Anche noi musulmani abbiamo paura del terrorismo, rispettate il nostro dolore
“Non ne posso più del terrorismo, dei morti, del #NotInMyName. Anch’io ho paura. Ma ho la sfortuna di condividere una religione con questi folli”. Il commento
La prima reazione è sempre quella di sperare, ingenuamente forse, che sia stato solo un incidente. Poi arrivano le prime notizie di un attentato e con quelle aumenta l’inquietudine. Poi senti la parola “terrorismo” e sale la paura – quella che sia stato “uno di noi”.
Mentre scrivo questo pezzo, ancora non vi è stata alcuna rivendicazione, ma arriverà, arriverà anche quella, e sappiamo tutti da parte di chi.
Ne ho scritti tanti di articoli in cui vi ho chiesto di non credere a chi vi dice che siamo diversi, che esistono i buoni e i cattivi, che siamo noi contro voi.
Ne ho scritti tanti in cui vi chiedevo di non generalizzare, in cui mi dissociavo dal sedicente Stato Islamico, in cui ribadivo che questi esseri disumani non c’entravano niente con l’Islam della maggior parte dei 1,5 miliardi di musulmani del mondo.
Ma a che scopo?
Dopo ogni attentato mi son ritrovata a ripetere gli stessi concetti, ma dopo ogni attentato avete fatto più fatica a credermi. Fino ad arrivare a oggi.
C’è stato un attacco terroristico a Londra, una città in cui ho vissuto per 4 anni, su un ponte che per andare a lavoro ho attraversato tutti i giorni, due volte al giorno, per due anni.
Fa terribilmente male. Forse perché conoscendo quel ponte a memoria, riesco a immaginare fin troppo vividamente la scena. Forse perché ancora oggi ci passano sopra decine di miei amici, parenti e colleghi tutti i giorni. Non lo so.
Quel che so però, è che a pochi interessa sapere quanto io ci stia male. Ogni attentato, piuttosto, sembra dare conferma del fatto che tutto ciò che sostengo e che vi ho detto finora sia una menzogna.
Io non ne posso più. Di niente. Nè del terrorismo, né dei morti, né del #NotInMyName.
Non ne posso più di dovervi spiegare l’Islam, di dover rispettare il vostro dolore quando ignorate il mio, di dovervi rassicurare dopo ogni attentato perché avete paura. Anch’io ho paura. Tanta. Ma ho la sfortuna di condividere una religione con questi folli, che se pure l’hanno infangata, storpiando il significato di ogni testo sacro, continuano ad usarne il nome ingiustamente, creando così un divario sempre più grande tra noi.
Sento un senso di impotenza che mi pervade e vorrei poter fare qualcosa di più, qualcosa che possa porre fine a tutta questa violenza. Invece più ci penso, più ho paura, perché non vedo una fine imminente e non riesco a trovare una soluzione. Fin qui credo che le mie siano frustrazioni condivise da molti di voi, ma c’è una cosa che ci differenzia: voi avete l’un l’altro, io no.
Per gran parte della società, io sono “una di loro”. Una ben integrata, una meno pazza, ma pur sempre una di loro. La società in cui vivo mi fa sentire come se avessi il potere di cambiare le cose; mi chiede “perché”, come se avessi una risposta o capissi questa violenza, mi chiede aiuto, illudendomi che io possa davvero fare la differenza o trovare una soluzione.
E per questo io la cerco ancora più disperatamente. Quest’aspettativa che viene riposta in me, come negli altri musulmani in occidente, accresce e rende ancora più doloroso, insopportabile e frustrante il senso di impotenza che provo ogni volta che c’è un attacco terroristico in Europa.
Se non riuscite più a credermi, se non volete farlo, non fatelo. Ma, vi prego, rispettate il mio dolore e la mia paura, come io rispetto il vostro.
L’articolo di Sabika Shah Povia è stato pubblicato originariamente qui.
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