Perché il maschilismo non è l’opposto del femminismo
Essere femminista significa davvero odiare gli uomini? Perché spesso nel linguaggio comune i due termini sono utilizzati in maniera contrapposta? TPI ha cercato di fare chiarezza
“Più ho parlato di femminismo, più ho capito che lottare per i diritti delle donne è troppo spesso diventato sinonimo di ‘odiare gli uomini’. Se c’è una cosa di cui sono sicura è che questa cosa deve finire”.
Con queste parole diventate celebri, l’attrice Emma Watson il 21 settembre del 2014 teneva un discorso sui diritti delle donne a New York, in qualità di nuova ambasciatrice del settore UN Women delle Nazioni Unite.
Ma essere femminista significa davvero odiare gli uomini? Perché spesso maschilismo e femminismo sono termini che nel linguaggio vengono utilizzati in maniera contrapposta? È giusto farlo? Femminismo è il contrario di maschilismo?
Abbiamo provato a rispondere a queste domande definendo dove sono nati questi termini, cosa significano e come si sono sviluppati nel tempo.
Etimologia
Dal francese “féminisme”, derivazione del latino femĭna ‘femmina’.
Secondo il vocabolario Treccani, “Movimento delle donne, le cui prime manifestazioni sono da ricercare nel tardo illuminismo e nella rivoluzione francese; nato per raggiungere la completa emancipazione della donna sul piano economico (ammissione a tutte le occupazioni), giuridico (piena uguaglianza di diritti civili) e politico (ammissione all’elettorato e all’eleggibilità), attualmente auspica un mutamento radicale della società e del rapporto uomo-donna attraverso la liberazione sessuale e l’abolizione dei ruoli tradizionalmente attribuiti alle donne”.
Deriva da maschile; dall’unione della parola maschio col suffisso -ismo
Secondo il vocabolario Treccani, “Termine, coniato sul modello di femminismo, usato per indicare polemicamente l’adesione a quei comportamenti e atteggiamenti (personali, sociali, culturali) con cui i maschi in genere, o alcuni di essi, esprimerebbero la convinzione di una propria superiorità nei confronti delle donne sul piano intellettuale, psicologico, biologico, ecc. e intenderebbero così giustificare la posizione di privilegio da loro occupata nella società e nella storia”.
Cenni Storici
Il femminismo, con l’accezione di difesa dei diritti delle donne e la parità di queste con gli uomini, risale a qualche secolo fa, però si può dire che il termine venne coniato nell’Ottocento per battezzare il neonato movimento per l’emancipazione delle donne. A incarnarlo erano le suffragette, che lottavano per ottenere l’allargamento del suffragio – ossia del diritto di voto – anche alle donne.
Ma ancor prima che iniziasse il 1800, Olympe de Gouges, la drammaturga francese considerata una femminista ante litteram, fece redigere nel 1791 la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, in piena rivoluzione francese.
Il perfezionamento del femminismo può essere suddiviso in due epoche.
La prima, a partire dal diciannovesimo secolo fino al 1920 (dopo la prima guerra mondiale), e la seconda dagli anni Sessanta in poi.
Il movimento delle suffraggette, nato nel Regno Unito nel 1865 per opera del primo comitato per l’estensione del diritto di voto, dovette attendere quasi tre decenni per vedere risultati concreti: il suffragio venne esteso alla popolazione femminile solo nel Novecento.
In Europa il primo stato a permettere alle donne di votare fu la Finlandia nel 1906. La Gran Bretagna concesse il suffragio alle sue cittadine solo nel 1918, gli Stati Uniti nel 1920, mentre le italiane e le francesi poterono votare solo dopo il secondo dopoguerra.
La seconda fase del femminismo è quella che si concretizzò negli Stati Uniti negli anni Sessanta del Novecento. Con il boom economico il paese dovette ripensare le vecchie strutture sociali, già messe in discussione durante il secondo conflitto mondiale, quando le donne avevano sostituito gli uomini impegnati al fronte nelle fabbriche.
Tra gli anni Settanta e Ottanta il femminismo si ramificò in vari gruppi, da quello più estremista fino a quelli per i diritti delle lavoratrici e anche quelli religiosi.
Venendo ai giorni nostri, uno dei più rilevanti movimenti femministi è quello incarnato da “Femen”, l’organizzazione di protesta fondata a Kiev nel 2008. Il movimento è divenuto famoso, su scala internazionale, per la pratica di manifestare mostrando i seni contro il turismo sessuale, il sessismo e altre discriminazioni sociali in Ucraina.
