La primavera di Hong Kong
Cresce la domanda di maggiore democrazia nella regione speciale cinese
Joshua Wong ha 17 anni e non è ancora maggiorenne per la legge cinese. È uno dei leader della manifestazione che si ripete ogni 1 luglio a Hong Kong per chiedere maggiore democrazia e per contestare il ritorno di Hong Kong alla Cina da parte del Regno Unito nel 1997. Quest’anno ha portato in piazza oltre 500.000 persone.
Joshua guida l’importante movimento di protesta Scholarism, che ha contribuito a fondare nel 2011. Quando lo fondò con altri suoi compagni delle superiori, Joshua aveva appena 15 anni: il movimento nacque nel 2011 per contrastare l’implementazione della Moral and national education, il curriculum di studi ufficiale approvato dal governo di Hong Kong.
Joshua ha sostenuto il referendum informale che ha portato 800.000 persone ai seggi per decidere il metodo migliore per selezionare ed eleggere il Chief Executive (una sorta di sindaco-governatore) dell’isola. I risultati del referendum sono stati resi pubblici il 30 giugno, un giorno prima della manifestazione di piazza.
Oggi Scholarism ha spostato il suo focus sulla questione elettorale. Infatti dal 2017 il Chief Executive verrà eletto dalla popolazione, anche se Pechino ha imposto che i candidati siano scelti da un apposito comitato.
In occasione del referendum, alla popolazione è stato chiesto che sistema volessero per selezionare i candidati in maniera democratica. La proposta di Scholarism è arrivata seconda, dietro di appena quattro punti percentuali quella della principale organizzazione democratica.
Il referendum era informale, e quindi privo di valore vincolante per Pechino, ma l’affluenza alle urne ha superato le aspettative e rinforzato tutto il fronte democratico.
I manifestanti hanno eletto come loro inno la versione cantonese della canzone “Do you hear the people sing?” del musical “Les Miserables”. La polizia ha fermato 511 manifestanti e nel resto del Paese i media non hanno dato copertura alla notizia se non parlando di normali celebrazioni per il ritorno di Hong Kong alla Cina. Ancora oggi dopo quasi dodici ore di fermo, 129 manifestanti sono ancora in arresto senza accuse formali.
La nuova generazione rappresentata da attivisti come Joshua è più determinata di quella precedente, riprendendo lo spirito di quella gioventù cinese degli anni Ottanta distrutta dal massacro di piazza Tienanmen.
La loro spinta a fare di più per la democrazia emerge già dalle parole dette da Joshua al New York Times “Se bastasse marciare e protestare ogni anno (il 1 Luglio n.d.r.) si sarebbe arrivati alla democrazia per Hong Kong quando ero ancora alle elementari”.
Il governo centrale di Pechino continua a stringere la propria morsa sull’isola, cercando di limitare il più possibile queste manifestazioni ma soprattutto non facendo alcuna concessione sul fronte del suffragio universale.
Nel 1999 la speranza fu che Hong Kong potesse cambiare la Cina portando maggiore dibattito pubblico, oggi l’ex colonia britannica deve lottare per non perdere i propri diritti.