Lettera d’amore per Jarablus
L’appassionata opinione di una donna curda sull’intervento turco in Siria e sul futuro del Kurdistan
La Turchia sta attaccando la città di Jarablus, nel nord della Siria, con l’aiuto dei gruppi islamisti appoggiati da Ankara e il supporto aereo degli Stati Uniti. Non solo i curdi di Rojava (la repubblica autonoma curda che controlla ampi territori nel nord della Siria e dell’Iraq, ndr) sono circondati a sud dalla Russia e dalle forze del regime di Assad, al centro dall’Isis e l’insieme di gruppi jihadisti che cercano di conquistare potere e territori, ma adesso a nord gli Stati Uniti hanno permesso l’invasione della Siria da parte della Turchia.
E a peggiorare la situazione, sebbene non sia una sorpresa, si ritiene che Barzani (il presidente del Kurdistan iracheno, ndr) abbia approvato l’invasione dopo un incontro con Erdogan.
Tradita, circondata, soffocata dall’asfissiante tanfo del tradimento, nonostante i miliziani dell’YPG siano stanchi dai recenti combattimenti per la liberazione di Manbij e il conflitto con Assad a Hasakah, Rojava, sarà infaticabile.
Quello con cui la Turchia, Assad, gli Stati Uniti, l’Iran e i suoi alleati, con le loro mentalità fasciste, imperialiste, colonialiste e violente, hanno a che fare non è più “il problema curdo”, ma “l’alternativa curda”, un’ideologia che ha visto migliaia di questi combattenti della libertà scalare il monte Shengal per liberare gli Yazidi e combattere eserciti centinaia di volte meglio equipaggiati di loro, un’ideologia che si è rivelata più potente di qualsiasi bomba che l’Isis e la Turchia potranno lanciare contro i curdi, e che alla fine ha portato alla liberazione di Kobane; la stessa ideologia che brilla più luminosa dei missili costruiti dagli Stati Uniti e adesso lanciati dalla Turchia su Jarablus e i suoi innocenti civili, e che agirà come un faro che guiderà gli sfollati verso Kobane, Cezire e Afrin.
Le autonome zone di libertà, umanità e resistenza continuano ad esistere, resistono, resistono e resistono e persistono a brillare luminose nonostante le frontiere chiuse, le trame segrete, le alleanze fatte e poi rotte. Non possiamo più affidarci alle montagne, nemmeno loro sono in grado di proteggerci da questo mare di tradimento, come non abbiamo mai potuto fare affidamento su alcuni curdi del nostro popolo.
Ma la fonte della nostra liberazione è ancora nelle nostre mani. Nelle mani giovani che reggono le armi della liberazione e della libertà, nell’idea dell’integrazione e del multiculturalismo. Appena le potenze imperialiste, i vampiri assetati di sangue del capitalismo, si aiutano l’un l’altro per distruggere la Siria e Rojava, traumatizzando e terrorizzando i bambini, noi ricostruiamo; accogliamo l’affamato, lo stanco, il profugo, colui che ha perso tutto, accettiamo le persone che sono state fino a pochi anni prima la causa e responsabili delle torture, degli stupri, dei massacri e dell’oppressione ai danni del nostro popolo, e copriamo le loro stanche spalle curve con la calda coperta della democrazia.
E questa è l’arma più potente, la minaccia più grande, il più esplosivo ordigno di profondo e radicale cambiamento che stanno cercando di soffocare con la tattica del terrore, fingendo di distruggere i terroristi che loro stessi hanno creato. Ma la nostra arma è di gran lunga più grande; è il fragile, vecchio uomo –ritenuto così pericoloso – che costrinsero di vivere in solitudine per 17 anni in una cella nell’isola di Imrali, e diede alla luce un’ideologia e una rivoluzione così profonda da distruggere migliaia di anni di razzismo e sessismo e ha permesso alle oppresse donne arabe di gettarsi volontariamente tra le braccia sicure delle donne siriane.
L’ideologia che guida armeni, assiri, arabi, cristiani e altri popoli a unire le loro mani e combattere insieme come un unico corpo nel quale scorre un unico sangue e a combattere in prima linea per creare un’alternativa.
La leggenda di Rojava, di Kobane, vive ancora, respira, si modella e cresce. Rojava non sarà consegnata al passato, non diventeremo Camelot, Avalon nè l’Itaca di Omero dei tempi che furono, perché ormai troppe persone hanno conosciuto il suo nome, e in tantissimi sono disposti a morire per essa – non per l’Utopia di un distante e imprevedibile futuro, ma per l’Utopia che oggi è realtà.
Non immaginano nemmeno con tutte le loro alleanze fondate sulla vendita delle armi e di interessi che portano ovunque la guerra contro chi stiano combattendo: puoi uccidere le persone, distruggere gli edifici fatti del più resistente cemento e metallo, ma non puoi uccidere le idee e le libere menti che le pensano.
