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La mia vita tra i Marines

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Lindsay Pirek racconta cosa vuol dire essere una donna nel corpo dei Marines

Con quel volto angelico, i capelli biondi e la figura esile ed elegante il tenente Lindsay Pirek sembra una moderna Lady Oscar. La donna fa parte di uno dei corpi militari che più sono entrati nell’immaginario collettivo: i Marines degli Stati Uniti d’America. Per lei arruolarsi è stata una scelta naturale. La sua famiglia ha infatti una lunga tradizione di servizio militare. “Mia madre e mio padre erano ufficiali navali negli anni Settanta. Mio nonno materno è andato in pensione da capitano della Marina militare, mentre quello paterno e i suoi fratelli furono chiamati alle armi durante la Seconda guerra mondiale”, spiega Lindsay.

Data la predilezione dei genitori per la Marina, la giovane donna opta da subito per l’Accademia navale degli Stati Uniti d’America. Fondata nel 1845 dal segretario della Marina, George Bancroft, l’Accademia è un vero e proprio college con sede ad Annapolis, nel Maryland. La classe di Lindsay è composta da aspiranti guardiamarina provenienti da ogni stato americano e perfino da Paesi stranieri. Tra di loro le donne sono il 16 per cento. Tutti, maschi e femmine, devono affrontare un duro addestramento basato essenzialmente sulla condivisione delle avversità con i compagni di corso. Costruire lo spirito di squadra è l’obiettivo del training. E sembra che funzioni: già dopo il primo anno d’accademia i colleghi diventano i migliori amici di Lindsay.

Nel suo anno da senior, la giovane donna viene selezionata per entrare nei Marines. La mandano a Quantico, in Virginia, sede di una delle più grandi basi al mondo di questo corpo militare. La struttura si estende su una superficie di circa 260 chilometri quadrati, circondando la città su tre lati. Lindsay inizia qui un addestramento difficile e pesante, che dovrà portare a termine prima di poter salpare con la flotta. Non si fanno sconti a nessuno: gli standard da raggiungere sono gli stessi per uomini e donne. “Impariamo a orientarci usando solo una bussola e una mappa, a disporci in formazione difensiva e a condurre un attacco”, racconta Lindsay. Tutti devono ottenere l’abilitazione a sparare con una carabina M-4 e una pistola M9, tutti devono affrontare sfide quali percorsi a ostacoli e corsi di resistenza. Praticano inoltre le arti marziali e imparano a smontare e rimontare numerosi sistemi d’arma. Il training fisico si conclude con una marcia di oltre 24 chilometri con addosso uno zaino di più di 20 chili. La competenza nei vari settori dev’essere dimostrata sia attraverso il superamento di prove scritte, sia mediante l’applicazione pratica. Naturalmente ogni corso si pone obiettivi specifici, ma uno dei temi portanti dell’addestramento è diventare in grado di lavorare sotto pressione. È importante capire come una persona reagirebbe in uno scontro a fuoco e se, in condizioni di forte stress, saprebbe prendere la miglior decisione possibile.

A causa della bassa densità di donne presenti nel corpo dei Marines (circa il 6 per cento), nel plotone di Lindsay solo due dei 13 componenti sono ragazze. Ognuna è affidata a un diverso team, perciò il compagno di battaglia di Lindsay è sempre un uomo. “Essere una donna non ha mai rappresentato un problema. Ognuno di noi ha punti di forza e debolezze e ci siamo aiutati gli uni con gli altri per tutta la durata del corso – dice – Ero in grado di correre più veloce di alcuni miei colleghi uomini, ma loro mi aiutavano in cima ad alte pareti quando avevo addosso attrezzature pesanti. Una relazione fraterna, insomma”. Nessuna discriminazione dunque? Occorre fare dei distinguo in proposito. “Posso dire che i superiori non mi hanno mai molestato, né trattato diversamente. Hanno sempre mantenuto un comportamento professionale. Alcuni colleghi hanno però fatto commenti che potrebbero essere percepiti come discriminatori. Ci sarà sempre qualche cretino per il quale le donne non dovrebbero essere qui”, riflette Lindsay.

Terminato l’addestramento, la donna presta servizio a Okinawa, in Giappone, dal 2010 fino all’aprile del 2012 e poi in Afghanistan, nella provincia di Helmand, dall’agosto del 2012 fino al mese scorso. Due esperienze molto diverse. In Giappone sta principalmente dentro un ufficio, seduta dietro un computer. Ma si occupa anche di distribuire cibo, acqua e barili di benzina alla popolazione dopo lo tsunami che colpisce il nord est del Giappone nel marzo del 2011. Per farlo si sposta con i colleghi da Okinawa alla base aerea navale di Atsugi. Volano ogni giorno su elicotteri modello Sea Knight CH-46 per atterrare nei campi da baseball fuori dalle scuole, dove volontari giapponesi attendono gli aiuti da distribuire alla gente in fila. In Afghanistan, invece, offre supporto ai reporter che desiderano coprire la guerra. Li aiuta un po’ in tutto: dalla sistemazione in tenda alla spiegazione delle procedure di sicurezza. A volte li accompagna anche a visitare i villaggi, insieme con gli uomini della fanteria. “Ogni giorno era diverso. I sei mesi laggiù sono passati rapidamente”.

Ora Lindsay lavora a New York nel reparto Affari pubblici. “La mia giornata tipo varia molto a seconda del compito che mi viene assegnato e del luogo di lavoro. In ogni caso il mio ruolo è unico, perché sono specializzata in affari pubblici. Altri Marines, per esempio gli ufficiali di logistica o i piloti, trascorrono la giornata in maniera totalmente diversa”.

A fine gennaio con un atto firmato da Leon Panetta il Pentagono ha revocato il divieto per le donne soldato di partecipare a operazioni di combattimento. Contrariamente a quanto scritto su alcuni giornali, la revoca del Direct Ground Combat Exclusion Policy non è una grossa rivoluzione. “Come donna, sia prima che dopo la revoca, potevo guidare un convoglio e lavorare in sostegno agli uomini nella fanteria, al livello del reggimento. Le squadre femminili hanno pattugliato accanto agli uomini in Iraq e in Afghanistan, combattuto negli scontri a fuoco e guadagnato decorazioni militari per aver condotto azioni di combattimento”, chiarisce Lindsay. “Inoltre, dal momento che in guerra non esiste una prima linea ben definita, spesso le donne si trovano coinvolte in combattimenti diretti. Il vero cambiamento arriverà quando la fanteria sarà aperta alle donne”. Lindsay ammette che non sarebbe in grado di trasportare un uomo di 90 chili in tenuta da combattimento fuori dal campo di battaglia. “Penso però che ci sia almeno una donna là fuori fisicamente in grado di servire in fanteria e, se lo desidera, dovrebbe avere l’opportunità di farlo”.

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