Malesia, le proteste per il voto regolare
Decine di migliaia di malesi hanno manifestato al Merdeka Stadium, per chiedere 'elezioni pulite' al governo di Najib Rezak
Malesia proteste per il voto regolare
Così tanta gente, allo stadio di Kuala Lumpur, non si era mai vista. Neppure per i concerti di Michael Jackson. 100 mila secondo gli organizzatori, 45 mila per le forze dell’ordine. Erano comunque tanti, tantissimi i malesi che hanno riempito il Merdeka Stadium, fin dalla mattina di sabato 12 gennaio, con un unico obiettivo: difendere i propri diritti di elettori.
Vestiti di giallo e verde, in una manifestazione pacifica e già definita storica dai media locali, i sostenitori dell’opposizione hanno sfilato per le vie della capitale fino a raccogliersi in un luogo simbolo della città: lo stadio costruito nel 1957 per celebrare l’indipendenza (merdeka, in malese). Lì hanno ascoltato il discorso di Anwar Ibrahim, leader del Parti Keadilan Rakyat, il ‘partito della giustizia’ che punta a spodestare il premier Najib Razak.
Il mandato di Najib scade ad aprile e le elezioni dovrebbero tenersi a giugno. A cinque mesi dal voto, in Malesia monta la preoccupazione per brogli e irregolarità che, sostiene l’opposizione, sarebbero già in corso. Per questo il movimento Bersih (che significa ‘pulizia’) ha deciso di portare in piazza la richiesta di una radicale riforma elettorale.
“Non è solo l’opposizione, ma tutto il popolo malese a pensare che non ci sarà un voto davvero libero e regolare”, spiega una giornalista locale. “Il governo ha già dimostrato di essere pronto a tutto per ottenere la rielezione. Le liste elettorali sono piene di nomi duplicati e di persone decedute o registrate con falsi documenti. L’esecutivo ha concesso la cittadinanza, e quindi il diritto di voto, a migliaia di lavoratori, immigrati di recente da Paesi come Bangladesh e Indonesia. Intanto, i nostri padri e nonni – di origine cinese o indiana, ma in Malesia da una vita – sono tuttora considerati stranieri”.
A scatenare le proteste è anche l’incertezza sulla data e le regole delle prossime consultazioni. “Ancora non è chiaro se e come i malesi residenti all’estero potranno votare”, continua la giornalista. “E Najib potrebbe usare un altro trucco: fissare il voto con meno di 21 giorni d’anticipo, per non dare agli altri partiti il tempo di organizzare una vera campagna elettorale”.
Non è la prima manifestazione di massa del Bersih, formato nel 2006 da 62 organizzazioni non governative e sostenuto dai partiti d’opposizione. La prima, nel novembre 2007, portò in piazza tra le 30 e le 50 mila persone, disperse dalle forze dell’ordine con lacrimogeni e cannoni d’acqua. L’ultima, il 28 aprile 2012, era finita in modo simile: con la brutale repressione della polizia e i video su Youtube a far crescere l’indignazione generale. Sabato scorso il governo si è limitato a trasformare il centro di Kuala Lumpur in un grande labirinto di blocchi stradali e filo spinato, senza usare la forza. I manifestanti, dopo aver accettato le 27 condizioni imposte dalle forze dell’ordine, hanno ripiegato sullo stadio e tutto è filato liscio.
“Il governo di Najib Razak ha portato pace e prosperità a tutti i cittadini e il tasso di povertà è tra il 2 e 3 per cento. Non c’è bisogno di alcun cambiamento”. Questo, a manifestazione in corso, è stato il commento del vice premier malese Muhyiddin Yassin. Una replica che conferma come i successi in campo economico rappresentino la principale arma dell’esecutivo per arginare il malcontento. E far passare in secondo piano anche le accuse di corruzione.
In soccorso a Najib e alla sua maggioranza, ci sono i più che positivi dati sulla crescita del Paese. Nonostante il commercio rappresenti oltre il 60 per cento della sua economia, la Malesia sembra aver già superato la crisi globale. Nel 2012, il Pil del Paese asiatico ha avuto un incremento del 5,2 per cento e, secondo le stime della Banca Mondiale, crescerà ancora del 5 per cento nel 2013.
Ma al di là della crescita, il governo di Kuala Lumpur deve fare i conti con un malcontento che deriva dalla volontà dei malesi di partecipare attivamente alla vita politica del proprio Paese, attraverso un sistema elettorale che sia equo e trasparente.