La scuola di fede di Hezbollah
Viaggio all'interno del museo di guerra del Partito di Dio libanese. Dove vive fortissimo il valore della "Resistenza". Una potente arma comunicativa
La scuola di fede di Hezbollah
Rami Hasan non ha mai imbracciato un fucile. È un insegnante di biologia presso la Canadian Lebanese Academy di Nabatieh. Ha 26 anni, è sposato e ha una vita normale. Eppure è una figura importante di Hezbollah, il partito politico sciita del Libano. Si occupa delle pubbliche relazioni e dei rapporti con i media del Mleeta Resistance Tourist Landmark, ovvero il ‘museo di guerra’ del Partito di Dio. Qualcosa di unico e originale, espressione massima della straordinaria potenza comunicativa del movimento libanese.
Mleeta è un luogo simbolo della resistenza. “Un avamposto strategico da cui Hezbollah ha combattuto contro l’Israeli Defense Force (le Forze di Difesa Israeliane). Da qui sono partite migliaia di operazioni militari”, ci spiega Rami, che accoglie i visitatori con cortesia e professionalità, come fossimo in un museo d’arte. Invece a essere esposti sono carri armati israeliani, armi ed equipaggiamenti. “Abbiamo avuto più di un milione di presenze dall’inaugurazione (il 25 maggio 2010, decimo anniversario del ritiro israeliano dal Libano) a oggi”. Famiglie e turisti che scelgono di visitare quello che ad alcuni potrebbe sembrare un luna park dell’orrore ma il cui valore storico è senza dubbio notevole.
‘Scuola di fede e Jihad’, così è scritto sul sito internet del museo. Perché l’indottrinamento è la base e il collante sociale del gruppo guidato da Hassan Nasrallah, i cui ritratti campeggiano nel parco assieme a quelli di Al-Musawi e dei leader iraniani Khomeini e Ali Khamenei. Dall’ingresso ci si incammina verso il cosiddetto ‘Abyss’, un parco tematico di 3.500 metri quadrati sul conflitto israelo-libanese, in cui sono esposte armi e parte del ‘bottino di guerra’. Poi si intraprende un sentiero nei boschi in cui i guerriglieri si posizionavano, fino ad arrivare alla ‘Cave’, un bunker lungo 200 metri usato durante il conflitto del 2006. E ancora spiegazioni storiche, tattiche di guerriglia e armi della resistenza. Non manca l’area destinata alla preghiera. Quantomeno ‘bizzarra’ è la mappa con le coordinate di obiettivi sensibili israeliani, come il centro di ricerca nucleare nel deserto del Negev.
“Un noto giornalista americano si tolse le scarpe prima di entrare, perchè considerava Mleeta un luogo sacro”, racconta Rami con orgoglio. “È impossibile non percepire l’atmosfera sacra di questi luoghi, dove la terra è intrisa del sangue dei nostri martiri”. Un tema ricorrente, quello del martirio, nella dottrina di Hezbollah, che ha saputo sapientemente mescolare, negli anni, una strategia puramente militare e di guerriglia, servendosi di attentati e rapimenti di ostaggi, a una linea politica e sociale con cui si è guadagnata un’ampia legittimazione popolare. La comunicazione e il welfare, con la costruzione di scuole, ospedali e l’assistenza alle famiglie dei militanti, sono due pilastri della sua politica.
Il coinvolgimento della popolazione del sud del Libano è totale, e le parole di Emad Awada, capo ufficio stampa di Hezbollah a Nabatieh, sono eloquenti. “Qui tutto è resistenza: vedete quei bambini che giocano laggiù?”, domanda indicando un gruppo di ragazzini intenti a esplorare un Merkava, carro armato israeliano, come fosse una giostra. “Anche loro, in questo momento, come tutte le persone presenti qui, stanno facendo resistenza, sono parte di essa. Non è soltanto con le armi che si difende un territorio”. Una frase esposta e attribuita a Moshe Ya’Alon, attuale ministro per gli Affari Strategici nonché vice primo ministro israeliano, rende l’idea: “Mi resi conto che un’operazione militare non avrebbe mai potuto neutralizzare Hezbollah”.
Il movimento ha da sempre sfruttato in maniera strategica l’informazione. La sua rete satellitare Al Manar (‘Il Faro’), con un’audience giornaliera di oltre dieci milioni di spettatori, è tra i primi quattro network del Medio Oriente. Hezbollah ha inoltre compreso le potenzialità della guerra psicologica. La ripetizione ossessiva di concetti chiave esalta il tema del patriottismo e del martirio, anche attraverso il richiamo a personaggi rivoluzionari popolari in occidente, come Che Guevara.
Di Mleeta colpisce la maniacale cura dei dettagli. C’è un ristorante, un negozio stracolmo di oggettistica e souvenir marchiati Hezbollah, e persino un presidio medico. “Lo scopo è avere un’attrazione nuova ogni anno e creare spazi per famiglie”. E in effetti i progetti futuri sembrano ideati da un imprenditore turistico: un hotel, aree campeggio e pic-nic, un circolo sportivo con piscina, e un progetto di ricerca scientifica e tutela della flora e della fauna. La stessa costruzione del museo è opera di un’avanzata e moderna scuola di architettura.
All’uscita del parco-museo le persone sono entusiaste, qualcuno ha gli occhi lucidi perché ricorda quello che ha vissuto, qualcun altro sembra essere entusiasta. “Grazie a Hezbollah, qui non abbiamo paura. E difenderemo con le nostre vite la nostra terra, sempre”, dice un giovane libanese. “Jad, un bimbo di nove anni” – conclude Rami – “ha portato qui i suoi risparmi di un anno con una lettera per Nasrallah, nella quale esprime il suo desiderio di crescere in fretta per poter sostenere la causa palestinese”. Il valore della resistenza qui è vivo. Quello che Hezbollah vuole.