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Cos’è la Marcia del Ritorno dei palestinesi

Immagine di copertina
Credit: Said Khatib/ Afp

È iniziata il 30 marzo e durerà almeno sei settimane. La grande protesta dei palestinesi chiede che i discendenti dei rifugiati che hanno perso le loro case nel 1948 possano ritornare alle proprietà della loro famiglia nei territori che attualmente appartengono a Israele

A partire da venerdì 30 marzo 2018, per sei settimane, i palestinesi hanno indetto la cosiddetta Marcia del Ritorno. Nella prima giornata della manifestazione, a cui hanno preso parte circa 30mila persone, almeno 16 palestinesi sono stati uccisi nello scontro con i soldati israeliani. Il bilancio dei feriti è di almeno 1.400.

l segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto “un’indagine indipendente e trasparente” sugli scontri a Gaza tra palestinesi e truppe israeliane mentre i membri del Consiglio di sicurezza hanno invitato alla moderazione e a un abbassamento delle tensioni da entrambe le parti.

La data di avvio della manifestazione ha coinciso con la Giornata della Terra, che segna l’espropriazione da parte del governo israeliano di terre di proprietà araba in Galilea, avvenuta il 30 marzo 1976. Le manifestazioni dureranno per sei settimane fino al 15 maggio, anniversario della fondazione di Israele, che i palestinesi definiscono “Nakba”, una catastrofe • Qui la diretta di TPI con tutti gli aggiornamenti in tempo reale della marcia.

Cos’è la Marcia del Ritorno

La grande marcia ha l’obiettivo di realizzare il “diritto al ritorno”, una richiesta palestinese secondo la quale i discendenti dei rifugiati che hanno perso le loro case nel 1948 possano ritornare alle proprietà della loro famiglia nei territori che attualmente appartengono a Israele.

Israele si oppone a qualsiasi ritorno di rifugiati su larga scala, dicendo che distruggerebbe il carattere ebraico del paese.

“Ci siamo svegliati un giorno per scoprire che le forze israeliane avevano preso d’assalto il nostro quartiere, costringendoci a lasciare le nostre case senza preavviso”, racconta a Middle East Eye, Fadila al-Ashi, un’anziana donna di 82 anni, che non desidera altro che tornare nella sua casa di Beersheba, che oggi appartiene a Israele.

Al-Ashi è una degli oltre 750mila palestinesi cacciati con la forza dalle loro città e villaggi nei territori palestinesi occupati, dopo la proclamazione dello stato di Israele nel maggio 1948, in quella che i palestinesi chiamano la Nakba, la catastrofe.

“Abbiamo camminato per ore finché non siamo arrivati a Gaza. La situazione non era migliore lì. Abbiamo dormito per giorni in una stalla. Pensavamo che presto saremmo tornati nei nostri villaggi, ma non è mai successo”.

Un’usanza dei profughi palestinesi è quella di tenere appesa al muro di casa la chiave delle loro vecchie case prima della cacciata, simbolo di una speranza mai sopita.

A 70 anni da quel tragico episodio, il numero di rifugiati palestinesi in tutto il mondo è superiore ai 5,34 milioni, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa).

Le richieste dei manifestanti

Una vasta rete di attivisti palestinesi ha organizzato la massiccia marcia di 46 giorni per chiedere il diritto al ritorno. La Grande Marcia del Ritorno è partita il 30 marzo da diverse aree tra cui Gaza, dove Hamas ha già allestito una tendopoli, la Cisgiordania e Gerusalemme. Altre marce sono organizzate all’estero, in Libano, Siria e Giordania.

La giornata di avvio coincide con quello che i palestinesi chiamano Land Day, la Giornata della Terra, per commemorare il giorno in cui le forze israeliane hanno ucciso sei palestinesi durante le proteste contro la confisca delle terre della Galilea nel 1976.

L’obiettivo della marcia è attraversare i confini di Israele e arrivare nei villaggi che un tempo erano abitati dai palestinesi. L’esercito israeliano ha schierato l’esercito e 100 cecchini sul confine con Gaza, e ha detto che monitorerà molto attentamente la marcia.

Oltre a marciare in occasione del 70esimo anniversario della proclamazione dello stato di Israele e della “Nakba”, i palestinesi protesteranno in risposta alla decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale dello stato ebraico.

I palestinesi chiedono inoltre che venga attuata la Risoluzione 194 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del dicembre 1948, che stabiliva che “i rifugiati che desiderano tornare alle loro case e vivere in pace con i loro vicini dovrebbero essere autorizzati a fare così alla prima data praticabile”.

Le vicende storiche della Palestina

La Palestina fu sotto il dominio britannico dal 1917 al 1948, quando le forze britanniche si ritirarono dopo mesi di aspri combattimenti. Nel 1917, Arthur Balfour, allora segretario degli esteri britannico, promise di aiutare a stabilire una casa nazionale per il popolo ebraico in Palestina, in quella che è conosciuta come la dichiarazione di Balfour.

Oggi nella striscia di Gaza vivono circa 2 milioni di persone, in condizioni economiche e sociali molto difficili.

Gaza dal 2006 è governata da Hamas. Il risultato elettorale di quelle consultazioni scatenò gli scontri tra le due fazioni, che degenerarono in una guerra civile, in cui morirono oltre 600 palestinesi.

Da allora la Palestina è de facto un paese diviso: Hamas continua a controllare la Striscia di Gaza, nonostante il suo governo non sia riconosciuto dalla comunità internazionale, mentre Fatah amministra la Cisgiordania. Hamas è un movimento radicale islamico, con un proprio braccio armato. Le origini risalgono agli anni Settanta ma fu fondato ufficialmente nel 1987, quando cominciò l’insurrezione palestinese nota con il nome di prima Intifada.

Al-Fatah o Fatah è un’organizzazione politica e paramilitare palestinese, che fa parte dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, l’Olp. Fatah è un movimento politico laico, che si oppone alla lotta armata e gode del supporto della comunità internazionale.

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