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Da Taiwan, all’Ungheria: ecco da dove arrivano i cercapersone esplosi in Libano durante l’attacco attribuito a Israele contro Hezbollah. E spunta un legame con l’Italia

Immagine di copertina

Il giallo dello stabilimento di produzione, l'amministratrice di origine italiana e i conti in rosso. Ecco cosa abbiamo scoperto sull'azienda di Budapest indicata come produttrice dei dispositivi esplosi in Libano e Siria, che hanno provocato almeno 12 morti (compresi due bambini) e 2.750 feriti in un attacco attribuito a Israele

I cercapersone modello AR-924, usati anche dai miliziani del gruppo armato sciita libenese Hezbollah, sono stati prodotti (o almeno commercializzati) da un’azienda ungherese, che sembra anche avere un flebile legame con l’Italia. Ma riavvolgiamo il nastro.

Quando ieri pomeriggio, intorno alle 15,30 ora di Beirut (le 14,30 in Italia), sono cominciati a esplodere migliaia di cercapersone in tutto il Libano e in alcune zone della Siria in un attacco attribuito ma mai rivendicato da Israele, che ha provocato almeno 12 morti (compresa una bambina di 8 anni e uno di 11) e 2.750 feriti, il New York Times ha pubblicato la notizia che erano stati prodotti da un’azienda di Taiwan, la Gold Apollo, il cui marchio era effettivamente impresso su questi apparecchi.

In mattinata però la società di Taipei ha fatto sapere che i cercapersone in realtà erano stati realizzati da un’altra azienda, con sede a Budapest, la BAC Consulting Kft. “In base a un accordo di cooperazione, autorizziamo BAC a utilizzare il nostro marchio per la vendita di prodotti in determinate regioni, ma la progettazione e la produzione dei prodotti è di esclusiva responsabilità di BAC”, ha affermato l’azienda in una nota. “La nostra azienda fornisce solo l’autorizzazione per l’uso del marchio e non è coinvolta nella progettazione e produzione” di questi dispositivi.

“Questi non sono i nostri prodotti”, ha dichiarato poi il presidente della società Hsu Ching-kuang durante una conferenza stampa a Taipei. “Non sono i nostri prodotti dall’inizio alla fine”, ha aggiunto il manager della Gold Apollo, secondo cui la società ha un accordo con la BAC Consulting “da tre anni”, senza però fornire prove dell’esistenza di un contratto tra le due imprese.

Legami con l’Italia?
Noi di TPI siamo andati a verificare le informazioni fornite dall’azienda taiwanese. Secondo il registro delle imprese di Budapest e l’Amministrazione nazionale delle dogane ungheresi, esiste effettivamente un’azienda denominata “BAC Consulting Kft” con sede nella capitale. La sua attività principale è la consulenza aziendale e la collaborazione con altre società. La sede ufficiale si trova in una piccola palazzina di una strada prevalentemente residenziale a Zugló, nel quattordicesimo distretto della capitale ungherese. Il nome della ditta è affisso sulla porta a vetri su un foglio A4. Dall’altra parte del vialetto sorge invece un capannone, che però ospita diverse altre aziende. Non c’è traccia di alcuno stabilimento produttivo. Un piccolo giallo ma da qui in poi sembrano emergere anche dei flebili legami con l’Italia. 

L’amministratore delegato e unico rappresentante della società, come emerge anche dal sito-web dell’azienda, risulta essere una certa Cristiana Rosaria Arcidiacono-Bársony, una 49enne residente a Újpest, nel quarto distretto di Budapest. Lei stessa, sul sito-web dell’azienda, sostiene di avere “radici italiane e ungheresi”. D’altronde nella presentazione della società si legge: “BAC Consulting ha sede nella splendida città di Budapest, fondendo il background culturale, l’energia e la bellezza dell’Area Mediterranea con quella dell’Europa centro-orientale del suo fondatore”. Per invogliare i clienti poi, nella pagina dedicata ai contatti, l’azienda promette: “Quando sarete a Budapest, saremo lieti di parlare con voi, sorseggiando un delizioso caffè italiano”.

Nella breve biografia di Arcidiacono-Bársony, oltre alle lauree e ai master conseguiti a Londra, figura anche una laurea in Fisica e Fisica Ambientale all’Università di Catania. Tra i principali risultati conseguiti, si legge sempre sul sito-web, ci sono anche alcuni articoli pubblicati su riviste scientifiche e su alcuni quotidiani, tra cui LaSicilia, sul cui sito-web però non risultano pezzi a sua firma né interviste.

