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Guida Bardi
Home » Esteri

La Gen Z vuole cambiare il Kenya

Immagine di copertina
Credit: AGF

Nel più importante Paese dell’Africa centro-orientale, già piegato dalle disastrose alluvioni di maggio, gli studenti marciano insieme ai ragazzi delle baraccopoli per chiedere alla politica di fare qualcosa contro povertà, corruzione e privilegi

In kiswahili Maandamano significa protesta, ma è anche il nome con cui ci si riferisce alla mobilitazione di massa che da settimane, ogni martedì, sta bloccando il Kenya. 

Nell’ultimo mese e mezzo il più importante Paese dell’Africa centro-orientale è stato scosso da grandi proteste degenerate in violenti scontri con le forze dell’ordine, che hanno causato almeno 40 morti e 360 feriti. 

Tutto è iniziato con l’approvazione della nuova legge finanziaria, votata in seconda lettura dal Parlamento lo scorso 20 giugno. Nel 2023 i pagamenti degli interessi sul debito interno kenyota hanno toccato i 5 miliardi di dollari e il Governo, per rispettare le direttive stringenti del Fondo Monetario Internazionale, ha aumentato in modo significativo le tasse: del 2,5% sul carburante, del 16% sul pane, del 25% sull’olio vegetale. L’esecutivo ha anche annunciato che i costi delle transazioni sarebbero cresciuti su M-Pesa, il sistema di mobile-banking di cui il Kenya è stato pioniere e che è utilizzatissimo anche nelle baraccopoli. 

Dagli slum al centro
«La situazione continua a essere calda, molto calda», afferma Abraham, pastore della comunità di Ngomongo e referente locale di Una Mano Per Un Sorriso, una delle poche organizzazioni che operano negli enormi slum alla periferia di Nairobi. È proprio da queste baraccopoli che partono le proteste la mattina, prima di dirigersi verso il distretto finanziario del centro. 

A dire il vero partono dai social media: TikTok, Instagram e X, dove sono stati lanciati gli hashtag #RejectFinanceBill2024 e #OccupyParliament. I manifestanti usano i social anche per la raccolta fondi delle spese mediche o funerarie, e dei chatbot per ChatGPT che possono essere consultati da chiunque per monitorare la trasparenza dei leader politici. 

La grande novità di questa mobilitazione è legata a chi la anima: a lanciarla non è stata l’opposizione come in passato, ma normali cittadini. Molti di loro sono categorizzati nella Generazione Z (i nati dal 1997 in poi) mentre altri come Millenial (nati dopo il 1981). Coloro che abiteranno questo Paese e questo Pianeta nei prossimi decenni sentono l’odore acre di una situazione economica e ambientale sempre più in fiamme. 

Sono i giovani delle periferie e delle baraccopoli, dove arrivano i social media e i risultati degli Europei di calcio ma non arriva l’acqua corrente, che vedono aumentare il costo del latte da 45 a 70 scellini e del pane da 50 a 75 . «Non vogliono che mio figlio mangi chapati o mandasi», dice Gladys, 26 anni, già arrabbiata per l’aumento del costo dei pannolini, in un Paese con un tasso di natalità pari a oltre tre figli per donna. 

Ma sono anche i giovani istruiti, che stanno finendo il liceo e aspirano ad andare all’università. Fino all’anno scorso lo Stato finanziava 22.000 dei 55.000 scellini della retta universitaria o di scuola superiore, e l’Nhif, un’assistenza sanitaria per chi non poteva permettersela. Il Governo ha rimosso entrambe, causando abbandono scolastico ed esasperazione. «I deputati che hanno votato la legge finanziaria non ne verranno colpiti: hanno i soldi per mangiare, curarsi, pagare la scuola ai propri figli. Noi invece siamo poveri», dicono David e Bryan, 18 e 17 anni. 

Passo indietro
Parte della popolazione, esasperata dagli effetti della pandemia, dal carovita e dalle conseguenze delle alluvioni che a maggio hanno causato 250 morti e 150mila sfollati, si è scontrata con la polizia, che ha dato prova di tutta la sua brutalità utilizzando proiettili, cannoni ad acqua, gas lacrimogeni senza filtri. Uno di questi ha colpito Auma Obama, sorellastra dell’ex presidente degli Stati Uniti. Un uomo che era con lei mostrava un cartello con su scritto «Il colonialismo non è mai finito in Kenya». 

Le manifestazioni sono iniziate martedì 18 giugno ma hanno raggiunto un’escalation la settimana successiva, quando la parte più adulta e violenta dei manifestanti è riuscita a raggiungere il Parlamento e incendiare una parte dell’edificio. La sera del martedì successivo, quando si sono registrati spari della polizia sulla folla e almeno 9 manifestanti uccisi, il presidente William Ruto ha parlato alla nazione, promettendo una «risposta piena ed effettiva» affinché non fosse permesso, «a qualunque costo», «a persone che minacciano la sicurezza nazionale» di creare nuovamente il panico. 

Il giorno successivo l’Alta Corte di Nairobi ha accolto il ricorso urgente presentato dalla Law Society of Kenya, ordinando al Governo di fermare il dispiegamento dell’esercito (Kdf) annunciato da Ruto. 

Il presidente è poi tornato a parlare a reti unificate con toni molto diversi: se subito dopo la protesta aveva accusato i manifestanti di tradimento, nel nuovo discorso ha ceduto alle loro richieste. «Dopo aver ascoltato attentamente il popolo del Kenya, che ha detto forte e chiaro che non vuole avere nulla a che fare con questa legge finanziaria, chino la testa e non la firmerò, quindi sarà ritirata», ha detto Ruto, che ha promesso di aprirsi al dialogo con i giovani. 