La Turchia sta attaccando la città di Jarablus, nel nord della Siria, con l’aiuto dei gruppi islamisti appoggiati da Ankara e il supporto aereo degli Stati Uniti. Non solo i curdi di Rojava (l’autoproclamato stato curdo che occupa ampi territori nel nord della Siria e dell’Iraq, ndr) sono circondati a sud dalla Russia e dalle forze del regime di Assad, al centro dall’Isis e l’insieme di gruppi jihadisti che cercano di conquistare potere e territori, ma adesso a nord gli Stati Uniti hanno permesso l’invasione della Siria da parte della Turchia.
E apeggiorare la situazione, sebbene non sia una sorpresa, si ritiene che Barzani (il presidente del Kurdistan iracheno, ndr) abbia approvato l’invasione dopo un incontro con Erdogan.
Tradita, circondata, soffocata dall’asfissiante tanfo del tradimento, nonostante i miliziani dell’YPG siano stanchi dai recenti combattimenti per la liberazione di Manbij e il conflitto con Assad a Hasakah, Rojava, sarà infaticabile. Quello con cui la Turchia, Assad, gli Stati Uniti, l’Iran e i suoi alleati, con le loro mentalità fasciste, imperialiste, colonialiste e violente, hanno a che fare non è più “il problema curdo”, ma “l’alternativa curda”, un’ideologia che ha visto migliaia di questi combattenti della libertà scalare il monte Shengal per liberare gli Yazidi e combattere eserciti centinaia di volte meglio equipaggiati di loro, un’ideologia che si è rivelata più potente di qualsiasi bomba che l’Isis e la Turchia potranno lanciare contro i curdi, e che alla fine ha portato alla liberazione di Kobane; la stessa ideologia che brilla più luminosa dei missili costruiti dagli Stati Uniti e adesso lanciati dalla Turchia su Jarablus e i suoi innocenti civili, e che agirà come un faro che guiderà gli sfollati verso Kobane, Cezire e Afrin.
Le autonome zone di libertà, umanità e resistenza continuano ad esistere, resistono, resistono e resistono e persistono a brillare luminose nonostante le frontiere chiuse, le trame segrete, le alleanze fatte e poi rotte. Non possiamo più affidarci alle montagne, nemmeno loro sono in grado di proteggerci da questo mare di tradimento, come non abbiamo mai potuto fare affidamento su alcuni curdi del nostro popolo.
Ma la fonte della nostra liberazione è ancora nelle nostre mani. Nelle mani giovani che reggono le armi della liberazione e della libertà, nell’idea dell’integrazione e del multiculturalismo. Appena le potenze imperialiste, i vampiri assetati di sangue del capitalismo, si aiutano l’un l’altro per distruggere la Siria e Rojava, traumatizzando e terrorizzando i bambini, noi ricostruiamo; accogliamo l’affamato, lo stanco, il profugo, colui che ha perso tutto, accettiamo le persone che sono state fino a pochi anni prima la causa e responsabili delle torture, degli stupri, dei massacri e dell’oppressione ai danni del nostro popolo, e copriamo le loro stanche spalle curve con la calda coperta della democrazia.
E questa è l’arma più potente, la minaccia più grande, il più esplosivo ordigno di profondo e radicale cambiamento che stanno cercando di soffocare con la tattica del terrore, fingendo di distruggere i terroristi che loro stessi hanno creato. Ma la nostra arma è di gran lunga più grande; è il fragile, vecchio uomo –ritenuto così pericoloso – che costrinsero di vivere in solitudine per 17 anni in una cella nell’isola di Imrali, e diede alla luce un’ideologia e una rivoluzione così profonda da distruggere migliaia di anni di razzismo e sessismo e ha permesso alle oppresse donne arabe di gettarsi volontariamente tra le braccia sicure delle donne siriane. L’ideologia che guida armeni, assiri, arabi, cristiani e altri popoli a unire le loro mani e combattere insieme come un unico corpo nel quale scorre un unico sangue e a combattere in prima linea per creare un’alternativa.
La leggenda di Rojava, di Kobane, vive ancora, respira, si modella e cresce. Rojava non sarà consegnata al passato, non diventeremo Camelot, Avalon nè l’Itaca di Omero dei tempi che furono, perché ormai troppe persone hanno conosciuto il suo nome, e in tantissimi sono disposti a morire per essa – non per l’Utopia di un distante e imprevedibile futuro, ma per l’Utopia che oggi è realtà.
Non immaginano nemmeno con tutte le loro alleanze fondate sulla vendita delle armi e di interessi che portano ovunque la guerra contro chi stiano combattendo: puoi uccidere le persone, distruggere gli edifici fatti del più resistente cemento e metallo, ma non puoi uccidere le idee e le libere menti che le pensano.
Hawzhin Azeez. La lettera è stata pubblicata in inglese su Kurdishquestion.com