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Le due anime della Turchia

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Il colpo di Stato dei militari in Turchia è fallito ma dimostra che la società turca è divisa: Kemalisti per lo stato laico contro Erdoganisti per l’Islam politico

Cento anni fa esatti, a Istanbul comandava il Sultano-Califfo, guida dell’Impero ottomano e di tutto il mondo islamico. Alla fine della Prima guerra mondiale, gli alleati occidentali cercarono di smembrare l’Impero sconfitto, ma Kemal riconquistò l’Anatolia e vi fondò la Repubblica di Turchia.

La risurrezione dei turchi è stata uno dei fatti più significativi del nostro secolo. Il più importante paese del mondo islamico ha tentato di darsi istituzioni democratiche e di armonizzare le proprie tradizioni, la propria cultura e i propri costumi con quelli del mondo occidentale. L’esperimento di Atatürk si basava su tre pilastri: secolarismo, unità etnica e apertura verso l’Occidente.

Kemal considerava l’Islam una “teologia assurda d’un Beduino immorale”, un “cadavere putrefatto che avvelena la nostra vita”. “Da più di cinquecento anni – raccontava Kemal – le regole e le teorie di un vecchio scek arabo e le interpretazioni abusive di generazioni di preti sudici e ignoranti hanno fissato in Turchia tutti i dettagli della vita civile e penale. Esse hanno regolato le forme della Costituzione, i minimi fatti e gesti della vita di ogni cittadino, ciò che deve mangiare, le sue ore di veglia e di riposo, come deve vestirsi, ciò che deve imparare a scuola: insomma i suoi costumi, le sue abitudini e persino i suoi pensieri più intimi”.

I membri della gerarchia islamica, come gli imam e i mufti, erano considerati da Kemal dei “fannulloni improduttivi che succhiano le midolla del popolo e s’ingrassano del suo sudore”. In sostanza, Kemal era convinto che il progresso dipendesse dalla separazione tra la legge civile e quella religiosa. Porre fine alle funzioni politiche dell’Islam era la priorità.

Tuttavia, il popolo turco era molto legato al passato ottomano e le moschee – specialmente durante la preghiera del venerdì – erano gremite di persone che partecipavano al rito con grande passione. Per questo motivo, Kemal dovette adattare il suo pensiero radicale a una strategia più prudente.

Tra tutte le riforme in favore del laicismo, l’abolizione del Califfato rappresentava una profonda ferita per tutto il popolo turco. La realtà contro cui si scontrava Kemal era infatti quella di un Impero che non si era retto sulla lealtà politica verso Istanbul, bensì sull’obbedienza dei credenti all’autorità religiosa del Califfo.

Sebbene le riforme kemaliste avessero ridotto le pratiche religiose sostanzialmente alla sfera privata, le resistenze interne alla società resero per lungo tempo drammatica la rottura della Turchia kemalista con il passato ottomano.

Vi furono forti ripercussioni anche negli altri paesi musulmani, abituati da secoli a volgere lo sguardo verso Istanbul per seguirne l’esempio. La fede restava forte nelle campagne e tra i ceti popolari delle città, aumentando la frattura tra la borghesia occidentalizzata e laica (kemalista) e il popolo delle campagne, maggiormente legato alla tradizione musulmana (che oggi assomiglia molto all’elettorato dell’Akp).

La sfida per la Turchia era quella di conciliare l’Islam con il progresso della vita culturale e sociale. Compito delle classi più colte era quello di non abbandonare il popolo alla propaganda dell’estremismo e per questo motivo era necessario occuparsi della religione, pur non volendole dare spazio in politica.

Grazie all’eredità di Atatürk, la Turchia è diventata il più importante alleato dell’Occidente, entrando nella Nato nel 1952 e avviando il processo di integrazione nell’Europa comunitaria nel 1963. Quando nel 1999 la Turchia diventa ufficialmente paese candidato, sia il presidente francese Jacques Chirac che il cancelliere tedesco Gerhard Schröder erano favorevoli al suo ingresso nella Comunità.

