Mal-educati
Come si va a scuola in Siria
“Il popolo vuole la caduta del regime”. Questa frase, a imitazione di quanto è avvenuto in Tunisia ed Egitto, è stata scritta da un gruppo di quindici ragazzi delle elementari e delle medie sui muri di una scuola di Deraa nel sud della Siria. Era il 15 marzo 2011.
Sono passati oltre due anni da quel giorno e le scuole, così come gli altri luoghi di aggregazione, continuano a essere al centro del violento conflitto siriano. Ma se nelle zone controllate dal governo esse funzionano quasi normalmente, nelle zone liberate nel nord del paese le scuole sono state quasi sistematicamente prese di mira dai bombardamenti.
Colpendo le moschee, le scuole e i forni, viene provocato un esodo forzato: alcuni si trasferiscono nei paesi limitrofi (Libano, Turchia e Giordania); altri si spostano all’interno del paese verso le zone controllate dal regime per cercare maggiore sicurezza.
E’ in atto, in sostanza, una strategia che spinge la popolazione locale a lasciare i villaggi caduti in mano ai ribelli. Interrompendo la vita quotidiana della popolazione civile, la perdita del controllo governativo su tali zone diventa meno rilevante per il regime.
Per tanto, accanto ai numerosi interessi geopolitici che s’intrecciano nel conflitto in Siria, non va trascurata la pressione esercitata sulla popolazione. Mentre il regime fa leva su questo elemento, giocando sulla contrapposizione fra i diversi gruppi etnico-religiosi, il problema principale per l’opposizione (Coalizione nazionale siriana) – riconosciuta dal Gruppo degli Amici della Siria – risiede nella sua capacità di affermare una propria credibilità nei confronti dei siriani che risiedono all’interno del paese. La sua debolezza sta, infatti, nella labilità del suo rapporto con la popolazione civile siriana.
Per esercitare una pressione psicologica sulla popolazione, dunque, quale modo migliore se non quello di colpire le scuole, cuore pulsante di una società? Dei 3.128.000 bambini toccati dal conflitto siriano, l’80% ha un’età compresa tra i 4 e i 18 anni.
Secondo l’Unicef, nelle zone più colpite nei governatorati di Aleppo, Deraa, Homs, Idlib, Ar-Raqqa e la campagna intorno a Damasco, almeno una scuola su cinque non funzionerebbe più. I dati dell’ultimo rapporto del Ministero dell’Istruzione siriano riferiscono che 2.963 scuole (circa il 16,5% delle 22.000 scuole dell’intero paese) sono state danneggiate o saccheggiate, mentre 680 sono state usate per accogliere gli sfollati (sono oltre 4 milioni gli sfollati interni in Siria).
Alcuni Comitati di coordinamento locale (i tansiqiyyat) – una rete di attivisti che si è mobilitata immediatamente dopo lo scoppio delle prime sommosse – affermano, invece, che almeno 3.875 scuole in tutto il paese sarebbero state danneggiate e 450 completamente distrutte.
Nel nord della Siria anche gli insegnanti scarseggiano. Non ricevendo più alcun finanziamento da parte del governo siriano molti di loro sono partiti per il Libano dove, a causa dell’afflusso di numerosi studenti siriani, l’offerta di lavoro nelle scuole private di Beirut è salita.
Intanto nei villaggi siriani dove le scuole sono state rase al suolo, alcuni gruppi di attivisti hanno iniziato a improvvisare giornate di studio sia all’interno delle moschee che in appartamenti privati (circa tre ore al giorno). Nei casi in cui, invece, sono presenti sia gli insegnanti che le strutture – spesso negli agglomerati più grandi – la scuola rimane aperta dall’alba fino al tramonto per permettere al maggior numero di studenti provenienti dall’intera regione di continuare a studiare.
Ma con quali programmi didattici? Nel nord della Siria è in corso un acceso dibattito a livello locale: mantenere i vecchi programmi di studio oppure rinnovarli? Nelle zone con una forte presenza islamica è già stata introdotta una rigorosa educazione a sfondo religioso, impedendo, in alcuni casi, alle bambine di accedere allo studio.
I Comitati di coordinamento locale, da parte loro, stanno cercando di mantenere il corso di studio tradizionale che vanta un buon livello, soprattutto nelle materie scientifiche, introducendo, tuttavia, dei cambiamenti per quanto riguarda l’impostazione della storia recente del loro paese, dominata dall’apologia del Baath e dal concetto di panarabismo.
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