Caso Mario Paciolla, tutte le cose che non tornano nella versione del suicidio
Mario Paciolla, tutte le cose che non tornano nella versione del suicidio
La scorsa settimana siamo stati a San Vicente del Caguán, (Colombia) dove abbiamo raccolto alcune testimonianze cruciali dei vicini di Mario Paciolla. Restano però troppi dubbi sull’ipotesi del suicidio dell’operatore delle Nazioni Unite. Perché l’ONU ha ritirato il computer e l’agenda di Mario? Come si giustifica la quantità di sangue rinvenuta in casa, non compatibile con le ferite superficiali sui polsi? Cosa nasconde l’atteggiamento di Christian Thompson, responsabile della sicurezza della missione ONU?
Le autopsie: difficoltà e incongruenze
Mario Paciolla viene trovato senza vita nella mattinata del 15 luglio. Apparentemente, si sarebbe impiccato con un lenzuolo, dopo essersi inciso i polsi. Sul corpo del cooperante italiano sono state realizzate due autopsie. La prima viene eseguita a Florencia (Colombia), pochi giorni dopo la morte. I risultati non sono resi pubblici, ma inducono le autorità colombiane a sostenere con forza la tesi del suicidio. Non si spiega però la presenza all’Istituto di Medicina Legale di Jaime Hernán Pedraza, responsabile dell’Unità Medica della Missione ONU: all’autopsia potrebbero assistere solo medici forensi.
Il corpo di Mario viene trasferito in Italia il 23 luglio. I secondi esami autoptici vengono condotti da Vittorio Fineschi, noto alle cronache giudiziarie per le consulenze in assistenza alla famiglia Cucchi. Tuttavia, il lavoro del gruppo dei medici legali italiani è complicato dalle condizioni in cui arriva il cadavere, non ricomposto e ricoperto di segatura. I risultati parziali dell’autopsia, trapelati sul Corriere della Sera, segnalano due importanti incongruenze: il solco sul collo, in apparenza troppo profondo per il lenzuolo utilizzato, e la grande quantità di sangue trovata in casa Paciolla, incompatibile con i tagli superficiali rinvenuti sui polsi dell’italiano. Nei prossimi giorni saranno resi noti i risultati definitivi dell’esame autoptico, nella speranza che le condizioni del corpo abbiano reso possibile la definizione della causa della morte.
Le zone oscure intorno a casa di Mario Paciolla
Nelle testimonianze che abbiamo raccolto emerge che la strada in cui era ubicata l’abitazione di Paciolla, nel quartiere Villa Ferro di San Vicente del Caguán, era sorvegliata da un vigilante di un cantiere situato a poche decine di metri di distanza. Il custode ci racconta di non aver notato, nella notte del 14 luglio, nessun movimento sospetto nella via, eccezion fatta per il passaggio dello stesso Mario intorno alle 22.15, quando esce di casa per realizzare una lunga telefonata, muovendosi nervosamente nei pressi della propria residenza.
Tuttavia, la zona boschiva antistante all’abitazione di Paciolla é totalmente oscura e priva di sorveglianza. Non é da escludere che gli eventuali assassini abbiano raggiunto la casa del cooperante italiano dal retro, accedendo dalla botola situata sul tetto, per poi organizzare la messa in scena del suicidio. Un’operazione che avrebbero potuto realizzare solo figure ad altissima formazione militare, certamente più sofisticate nelle modalità operative dei gruppi narcoguerriglieri che operano nella regione.
Il comportamento dell’ONU prima e dopo la morte
L’ipotesi è alimentata dal poco comprensibile atteggiamento dei responsabili della sicurezza della missione ONU, guidati da Christian Thompson Garzón, nei giorni successivi alla morte di Paciolla. Dal giorno della morte, Thompson si appropria delle chiavi di casa. Nonostante l’autorizzazione della polizia, Thompson impedisce l’ingresso al secondo piano dell’edificio –dove Mario viveva– al proprietario, residente al piano di sotto. Quando vengono gli restituite le chiavi, la botola é chiusa dall’interno.
Nelle ore precedenti, l’ONU aveva requisito una serie di materiali privati che potrebbero permettere di risalire alla causa della morte di Mario, o per lo meno alla condizione di stress psicologico che lo pervadeva dal 10 luglio. Tra questi elementi si segnalano il computer personale e un’agenda: tanti collaboratori di Paciolla a San Vicente del Caguán ci hanno testimoniato l’impossibilità di incontrare Paciolla senza il suo libretto degli appunti, dove segnalava quotidianamente le problematiche e le difficoltà del territorio e dell’organizzazione. Tutti i materiali sono ancora nella mani dell’ONU, che sta proseguendo la sua indagine interna.
Il processo investigativo dell’ONU avanza in assoluto silenzio, e l’ufficio stampa della missione non ha ancora dato una risposta pubblica a un evento che risale alle ore antecedenti al decesso. Secondo quanto riportato dalla giornalista Claudia Duque su El Espectador, Paciolla avrebbe contattato Christian Thompson alle ore 22.00 del 14 luglio. Una chiamata a quell’ora può risultare anomala, e richiedere eventualmente l’attivazione di un protocollo di assistenza immediata. Alle ore 22.15 il vigilante vede Mario parlare nervosamente per telefono in strada. Era ancora in contatto con Thompson, o stava chiamando l’ex fidanzata Ilaria Izzo? Nella prima ipotesi, come ha agito Thompson di fronte alla telefonata?
La figura di Thompson
Attorno al profilo di Thompson ruotano tante delle domande irrisolte della vicenda di Paciolla. Contrariamente a quanto emerso, la sua pagina Linkedin è ancora accessibile. Il curriculum del responsabile della sicurezza della missione racconta di una formazione militare come sottufficiale dell’esercito colombiano, di una lunga esperienza nel settore delle imprese dell’estrazione minerale e di una recente collaborazione con l’UNAID: l’Agenzia per lo sviluppo internazionale degli Stati Uniti, da tempo operativa in Colombia e storicamente vincolata alla CIA. Un profilo che rende inevitabile una domanda, sollevata in Colombia da Ojopublico.co: perché affidare un incarico di tale rilevanza a una figura come quella di Thompson, relazionata da decenni a strutture con interessi contrastanti a quelli delle Nazioni Unite e del processo di pace colombiano?
Il trincerante silenzio dell’ONU impedisce di trovare risposte ai tanti dubbi che ancora permangono, connessi anzitutto con la causa scatenante delle preoccupazioni di Mario Paciolla: la riunione della Missione di Verifica del 10 luglio, dopo la quale l’italiano comincia a sentirsi pedinato, comunicando la necessità di tornare a Napoli il prima possibile. In una vicenda ancora piena di ombre, l’Ambasciata Italiana in Colombia, presente in alcuni degli interrogatori realizzati virtualmente dall’Italia, appare altrettanto impenetrabile, in una sorta di “patto del silenzio” con le Nazioni Unite.
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