A dire la verità la “consulente strategica”, fondatrice, amministratrice e presumibilmente proprietaria dell’azienda sembra anche l’unica a lavorarci. Anche se sul sito dell’impresa si legge: “Operiamo a livello internazionale come agenti di cambiamento con una rete di consulenti”, di cui però non abbiamo trovato traccia da nessuna parte. Le stranezze però non finiscono qui.

Cosa non torna
A quanto risulta dai documenti ufficiali, la BAC Consulting Kft è stata fondata nel maggio del 2022 e registrata il mese successivo in Ungheria, quindi poco più di due anni fa. Come può avere un accordo di cooperazione con la Gold Apollo “da tre anni”, come ha affermato oggi il presidente della società taiwanese? Magari è solo una svista o un problema amministrativo. Come scrive la stessa amministratrice della società ungherese, quest’ultima opera dal 2019 anche se ufficialmente è stata registrata solo tre anni dopo. Ma non finisce qui.

Nella sua breve biografia e nella presentazione dell’impresa sul proprio sito-web, Arcidiacono-Bársony si dice esperta di “questioni climatiche, idriche e di conflitto” e la BAC Consulting Kft vanta collaborazioni anche con l’Unesco nell’ambito del Programma Idrologico Internazionale (IHP, International Hydrological Programme) che, secondo la rappresentanza italiana presso questa agenzia delle Nazioni Unite “si propone di promuovere e diffondere la conoscenza scientifica, la formazione tecnica e gli indirizzi necessari per una gestione idrica che sia al tempo stesso efficiente, responsabile e eco-sostenibile”.

Secondo il suo profilo Linkedin inoltre, la 49enne ha conseguito un dottorato presso una delle università più prestigiose del Regno Unito, lo University College London (UCL), quindi ha studiato alla London School of Economics and Political in Science (LSE) e ha conseguito anche un Master in Sviluppo sostenibile per la gestione delle risorse naturali alla School of Oriental & African Studies della capitale britannica. La donna sostiene di essere stata membro del board dell’Earth Child Institute, un gruppo dedito alla sostenibilità, dalle cui pagine ufficiali però non risulta alcun legame con la consulente ungherese. Avrebbe inoltre collaborato come esperta con la Commissione europea e scritto articoli per l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). Ma cosa c’entri questo genere di attività con la produzione e la commercializzazione con altro marchio di dispositivi cercapersone non l’abbiamo capito.

La sua azienda però è impegnata in vari settori, come emerge dal suo sito-web: dalla consulenza alla vendita di gioielli, fino alle telecomunicazioni. A quanto risulta dal registro delle imprese ungheresi, BAC Consulting Kft infatti è anche abilitata alla produzione di dispositivi tecnici e alla vendita di prodotti tecnologici, anche se questa non è la sua attività principale. Secondo quanto appare sullo stesso sito, l’impresa è impegnata “nella cooperazione tecnologica internazionale per vendere prodotti di telecomunicazione”, tra l’altro, sui mercati dei Paesi asiatici e in via di sviluppo. Non risulta però disponibile alcun elenco dei prodotti commercializzati né figura alcuna descrizione dei cercapersone AR-924 esplosi ieri in Libano e Siria. Comunque, secondo gli ultimi due bilanci (gli unici), la società avrebbe registrato vendite nette per 549.420 euro. 

BAC Consulting Kft però non naviga in buone acque: dal 2022 al 2023 il suo patrimonio è sceso di quasi un terzo e le passività totali sono quasi decuplicate. Il capitale sociale risulta pari 7.840 euro e i ricavi totali sono scesi dai 725.768 del 2022 ai 593.972 dell’anno scorso. Non sorprende così che l’indice di solvibilità sia definito “scarso” dallo stesso registro delle imprese ungheresi, secondo cui la “probabilità di fallimento entro un anno” supera il 2 per cento. Insomma non appare certo un fornitore solido. Su questo e su altri punti abbiamo provato più volte a contattare l’azienda ungherese e la sua amministratrice ma non abbiamo ancora ricevuto risposta.

Da dove e come siano arrivati i dispositivi in Libano e Siria resta quindi ancora tutto indagare. È però anche possibile che siano stati acquistati e rivenduti da (e poi a) terze parti. Secondo l’agenzia di stampa britannica Reuters, che cita in proposito una fonte di alto livello delle forze di sicurezza in Libano e un’altra fonte a conoscenza dell’operazione, alcuni mesi fa, il Mossad (i servizi segreti israeliani) avrebbe piazzato una serie di piccole cariche esplosive e un mini-detonatore vicino alla batteria di almeno cinquemila cercapersone importati dal gruppo armato sciita libanese Hezbollah, intercettando la partita di dispositivi di comunicazione. Chissà che la “pista ungherese” non sia solo una tappa di questo viaggio.

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