Kamala Harris ai migranti: “Non venite negli Stati Uniti, sarete rispediti indietro”
L'appello della vicepresidente statunitense impegnata nel suo primo tour diplomatico all'estero in Guatemala e Messico con il preciso scopo di frenare l'immigrazione proveniente dai Paesi dell'America centrale
“Non venite negli Stati Uniti: non venite”. È l’appello rivolto ai migranti dalla vicepresidente americana, Kamala Harris, durante la sua visita in Guatemala nell’ambito del primo tour diplomatico compiuto all’estero dall’entrata in carica il 20 gennaio.
“Gli Stati Uniti continueranno a far rispettare le nostre leggi e a proteggere i nostri confini“, ha sottolineato ieri Harris nel corso di una conferenza stampa congiunta con il presidente guatemalteco Alejandro Giammattei. “Se arriverete alla frontiera, sarete rispediti indietro”.
La visita della vicepresidente statunitense in Guatemalae Messico ha il preciso scopo di frenare l’immigrazione proveniente dai Paesi dell’America centrale, limitando in particolare le partenze dal cosiddetto Triangolo del Nord, costituito da Honduras, El Salvador e appunto Guatemala, e ottenendo la collaborazione del vicino messicano, il principale Stato di transito dei migranti.
Oltre 178 mila migranti, secondo le autorità statunitensi, hanno raggiunto la frontiera soltanto ad aprile, il dato più elevato mai registrato in un solo mese in più di vent’anni. Oltre il 40 per cento di queste persone proveniva proprio dal cosiddetto Triangolo del Nord. L’amministrazione americana è stata così travolta dalle critiche, soprattutto da parte repubblicana, costringendo la Casa bianca a intervenire.
“È un momento storico”, ha commentato prima della partenza Sergio Gonzalez, consigliere di Kamala Harris in materia di immigrazione ai tempi del mandato da senatrice della California. “Sarà la prima volta che altre nazioni riceveranno un vicepresidente degli Stati Uniti impersonato da una donna di colore”. Non solo.
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha affidato proprio alla sua vice, figlia di immigrati di origine indiana e giamaicana, il compito di proporre ai Paesi di provenienza un approccio più morbido rispetto all’amministrazione di Donald Trump ma non meno fermo nel ribadire la chiusura delle frontiere. Insomma, tolleranza zero ma con un volto umano, all’insegna dello sviluppo o – come si direbbe in Italia – del principio di “aiutarli a casa loro”.
Prima di partire per Guatemalae Messico, geograficamente più vicini a Washington della natia California, Harris ha rimarcato come il proprio incarico sia finalizzato a “trovare soluzioni per affrontare le cause profonde della crisi ai confini, compresa la corruzione e la mancanza di opportunità economiche“. Secondo lo staff della vice presidente americana, questa visita di due giorni, che si concluderà oggi con l’incontro del presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador, sarà soltanto la prima nella regione e mira principalmente a “raccogliere informazioni”.
Più volte negli ultimi anni, la vicepresidente statunitense si è detta convinta che nessuno voglia lasciare la propria casa a meno di sentire di non avere altra scelta. Non a caso, ieri Harris ha menzionato “la fame, gli uragani e la pandemia” tra le cause “acute” dell’immigrazione dall’America centrale verso gli Stati Uniti, ponendo l’accento sulla crescita economica e promettendo nuove misure per combattere la tratta di esseri umani, il contrabbando, il traffico di stupefacenti e la corruzione.
Negli ultimi mesi, prima dell’arrivo della vicepresidente statunitense nella regione, Washington aveva già avviato una serie di interventi in questo senso, coinvolgendo ad esempio varie aziende come Nespresso, Microsoft e MasterCard per finanziare programmi di investimento in questi Paesi e partnership pubblico-private con sussidi federali, aumentando gli aiuti ridotti da Trump.
Proprio ad aprile, Harris aveva annunciato lo stanziamento di altri 310 milioni di dollari per la regione, mentre il programma di condivisione dei vaccini promosso dagli Stati Uniti concede la priorità proprio alle nazioni del cosiddetto Triangolo del Nord nell’ambito delle 6 milioni di dosi destinate all’America meridionale e centrale.
Inoltre, per contrastare la corruzione, l’amministrazione americana ha aumentato gli aiuti alle associazioni e alle organizzazioni non governative, che di colpo si sono ritrovate a dover gestire miliardi di dollari di fondi. Ed è proprio sulle risorse concesse che si concentrano le perplessità riguardanti il piano dell’amministrazione Biden in materia di immigrazione.
L’approccio seguito dalla Casa bianca e promosso da Kamala Harris si fonda su una serie di aiuti economici allo sviluppo e al contrasto delle cause profonde del fenomeno migratorio, in primis la corruzione. Quanto emerso ieri dalla conferenza stampa congiunta tra la vicepresidente statunitense e il capo di Stato guatemalteco Alejandro Giammatteiè per lo meno l’imbarazzo delle classi politiche locali in materia.
Alla domanda sull’affidabilità della propria amministrazione come partner degli Stati Uniti nella lotta alla corruzione, il presidente Giammattei si è subito messo sulla difensiva, negando qualsiasi coinvolgimento del proprio governo in presunti illeciti. “Di quanti casi di corruzione sono stato accusato? Posso darti la risposta: zero”, ha risposto il presidente guatemalteco.
In più, proprio la promessa di milioni di dollari di fondi destinati al contrasto al fenomeno in un Paese al 149esimo posto su 180 nell’indice di percezione della corruzione pubblicato da Transparency International lancia l’allarme su come verranno amministrate queste risorse, rischiando di acuire il problema invece di risolverlo.
Harris ha poi annunciato l’istituzione di una task force congiunta con il governo del Guatemala contro la corruzione, provocando l’ulteriore irritazione di Giammattei, che ha dovuto negare di fronte alla stampa ogni forma di “ingerenza” politica, interna e internazionale, sul lavoro della magistratura.
Infine, nonostante la retorica sulla promozione dello sviluppo, i precedenti storici autorizzano a pensare che i rinnovati aiuti finanziari saranno più probabilmente spesi dalle autorità locali per armare e attrezzare i corpi di polizia e in generale le forze di sicurezza e di frontiera al fine di impedire la partenza e l’attraversamento dei vari confini da parte dei migranti. Insomma, il cammino di Kamala Harris sul fronte della lotta all’immigrazione è solo all’inizio ed è tutt’altro che in discesa.