Alla scoperta della lobby israeliana che vuole influenzare la politica estera europea
Davide Lerner spiega come la potente lobby israeliana di Washington foraggia la crescita della sorella minore europea
“Sapendo che mi occupo di lobbying per Israele”, esordisce Alex Benjamin in occasione dell’incontro dedicato al ‘lato oscuro dell’assistenza esterna europea’ al parlamento di Bruxelles, “sono sicuro che molti di voi si aspettino che il mio intervento si concentrerà sugli aiuti ai palestinesi”.
Il direttore di Europe Israel Public Affairs (Eipa), un’organizzazione che ha come scopo dichiarato quello di promuovere gli interessi israeliani all’interno delle istituzioni europee, alza lo sguardo e si aggiusta gli occhiali. “Ebbene, avete indovinato, questo è esattamente ciò che mi appresto a fare”, dice con ironia.
Il savoir faire del lobbista di mestiere, figura accettata e perfino istituzionalizzata nella bolla europea della capitale belga, strappa un sorriso a parlamentari, giornalisti e burocrati presenti in sala. Sono pronti ad ascoltare quel ‘simpatico direttore di Eipa’, che tratta tutti come fossero amici fin dal primo incontro e fa sentire importanti anche i ‘signor nessuno’.
Il suo discorso sul cattivo uso che i palestinesi farebbero dei finanziamenti europei, che l’anno scorso hanno raggiunto i sei miliardi di euro in dieci anni, si concentra sul sostegno alle famiglie dei ‘martiri’ a cui l’Autorità nazionale palestinese intitolerebbe perfino le scuole.
La tesi che l’Unione europea dovrebbe prestare maggiore attenzione al modo in cui vengono usati i propri soldi, espressa dissimulando la parzialità ad arte, sembra fare breccia fra gli spettatori.
Ricorre quest’anno il decimo anniversario della pubblicazione di ‘La lobby israeliana e la politica estera degli Stati Uniti‘, l’articolo dei noti accademici americani John Mearsheimer e Stephen Walt poi divenuto libro.
L’elemento centrale del loro saggio polemico è proprio l’organizzazione sorella di Eipa, la molto più potente e conosciuta American Israel Public Affairs Committee (Aipac). Nel libro, gli autori accusano Aipac e altre organizzazioni che farebbero parte della galassia della lobby israeliana a Washington di influenzare la politica estera americana in Medio Oriente in modo deleterio per gli Stati Uniti, al fine di favorire Israele.
Ciò avverrebbe attraverso una serie di canali di influenza, cha vanno dal finanziamento condizionato delle campagne dei membri del Congresso a pressioni nel mondo accademico e dei giornali. La stessa Hillary Clinton, che a fine anni Novanta sosteneva uno stato palestinese e addirittura baciava Suha, la moglie di Arafat, avrebbe cambiato posizioni a causa dell’influenza della lobby.
Il risultato? Che dal 1976 nessun paese al mondo riceve dagli Stati Uniti più soldi di Israele senza che, secondo gli autori, ci sia una ragione morale o strategica che lo giustifichi.
Non solo, ma la lobby, che si compone principalmente di ebrei ma anche di neoconservatori e di ‘cristiani sionisti’ che vedono la presenza ebraica in Palestina come premessa necessaria al ritorno di Gesù, avrebbe fatto commettere alle amministrazioni americane errori irreparabili. Dalla guerra in Iraq del 2003, che non si sarebbe verificata senza le sue pressioni, fino all’atteggiamento sempre aggressivo nei confronti dell’Iran e del suo programma nucleare.
Secondo Marc Schulman, commentatore ed editore di Historycentral.com, nell’ultima fase di questo decennio la lobby americana ha perso potere. “Opporsi all’accordo fra Stati Uniti e Iran è stato un errore madornale, la regola numero uno di qualsiasi gruppo di pressione è non mettersi a viso aperto contro il presidente in carica”.
Le conseguenze si sarebbero già viste nell’ultimo accordo decennale stretto fra Obama e Netanyahu, che prevede un trasferimento di 3,8 miliardi all’anno di aiuti da Washington a Gerusalemme.
“È indubbiamente una cifra enorme, ma Israele si impegna a non chiedere finanziamenti ulteriori al Congresso a meno che non si verifichino situazioni di rischio eccezionali”, spiega Schulman a TPI. “Questo taglia fuori Aipac, perché rende inutile la parte di lobbying concentrata sui parlamentari”.
Nel frattempo però la lobby americana si impegna a foraggiare la ‘sorella minore’ di Bruxelles, come racconta proprio il direttore di Eipa Alex Benjamin a TPI: “In occasione del loro ultimo congresso hanno finanziato il viaggio di una decina di europarlamentari a Washington, fra cui Fulvio Martusciello di Forza Italia, capo della delegazione per le relazioni con Israele al parlamento europeo”, dice. “Questo ci aiuta molto, e ci sono vicini in numerose altre maniere”.
“Il mercato politico europeo è però diverso da quello americano”, continua Benjamin, “soprattutto in fatto di politica estera, la possibilità di condizionare direttamente i decision-makers è molto più limitata”.
Il modo più efficace di esercitare influenza, spiega, è concentrarsi sulle rappresentanze permanenti dei paesi membri dell’Ue in preparazione dei Consigli degli affari esteri. E sul parlamento laddove ha potere, come per esempio sul bilancio dell’Unione.
“In questo momento la nostra battaglia principale è quella sugli aiuti esteri europei nella regione mediorientale: se riusciamo a spingere affinché venga considerata una questione di budget, piuttosto che di politica estera, allora sì che potremmo insistere attraverso i nostri contatti fra i parlamentari affinché l’utilizzo dei soldi ricevuti dai palestinesi venga controllato come si deve”.
Eipa lavora più facilmente con le destre che con i progressisti. Talvolta, ammette sottovoce Benjamin, i gruppi politici di Marine Le Pen e Nigel Farage sono desiderosi di creare legami con Eipa.
“Lo chiamo il filosemitismo degli antisemiti”, ride un assistente dell’italiano Martusciello, “i vecchi stereotipi sul potere e la ricchezza degli ebrei rendono alcuni politici con tendenze xenofobe interessati a stringere legami con la lobby”. “Oltre a questo”, continua “c’è il fatto che vedono Israele come un alleato contro l’islam e per esteso contro l’immigrazione”.