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Le mura che dividono il Cairo

Immagine di copertina

Per difendere gli edifici governativi dai manifestanti le autorità egiziane hanno eretto delle mura, che causano non pochi problemi ai cittadini

Le mura che dividono il Cairo

Sono dieci le mura, fatte di grosse pietre, erette nei pressi del ministero dell’Interno per difendere l’edificio governativo dalle violenze dei manifestanti. Questi enormi blocchi di pietra rappresentano delle vere e proprie barriere per la vita di tutti i giorni degli egiziani. “Impiego un’ora in più per raggiungere il mio ufficio”. Racconta una ragazza che lavora in una Ong vicino a piazza Tahrir. “Quando sono stufa e voglio accorciare i tempi, mi porto il ricambio da casa: scarpette da ginnastica e pantaloni elasticizzati. Unico modo per poter scavalcare con più agilità. È una vera avventura ogni giorno. Molti cittadini che vivono o lavorano in centro sono nella mia stessa situazione”.

Il perimetro del ministero degli Interni è circondato da blindati della polizia e gli uomini in divisa stazionano lì giorno e notte. Mentre pochi metri più in là, a piazza Tahrir, la polizia quasi non mette piede. Una decina di vie secondarie lungo via Mohamed Mahmoud, conosciuta come la ‘via dei graffiti’, sono chiuse. “Le strade chiuse sono utilizzate – spiega la giovane – come parcheggio a cielo aperto: pullulano di egiziani, senza lavoro, che chiedono l’elemosina a chiunque ci parcheggi. La sera è il ritrovo dei teppisti e di gente malintenzionata. Anche i venditori ambulanti espongono meno cose per paura di essere derubati” conclude amaramente.

I negozi che si trovano lungo le strade che portano alle mura, con ogni probabilità, abbasseranno presto la saracinesca: “Nella mia farmacia non viene più nessuno. Da due mesi a questa parte, la clientela è diminuita del 70 per cento. Questa strada non è più una via di passaggio”, afferma una farmacista. Il suo negozio si trova in una traversa di via Mohamed Mahmoud. Poi si avvicina all’uscio e continua “Ho una scala dentro. Ogni mattina la metto a disposizione per chi vuole scavalcare: c’è chi preferisce fare così piuttosto che allungare il percorso in macchina. C’è anche chi cerca, invano, di aprire dei passaggi nelle mura, ma i buchi vengono immediatamente richiusi, la polizia su questo è molto attenta”. Poi indica con la mano l’edificio accanto. È una scuola. A causa dei blocchi di pietra, hanno dovuto fare, per motivi di sicurezza, un’altra entrata per gli studenti. “Il centro sta cambiando fisionomia: ma è una decisione priva di strategia. Gli uomini al governo non hanno calcolato le conseguenze nefaste per la vita degli egiziani. Esattamente come faceva Mubarak”. Molti palazzi governativi vicino piazza Tahrir sono stati dati alle fiamme durante le recenti manifestazioni. E gli uffici del ‘Tahrir complex’, l’ enorme edificio governativo che si affaccia nella piazza della ‘liberazione’, non sono più funzionanti.

I blocchi di pietra sono pieni di murales. Per la maggior parte disegni o scritte contro Morsi, i Fratelli Musulmani e lo Scaf. Alcuni sono firmati dagli ultras: “giustizia o caos” è il loro motto. Un’altra scritta che si ripete con frequenza è: “giustizia per Jika”, uno dei martiri degli ultimi scontri al Cairo. Diversi sono anche i disegni contro le molestie sessuali avvenute ultimamente a piazza Tahrir.

Adiacente al ministero degli Interni c’è quello della Giustizia, meno blindato del primo. E non lontano la sede del partito Libertà e Giustizia dei Fratelli Musulmani. “Anche i poliziotti – spiega un negoziante – sono esasperati e repressi. Vengono trattati come animali dai loro superiori e quando possono sfogano la loro violenza contro i manifestanti, senza distinzione di sorta. Una volta hanno dato fuoco a una macchina parcheggiata in questa zona. Si sono accaniti contro il veicolo”.

Vicino alla moschea di piazza Tahrir un egiziano, disoccupato, ma ora parcheggiatore abusivo, sorride: “nessuno vuole parcheggiare in queste vie centrali. Anche chi deve andare nei negozi: prende al volo ciò che gli serve, senza sostare a lungo. Hanno paura per la propria automobile”.

Poco distante, vicino alle rive del Nilo, c’è l’hotel Semiramis, recentemente attaccato dai manifestanti e ora chiuso. Davanti, nella stessa strada, c’è invece l’hotel Shepheard. All’ingresso uomini della sicurezza controllano minuziosamente chiunque entri. “Ispezioniamo le borse di tutti per accertarci che nessuno entri armato”, afferma uno di loro. Alla reception, un impiegato spiega: “siamo stati chiusi due settimane dopo che i manifestanti hanno dato alle fiamme il Semiramis. Ora siamo aperti ma se la situazione in questa strada peggiora, siamo pronti a chiudere da un momento all’altro”. L’enorme e lussuosa hall è deserta. E probabilmente lo sarà ancora per molto tempo.

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