Nessuno menzionò la questione religiosa come un ostacolo e la società turca sembrava compatta nel volere l’Europa. Dal 2001 al 2004, con l’arrivo al potere di Recep Tayyp Erdoğan, la Turchia ha compiuto enormi progressi verso l’adesione – basti pensare alla crescita economica o all’abolizione della pena di morte (2004).

Ciononostante, l’ingresso di Cipro nell’Unione Europea insieme ai paesi dell’Europa dell’Est (2004) e l’arrivo di Angela Merkel (2005) e Nicolas Sarkozy (2007) alla guida dell’Europa comunitaria sono stati una vera e propria doccia fredda per i turchi. Hanno capito allora che il processo di adesione è una farsa. Nessuno li vuole in Europa perché sono musulmani.

Il sogno cominciava a svanire e il paese a dividersi. Si è iniziato a parlare di Neo-ottomanesimo quando Erdoğan ha rispolverato la gloriosa tradizione ottomana, ancora molto viva nell’animo del popolo turco. La religione è diventata sempre più uno strumento politico efficace per compattare l’elettorato intorno all’Akp e per rilanciare il modello politico, economico e culturale turco in tutto il Medio Oriente.

Nel 2011 la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita hanno sostenuto con armi e finanziamenti il progetto per sovvertire la fragile rivoluzione non violenta anti-Assad in Siria e rimpiazzarla con una rivolta armata il cui vero obiettivo era instaurare uno Stato islamico sunnita e non una democrazia laica. La sete di potere del presidente ha intensificato il processo di ritorno dell’Islam in politica e le derive autoritarie.

Nel 2013 Erdoğan ha represso le proteste dei giovani di Gezi Park, spaccando di fatto il paese in due. L’obiettivo di Erdoğan è arrivare in sella fino al 2023 e festeggiare il centenario della Repubblica da leader indiscusso.

Nel frattempo però il caos in Siria e in Iraq e l’invasione russa dell’Ucraina destabilizzano i confini orientali riaprendo violentemente anche la questione curda. Dalla politica “zero problemi con i vicini” la Turchia di Erdoğan è passata a essere sola contro tutti (curdi, Assad e ISIS).

La repressione del dissenso interno ha compromesso l’immagine di Erdoğan sia in patria che in Occidente e la sua politica autoritaria ha messo le due anime della Turchia l’una contro l’altra. Il tentativo di colpo di stato lo dimostra.

Il processo di democratizzazione della Turchia avviato con l’obiettivo dell’adesione all’Unione Europea sarebbe potuto diventare un esempio di compatibilità tra Islam e democrazia e avrebbe inviato un messaggio forte e chiaro al resto del mondo musulmano: solo un Islam libero e depoliticizzato, ma compreso e rispettato, può essere integrato all’interno dell’Europa.

Continuare a sottovalutare l’importanza del fattore religioso, soprattutto se si parla di un paese con 80 milioni di musulmani, non aiuterà a stabilizzare la regione, anzi, lascerà la scena al caos alimentando sempre più il fanatismo di chi si sente incompreso e disprezzato.

Commento scritto su Facebook dell’ex Ambasciatore in Turchia Carlo Marsili:

Il tentativo di colpo di Stato in Turchia è fallito. Del resto il tentativo di una fazione dell’Aeronautica con un seguito piuttosto modesto nell’esercito era destinato al fallimento, forse speravano di colpire Erdoğan nella sua casa di Marmaris dove si trovava in vacanza. Ma il resto delle forze armate e la gendarmeria si sono chiaramente dissociate. Anche Fetullah Gulen si è dissociato dagli USA e ho anch’io l’impressione che i ribelli abbiano agito mostrando di ispirarsi piuttosto al kemalismo anche per attrarre la simpatia di una parte della popolazione. La conclusione è che il Governo è più forte di prima. Se sarà capace di usare questa forza per qualche opportuna correzione politica in senso meno divisivo è da vedere, sarebbe altamente auspicabile. La società turca è troppo profondamente spaccata per far presagire una vera stabilità al di là di quella parlamentare. È evidente che ci saranno ripercussioni negative sugli investimenti dall’estero. Ma la Turchia è un grande Paese, ce la farà anche se tante sono le premesse per non essere ottimisti sul suo futuro.

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