La generazione inquieta
I giovani iraniani nutrono ben poche speranze nei confronti delle prossime elezioni presidenziali
“La nostra mente vola, ma il nostro corpo non si muove da qui” afferma un giovane di Esfahan, per descrivere il sentimento di una generazione che si sente immobile e impotente dinanzi alla situazione politica dell’Iran.
26 anni, sposato, una laurea in ingegneria e tanti mesi a cercare un lavoro nel proprio settore. “Sono circondato da amici depressi” – continua -, “alcuni di loro hanno addirittura pensato al suicidio. Ognuno di noi è frustrato a proprio modo, vuoi per il fatto che non possiamo viaggiare liberamente, vuoi per il fatto che viviamo in un sistema estremamente corrotto.
Non abbiamo né giornali, né televisioni libere e non possiamo dire quello che pensiamo quando non desideriamo altro che gridarlo!”
“Confusione” è la parola che utilizza Farid, un giovane di Teheran, per descrivere il suo stato d’animo attuale. A 25 anni si sente ingabbiato in una vita di cui si sforza invano di trovare il senso. “Noi giovani e il nostro governo rappresentiamo due mondi opposti” racconta.
“Non abbiamo nulla a che fare con la classe politica che dovrebbe rappresentarci”. Farid non è religioso, vive nel nord della capitale, la zona più ricca e più liberale del Paese, dove quasi tutte le case hanno delle antenne paraboliche per la ricevere la televisione satellitare ed evitare quella del regime.
“Mio cugino fa da prestanome a un ministro iraniano.” rivela invece un giovane ufficiale della marina della Repubblica islamica, impiegato a Bushehr, nel Golfo Persico. “È il titolare di aziende che instaura e smantella di continuo. Importa auto dall’estero e prodotti di ogni tipo dalla Cina.
In qualche anno è diventato ricchissimo. È questa la via del successo in Iran, soltanto così si può auspicare di diventare una personalità prestigiosa nel nostro Paese”.
C’è una generazione di ragazzi di città totalmente disillusa dalla politica del regime degli ayatollah. Parlare di politica è il loro sport preferito: secondo la maggior parte di loro, circa il 70 per cento della gente è scontenta del sistema sorto dalla rivoluzione del 1979.
“Dov’è il mio voto?” gridavano dopo i risultati elettorali del 2009, quando Ahmadinejad venne riconfermato presidente ai danni del candidato riformista Mousavi, tra le accuse di brogli da parte di organizzazioni e testate giornalistiche internazionali.
La speranza e la voglia di cambiamento dei ragazzi che si organizzarono nel Movimento Verde venne però annichilita dalla violenta repressione del regime, che causò decine di morti e di feriti nell’intento di soffocare la maggior dimostrazione di protesta della storia della Repubblica Islamica.
Le immagini degli scontri vennero diffuse dagli stessi dimostranti su vasta scala tramite i principali social network e raggiunsero in tempo zero il mondo intero.
Da allora, la realtà quotidiana dei giovani iraniani non ha fatto altro che peggiorare. Centinaia di siti internet e di blog anti-regime sono stati censurati, i social network principali sono stati bloccati e le voci dei dissidenti zittite. Nei mesi successivi coloro che ne hanno avuto la possibilità hanno lasciato il Paese, incrementando quella che è la fuga di cervelli più consistente al mondo.
Tra qualche giorno la popolazione ritornerà alle urne, ma le immagini delle proteste del 2009 appaiono oggi più lontane che mai. Questa volta non c’è nessun candidato riformista da poter eleggere e nessun volto nuovo che possa trasmettere un barlume di speranza ai giovani di città.
Tutti i candidati scomodi al leader supremo sono stati esclusi, compreso l’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani e il candidato proposto da Ahmadinejad, Esfandar Rahim Mashaei. L’incredibile percentuale di votanti dell’85 per cento, registrata nel 2009 non si ripeterà. È molto più probabile che la gente scelga di astenersi, piuttosto che recarsi alle urne per scegliere una tra le pedine proposte del regime.
“Questa non è un’elezione, ma una mera selezione” scrive nel suo profilo Facebook Asal, studentessa in Scienze Politiche all’Università di Esfahan.
“Non è con l’oppressione che si cambia o si costruisce un Paese” afferma invece Fozhan, ragazza 27enne di Teheran, che presto si trasferirà in Italia per un master in Hotel Management. Si trucca d’abitudine in maniera appariscente e il suo naso è visibilmente rifatto.
Le norme della Repubblica islamica non impediscono ai giovani di divertirsi in maniera simile ai loro coetanei occidentali. A Teheran, come a Shiraz o a Esfahan, molti di loro aspettano con impazienza i week-end per prendere parte a delle feste private clandestine.
Per una notte, stupefacenti e alcolici smettono di essere percepiti come illegali e le donne possono dimenticarsi dell’obbligo dell’hijab ed esprimere attraverso i propri abiti tutta la loro sensualità.
“Non c’è differenza tra noi e i giovani in Occidente” afferma Alaz, 24 anni, studente in ingegneria a Teheran. “Siamo cresciuti ascoltando la stessa musica, guardando gli stessi film e leggendo gli stessi libri. Viviamo in un mondo globalizzato e abbiamo accesso quotidianamente alle informazioni del mondo.
Il vero gap è quello tra noi è la generazione dei nostri padri. I ragazzi di trent’anni fa non avevano la nostra coscienza storica e politica della realtà ed è proprio questa nostra consapevolezza ad essere la radice della nostra insofferenza. Sappiamo quello che vogliamo e sappiamo anche quanto sia improbabile ottenerlo”.