peninsula e Lower Peninsula. Se la prima è una zona poco densamente abitata, la seconda ospita le principali città, soprattutto nella parte meridionale, a partire da Detroit. Proprio questa città, oggi simbolo di un’industria automobilistica sempre più delocalizzata e che proprio per la deindustrializzazione ha cambiato fisionomia, rappresenta il principale bacino elettorale dello stato per i democratici. Se prendiamo la mappa del voto delle ultime due presidenziali, vediamo infatti come il consenso dem sia sempre più limitato in primis alle grandi città: la più popolosa, Detroit, in primis, insieme al suo hinterland, ma anche gli altri principali centri dello stato, da Flint a Grand Rapids fino a Lansing, con i repubblicani prevalenti nel resto dello stato.
Fino al 2012, la geografia del voto del Michigan era decisamente più variegata, con numerose contee non urbane nella Lower Peninsula, così come nella scarsamente abitata Upper Peninsula, sono state vinte dai democratici. Proprio dal 2012, tuttavia, nonostante la vittoria di Obama nello stato con 10 punti di scarto su Romney, si assiste a un voto sempre più esclusivamente urbano per i dem, che in questa situazione devono in generale puntare a massimizzare l’affluenza e il proprio contesto nelle più grandi città. Qualcosa che nel 2016 non è bastato a Hillary Clinton quando si è assistito alla rottura del Blue Wall.
C’è però un altro elemento sociale e demografico strettamente legato al Michigan che può avere un peso specifico in questa tornata elettorale, ed è l’elevato numero di americani di origine araba e di religione musulmana presenti nello stato, in modo particolare nella città di Dearborn, sobborgo di Detroit. In Michigan, la popolazione araba-americana, composta per oltre il 60 per cento da cristiani, soprattutto di origine Libanese, è pari all’1,5 per cento degli abitanti: il dato più alto di tutti gli States. La popolazione di religione musulmana in Michigan è invece pari al 2,4 per cento: più alta dell’1,3 per cento a livello nazionale, ma quinta nella classifica tra i singoli stati. Tuttavia, la più alta tra gli stati in bilico, secondo molti determinante nel 2020 a far vincere il Michigan a Joe Biden.
Oggi, però, la situazione è diversa. Molti cittadini americani di origine araba o di religione musulmana sono molto freddi verso i democratici per via del supporto a Israele nella guerra a Gaza, e questo può avere un peso in modo particolare in Michigan, dove questo pezzo di popolazione può essere determinante. Un recente sondaggio mostra addirittura come Donald Trump (per quanto nel suo mandato da presidente ha sostenuto Israele in maniera molto più decisa di Biden, arrivando a spostare l’ambasciata USA a Gerusalemme e riconoscere la sovranità dello Stato ebraico sulle alture del Golan) sarebbe avanti nei consensi tra la popolazione arabo-americana, mentre molti notano come parte di questa popolazione potrebbe scegliere candidati apertamente schierati contro l’intervento israeliano a Gaza come la verde Jill Stein o l’indipendente di sinistra Cornell West. Questo, lo diranno anche i dati di Dearborn, dove il 40 per cento della popolazione ha origine araba e la cui rappresentante alla camera è la democratica di origine palestinese Rashida Tlaib, fortemente criticata anche nel suo stesso partito per molte sue posizioni apertamente estremamente critiche verso Israele come l’aver usato lo slogan “dal fiume al mare”. Non sappiamo quanto le posizioni contro la guerra a Gaza di parte della sinistra americana possano essere decisive e possano creare problemi alla candidatura di Kamala Harris, ma se c’è uno stato in cui potrebbero giocare un ruolo, quello sembra essere prima di tutto il Michigan.