Il peso degli under 35
I due sfidanti alle elezioni presidenziali del 2022 erano stati Raila Odinga (che aveva raccolto il 49,5% dei voti) e William Ruto (50,5%). 

Il primo, che ha una forte base elettorale nell’ovest del Paese e che era stato protagonista delle proteste della scorsa estate, non sembra ambire ad avere alcun ruolo né in questa nuova mobilitazione né alle prossime elezioni; preferisce rimanere in disparte per ottenere l’appoggio dell’esecutivo per una posizione di rilievo presso l’Unione Africana. 

Il secondo, invece, guarda già alle elezioni del 2027, e sa bene di non avere alcuna speranza di essere rieletto senza l’appoggio di almeno una parte dell’elettorato più giovane. 

Alle elezioni presidenziali del 2022 la fascia d’età 18-35 costituiva il 40% degli aventi diritto, con quasi 9 milioni di votanti registrati, di cui 2 milioni di Gen Z. Fra tre anni, le persone della sola Generazione Z aventi diritto saranno 14 milioni: se i giovani riuscissero a individuare e sostenere un candidato che li rappresenti, potrebbero praticamente eleggerselo da soli. 

«Non voterò per Ruto», dice Sharon, che sottolinea il prezzo sugli assorbenti raddoppiato. 

David sostiene ancora Odinga, leader dell’opposizione, mentre Bryan dice che non andrà a votare. Ha perso fiducia nel fatto che la politica istituzionale possa cambiare le cose: «Ruto – osserva – ha promesso ai nostri genitori che se avessero votato per lui avrebbe ridotto il carovita, ma sta facendo l’opposto. Odinga se ne sta buono, vuole solo una poltrona all’Unione Africana». 

In effetti il Kenya è in pole position per esprimere il presidente dell’Unione Africana nel 2025, che confermerebbe il suo percorso di ascesa politica ed economica, nonostante il debito nei confronti dei Paesi occidentali che gli cinge il collo. 

«Ogni 100 scellini che riceviamo in tasse ne paghiamo 61 in interessi sul debito», ha ricordato nel suo discorso Ruto, un po’ come per scusarsi. 

Il Kenya è un Paese con grandi potenzialità economiche. È prospero in corrispondenza degli sbocchi sul Lago Vittoria e l’Oceano Indiano, ma nell’entroterra subisce le peggiori conseguenze della crisi climatica, nonostante ne sia poco responsabile: l’85% dell’energia elettrica è prodotta da fonti rinnovabili. È assediato dalla siccità a nord, soprattutto verso la Somalia e il Sud Sudan, dove si trovano Dadaab e Kakuma, due dei campi profughi più grandi al mondo. 

Lo swahili, parlato soprattutto in Kenya, Tanzania e Uganda, ambisce a diventare lingua panafricana. 

Inoltre, Nairobi ospita la sede del programma ambientale delle Nazioni Unite, oltre che il loro quartier generale per tutto il Sud Globale.  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, è stato tra i primi a dirsi «profondamente preoccupato» dai violenti scontri. 

Clima teso
Nel diffuso sentimento di esasperazione che ha portato decine di migliaia di persone in piazza hanno avuto un ruolo anche le terribili alluvioni che poco più di un mese prima dell’inizio delle proteste hanno devastato il Paese. 

Il Governo ha ordinato l’abbattimento di tutte le case che si trovavano a meno di 50 metri dai corsi fluviali, generando ulteriore precarietà. A svilupparsi attorno ai piccoli affluenti del fiume Nairobi sono proprio le baraccopoli, in cui essi rappresentano l’unica fonte di acqua corrente. 

L’acqua ha superato il livello di contenimento della diga da cui parte il fiume Mathare, e l’omonima baraccopoli è stata investita da ondate di oltre due metri. 

Il cuore di Mathare è stato portato via; centinaia di sue case ora ricordano quelle di Pompei, con solo più solco. Camminando per Korogocho, Kibera, Mathare o Githurai è facile vedere persone che portano via mattoni e tegole in buono stato dalle proprie case rase al suolo, o finestre e mobili da quelle che presto lo saranno. 

«Le demolizioni, arrivate senza preavviso, hanno tirato via più case dell’alluvione in sé, aggiungendo dolore alla sofferenza», dice Kasee del Mathare Social Justice Center. Quest’ultimo è composto da un gruppo di cittadini attivi, che hanno coinvolto i segmenti della comunità maggiormente legati ad attività criminali o di spaccio in lavori di rimozione dei rifiuti, bonifica del territorio e creazioni di aree verdi nella baraccopoli. «La semina del bambù è particolarmente importante perché contrasta l’inquinamento del fiume, l’erosione del suolo e l’impatto di una possibile nuova alluvione». 

Il seme della protesta è germogliato, e i suoi primi frutti sono stati il ritiro della legge finanziaria, il licenziamento di 22 ministri e l’avvio di consultazioni per formare un nuovo esecutivo. Ma le mobilitazioni di piazza non si sono fermate, nemmeno nei giorni di fine luglio in cui la polizia le ha formalmente vietate (decisione poi sospesa dall’Alta Corte di Nairobi) e continuano ogni martedì.

La voce della Generazione Z è diventata la voce di tutto il popolo, che chiede che la corruzione venga arginata, che l’interferenza del Fondo Monetario Internazionale cessi e che il presidente Ruto si dimetta. I giovani del Kenya, che condividono le stesse preoccupazioni – di un’intera generazione di africani e di cittadini del mondo  disoccupazione, precarietà, restrizione dei diritti, emergenza ambientale – stanno mandando un messaggio incontrovertibile alle istituzioni kenyote e globali.

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