C’è poi anche il movimento Ni Una Menos (in ialiano: Non Una Di Meno), nato in Argentina nel 2015 per portare all’attenzione di tutti il dramma del femminicidio, ma è stato soltanto nel 2016 che ha preso forza, dilagando in tutti i Paesi dell’America latina, in seguito al caso di Lucia Perèz: una ragazza sedicenne che perse la vita dopo essere stata brutalmente violentata e seviziata.
Prima l’Argentina, poi l’America latina; da lì l’Europa, con la Spagna e l’Italia in primis: tutti questi movimenti spontanei si sono messi in rete e hanno creato un’unità.
L’iniziativa di celebrare la giornata internazionale della donna fu presa per la prima volta nel febbraio del 1909 negli Stati Uniti su iniziativa del Partito socialista americano.
Durante la Seconda conferenza delle donne comuniste a Mosca del 1921, venne confermata come unica data per le celebrazioni l’8 marzo in ricordo della manifestazione contro lo zarismo delle donne di San Pietroburgo nel 1917.
In realtà fino al 1921 i singoli paesi scelsero giorni diversi per la celebrazione.
Il maschilismo, non è un movimento sociale, non ha fondamenta storiche e non è legato a nessuna ben identificata esigenza da parte dell’essere umano.
Il maschilismo è un atteggiamento che si presenta in contesti sociali e privati e che si traduce in pratiche quotidiane basate sulla convinzione che gli uomini siamo superiori alle donne. I principi su cui si poggia questa tesi sono di carattere biologico, intellettuale, sociale e politico.
Secondo alcuni, la diffusione del maschilismo come atteggiamento culturale è da rintracciarsi nella Teorie dell’Evoluzione di Darwin, secondo la quale lo scienziato affermava l’inferiorità mentale della donna. Ma non sono state al momento addotte prove sufficienti per suffragare tale ipotesi.
Le derive
La misoginia è generalmente un atteggiamento individuale, mentre il maschilismo, alla stregua del femminismo, è un atteggiamento culturale, non necessariamente accompagnato da odio.
Il machismo è una esibizione esagerata di virilità, fondata sulla presunta superiorità psicofisica del maschio rispetto alla femmina.
La misandria è l’odio, il disprezzo, o il pregiudizio verso gli uomini.
Il termine è usato per indicare effettivo odio verso gli uomini da parte delle donne che vogliono intaccare i diritti dell’uomo. La misandria è un fenomeno marginale nel femminismo che molte donne hanno negato nel corso del tempo, proprio perché contrario ai principi del movimento.
Differenze
Partendo proprio dalla recente evoluzione del movimento femminista è possibile comprendere quali siano i punti essenziali che differenziano i due concetti.
- Il maschilismo è un atteggiamento, non un movimento sociale, il femminismo sì
- Il maschilismo non è legato a specifici eventi storici, per il femminismo è possibile inquadrare fasi della storia connotate dalla presenza dei movimenti femministi
- Il maschilismo parte dall’assunto che l’uomo sia superiore – fisicamente, socialmente, intellettualmente – alla donna. Il femminismo punta a una parità tra i due generi
- Il maschilismo presuppone delle gerarchie, il femminismo no
- Il maschilismo è una forma di sessismo, cioè una discriminazione nei confronti delle persone basata sul genere sessuale. Il femminismo non discrimina alcun genere.
Il femminismo, inoltre, rispetto ad altri movimenti storici, ha avuto modi, pratiche, parole e itinerari sempre differenti tra loro, persino conflittuali, molto articolati e complessi tanto che si preferisce parlare di femminismi al plurale, per darne conto in modo più corretto.
Conclusioni
Essere femministe dunque non significa odiare gli uomini perché in quel caso si parlerebbe di misandria, che altro non è se non una deriva degli ideali supportati dal movimento femminista. Non è possibile usare maschilismo come contrario di femminismo perché i due termini non fanno riferimento alla stessa cosa. Nel primo caso si tratta di un atteggiamento, nel secondo, di un movimento che in epoche e forme diverse si batte per ideali di uguaglianza di genere.
Come scrive Mirella Izzo nel libro Transcritti Politici: “Maschilismo e femminismo non sono l’uno l’opposto dell’altro, né, tanto meno, la coniugazione maschile o femminile di uno stesso fenomeno. Sono due realtà completamente diverse tra loro, con un carico culturale – sì opposto – ma assolutamente non speculare.
Dietro il maschilismo non vi sono grandi elaborazioni filosofiche, anzi, esso deriva quasi completamente da un assunto dogmatico di supremazia dell’uomo sulla donna”.
Chi contrappone i due termini lo fa per alimentare odio e per suggerire una diversa interpretazione che tende a promulgare sentimenti di avversione di un sesso verso un altro, con evidenti ricadute in termini di violenze, sessismo e discriminazioni di genere.