Non illudetevi, la stragrande maggioranza degli americani sta con Trump
Il commento di Fulvio Scaglione sulla miopia dei media, dei democratici e di una parte dei cittadini nel comprendere la realtà sociale e politica statunitense
Diciamocelo: magari farà tanti danni, ma per adesso Donald Trump è una pacchia. Democratici, amici di Hillary, benintenzionati di tutto il mondo uniti, idealisti e giornalisti: dove lo troveranno mai un altro così? Con quella faccia, con quel fisico e con quella personalità sembra creato da un pubblicitario per diventare la più efficace arma di distrazione di massa in azione sul pianeta Terra. Di quale altro presidente un grande giornale nazionale potrebbe scrivere, senza essere sbertucciato, che manovra per far togliere il voto ai neri, a quasi il 15 per cento della popolazione americana?
Ma il punto, ovviamente, non è Trump. Il problema è l’insopprimibile tendenza a cantarsela e suonarsela, a scambiare i desideri per realtà e le speranze per fatti. Virus che contagia anche la percezione che abbiamo dell’America, che è poi il nostro mito di riferimento, ciò che crediamo di conoscere dentro e fuori. Non è Trump, è l’America bella corposa di Trump ciò che rifiutiamo di vedere.
Facciamo qualche esempio. Nell’aprile e nell’ottobre del 2016, durante la campagna per le presidenziali, il Pew Research Center, uno dei più autorevoli e indipendenti centri di ricerca del modo, condusse un sondaggio presso gli elettori che si erano registrati per votare, gli unici aventi diritto a farlo. In entrambi i casi, il 54 per cento degli intervistati rispose che gli Stati Uniti dovevano ridurre il numero degli immigrati e dovevano badare ai propri problemi. lasciando che gli altri paesi si arrangiassero con i propri.
Ora, passi non averci fatto caso in aprile. Ma in ottobre? Il primo dibattito televisivo tra Hillary Clinton e Trump si era svolto il 26 settembre, il secondo e il terzo il 10 e il 19 ottobre. Quando tutti scrivevano che Clinton dominava la scena, che era in vantaggio, che aveva “il 90 per cento di possibilità di diventare Presidente”. E nelle fasi decisive di una campagna elettorale non butti un occhio a un sondaggio del Pew che dice quelle cose?
Poi è arrivato il giorno dell’insediamento. E giù le foto, per mostrare che laddove Obama aveva fatto il pieno, The Donald si era beccato un sacco di spazi vuoti. Ovvio: è brutto, è grosso, parla e balla male, sua moglie è bella, ma vuoi mettere Michelle. Dopo di che, salta fuori che il buon Trump è stato seguito in televisione da 31 milioni di spettatori, il che lo pone al terzo posto di questa graduatoria dopo l’ineguagliabile prima inaugurazione di Ronald Reagan (1981, 41,8 milioni di spettatori) e la prima di Barack Obama nel 2008 (37,8 milioni). Che non è per niente male, visto che Reagan è stato uno dei presidenti più popolari della storia americana e Obama era pur sempre il primo presidente nero.
Ma soprattutto, i dati televisivi parlano di politica. L’elettore tipo di Trump, per fare un’estrema sintesi dell’analisi dei flussi elettorali, è un bianco con più di 40 anni, di reddito medio, con famiglia, che vive in città medie e piccole quando non addirittura in centri rurali. È uno, insomma, che si guarda il presidente in tv, mica si precipita a marciare per le strade di Washington.
E di nuovo, speranze per fatti, quando Trump blocca per tre mesi l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di sette Paesi di Medio Oriente e Africa. Anche lì: a dar retta a Bruce Springsteen e ai giornali, gli americani non chiedevano altro che accogliere immigrati e profughi e proprio non riuscivano a capire perché a quel pazzo del loro presidente fosse venuta un’idea così malsana.
Tutti pronti a occupare gli aeroporti. Tutti disposti a dimettersi dal posto di lavoro per protestare contro l’assurdo. Una serie infinita di cronache dalla Quinta Strada di New York o dai quartieri bene di Washington e di dichiarazioni di grandi borghesi sdegnati su cui è arrivata, un paio di giorni dopo, la gelata di un sondaggio Ipsos-Reuters: 49 per cento degli americani è a favore del provvedimento, 41 per cento è contrario.
Però va bene così, domani ce ne sarà un’altra. Il che, ovviamente, è più divertente che fare i conti con il mondo com’è, com’è diventato con quelli che parlavano bene, ballavano bene e “vuoi mettere Michelle”. Per dire: un gruppo di esperti dell’Onu ha appena consegnato al Consiglio di Sicurezza un rapporto in cui spiega che l’Arabia Saudita e la coalizione che con essa colpisce nello Yemen – Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein, più un po’ di Egitto, Marocco, Sudan – fa strage di civili – i morti, laggiù, sono ormai più di 10 mila – a un punto tale che nel rapporto c’è scritto che “hanno sistemi di individuazione dei bersagli assolutamente inefficaci o applicano una strategia precisa di distruzione delle infrastrutture civili”. Insomma, o sono scemi o sono stragisti. E sapete chi fornisce l’intelligence militare ai sauditi nello Yemen? Stati Uniti, Regno Unito e Francia.
Con questo sistema non solo ci copriamo gli occhi di fronte a Trump, che sarebbe il meno. Ma ci impediamo di vedere gli Stati Uniti per ciò che sono e, quindi, per ciò che potrebbero fare. Per esempio, distruggere la Libia. Aiutare i jihadisti in Siria. Ultimamente, darsi come presidente un Trump. Ipotesi che tutti avevano scartato. Trump, com’è probabile, farà i suoi danni. Ma se intanto badassimo a quelli che facciamo noi?
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