Esiste una correlazione tra i due terremoti in Messico e le catastrofi naturali di quest’estate?
Un terremoto di magnitudo 7.1 ha colpito il Messico provocando 200 morti, a soli 12 giorni di distanza da un altro sisma di magnitudo 8.2. Nel frattempo tre uragani hanno devastato l'Atlantico. Cosa dice la scienza?
Leggere i giornali, guardare la tv o navigare su internet nell’estate 2017 ha significato imbattersi in una serie di catastrofi naturali di impatto devastante, una dietro l’altra. Mentre l’uragano Harvey sommergeva il Texas, in Messico si verificava un forte terremoto di magnitudo 8.2, con epicentro al largo delle coste dello stato del Chiapas e l’allerta Tsunami.
Alcuni giorni prima, dall’altra parte del mondo, oltre 1.200 persone morivano, tra India, Bangladesh e Nepal a causa di violente inondazioni. Solo pochi giorni dopo un altro violento uragano, Irma, si abbatteva sui Caraibi e poco dopo sulla Florida. E facendo un altro passo indietro di qualche settimana, in Sierra Leone, un’enorme frana di fango sommergeva la periferia della capitale Freetown, provocando quasi mille morti.
Fino all’ultima catastrofe, un secondo terremoto in Messico di magnitudo 7.1, verificatosi il 19 settembre, che finora ha già provocato oltre 200 morti, e il bilancio è destinato a salire.
Viene spontaneo chiedersi, cosa sta succedendo? Sono solo coincidenze? Siamo veramente vicini alla fine del mondo? E, che connessione hanno, se ce l’hanno, tutti questi eventi naturali così devastanti e ravvicinati nel tempo? La scienza può aiutarci a fare luce su queste preoccupazioni.
Gli uragani
La stagione degli uragani generalmente va da giugno a novembre ed è un fenomeno non straordinario, anche se ogni anno la presenza e la forza degli uragani può essere influenzata da altre condizioni climatiche contingenti, come ad esempio El Niño, uno dei più forti eventi meteorologici che ciclicamente si verificano nell’area, in grado di provocare gravi siccità e inondazioni.
Di solito si manifesta ogni cinque anni, o in un periodo tra i tre e i sette anni e deriva da un riscaldamento naturale delle acque dell’Oceano Pacifico, nella parte centrale e orientale equatoriale dell’oceano Pacifico.
A causa delle temperature elevate di quest’estate, si sono formati temporali, tempeste e uragani in misura e di forza maggiore rispetto al passato. Il 2017 è certamente stato un anno di uragani eccezionale, come già era previsto nelle settimane precedenti al verificarsi degli eventi. I danni sono stati comunque devastanti.
Quello su cui gli scienziati concordano è che il cambiamento climatico ha sicuramente un ruolo nell’aumentare la probabilità che si verifichino eventi così distruttivi.
E il perché di questo fatto è semplice, come spiegato dal giornalista Jonathan Watts sul Guardian. Mari più caldi evaporano più velocemente e correnti d’aria più calde raccolgono più vapore acqueo. Così se le temperature della Terra aumentano – come successo negli ultimi decenni per responsabilità degli esseri umani –, i cieli raccolgono più umidità, che viene riversata poi sotto forma di acqua in maniera più intensa.
È una legge fisica nota come equazione di Clausius-Clapeyron: a ogni d’aumento di temperatura di mezzo grado centigrado, corrisponde un 3 per cento in più di umidità contenuta nell’atmosfera. Sembra poco, ma rapportato su scale enormi e complesse come quelle della meteorologia, si intuisce subito quale impatto possa avere.
Il riscaldamento globale ha inoltre causato nell’ultimo secolo un aumento del livello dei mari, facilitando le inondazioni delle zone costiere. Gli eventi catastrofici di quest’estate, scrive Slate, dovrebbero servire come promemoria per ricordarci dell’imprevedibilità della natura, e del suo potere. Ma anche come esortazione a mettere in atto tutte le soluzioni necessarie a rallentare il cambiamento climatico.
I terremoti
I terremoti, al contrario, non hanno alcuna “stagione”. Ciò rende più complicato comprendere il perché due terremoti dalla magnitudo così elevata, abbiano colpito a distanza così ravvicinata lo stesso territorio. Le coincidenze, in questa storia, sono ancora più assurde se si pensa che il terremoto di ieri, 19 settembre, giungeva a 32 anni esatti da quello devastante che colpiva Città del Messico il 19 settembre 1985, provocando la morte di oltre mille persone.
Come spiega Slate, i terremoti sono in realtà molto più comuni di quanto si pensi. In media ogni anno ci sono 1,4 milioni di terremoti di piccola o media entità, circa 15 di magnitudo 7, mentre ogni circa 2 anni si verificano terremoti che superano la magnitudo 8.
Il Messico si trova su una faglia particolarmente attiva. L’ipotesi che la seconda scossa, a 12 giorni di distanza dalla prima, sia solo una scossa di assestamento è improbabile secondo i sismologi, dal momento che i due epicentri si trovano a circa 650 chilometri uno dall’altro.
Come scrive il settimanale scientifico Focus però, “c’è un fatto che sembra assodato: i forti terremoti possono aumentare il rischio di attività sismica in faglie relativamente vicine trasferendo energia che può arrivare a una distanza pari ad un raggio 3 o 4 volte la lunghezza della faglia che si è mossa per prima”.
“Dal momento che tra le placche coinvolte ci sono altre faglie e altre zone di contatto, si potrebbero avere nuovi terremoti anche forti, ma non si sa certo stabilire quando”, aveva detto a TPI Alessandro Amato, sismologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) all’indomani del sisma del 7 settembre.
Secondo quanto spiega
Il terremoto del 7 settembre è stato 30 volte più forte di quello del 19, ma ha provocato un numero inferiore di morti e di danni. Ciò non dipende esclusivamente dalla magnitudo, ma da una serie di fattori correlati. L’epicentro del terremoto del 19 settembre si è verificato sulla terraferma e non nell’Oceano, nei pressi di aree urbane popolate e su un tipo di terreno che ha amplificato la scossa.
Il fatto che il Messico sia uno dei luoghi con il più alto rischio sismico del mondo, ha avuto la conseguenza che venisse istituito un sistema di allerta sismica rapida tra i migliori al mondo, il Sasmex.
Il sistema si basa su una rete di sensori in grado di rilevare l’arrivo delle onde sismiche in rapido movimento, le cosiddette onde P, prima delle onde più dannose che producono la scossa distruttiva, le cosiddette onde S .
L’allarme, a seconda della distanza dall’origine del terremoto, può essere di pochi secondi, che però possono rivelarsi fondamentali per prendere le prime precauzioni e potenzialmente salvarsi la vita. Il sistema è attualmente attivo a Città del Messico, Acapulco, Puebla, Chilpancingo, Morelia, Oaxaca e Toluca.