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Julian Assange torna a parlare in pubblico per la prima volta dopo il suo rilascio: “Gli Usa hanno criminalizzato il giornalismo”

Immagine di copertina
Credit: WikiLeaks

Il fondatore di WikiLeaks è intervenuto oggi all’audizione organizzata dal Comitato Affari Legali dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa a Strasburgo

“Il governo degli Stati Uniti ha criminalizzato il giornalismo a livello internazionale”. Julian Assange torna a parlare in pubblico per la prima volta dopo il suo rilascio e attacca subito Washington che, dopo oltre un decennio di persecuzione legale nei suoi confronti, secondo il fondatore di WikiLeaks è anche responsabile del “freddo attuale clima per la libertà di espressione” in tutto il mondo.

“Vedo più impunità, più segretezza, più rappresaglie per aver detto la verità e più autocensura”, ha detto oggi Assange intervenendo all’audizione organizzata dal Comitato Affari Legali dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa a Strasburgo.

“È difficile non tracciare una linea tra il governo degli Stati Uniti che attraversa il Rubicone criminalizzando a livello internazionale il giornalismo e il freddo clima attuale per la libertà di espressione”.

“Voglio essere totalmente chiaro”, ha aggiunto il fondatore di WikiLeaks ricordando oltre 12 anni di battaglia legale. “Non sono libero oggi perché il sistema ha funzionato. Sono libero oggi perché dopo anni di carcere mi sono dichiarato colpevole di giornalismo. Mi sono dichiarato colpevole di aver cercato informazioni da una fonte”.

Cosa ha detto Assange al Consiglio d’Europa
“Quando ho fondato WikiLeaks, ero spinto da un semplice sogno: educare le persone su come funziona il mondo in modo che, attraverso la comprensione, potessimo realizzare qualcosa di meglio”, ha proseguito. “La conoscenza ci dà il potere di chiedere conto ai potenti di ciò che fanno e di esigere giustizia dove non c’è”.

“Abbiamo ottenuto e pubblicato verità su decine di migliaia di vittime nascoste e orrori invisibili della guerra, su programmi di assassinio, estradizione illegale, tortura e sorveglianza di massa”, ha continuato Assange. “Non abbiamo solo rivelato quando e dove queste cose sono accadute, ma spesso anche le politiche, gli accordi e le strutture che le sostengono”.

Per questo, ha spiegato il fondatore di WikiLeaks, “il governo degli Stati Uniti ha avviato un’indagine contro di me e i miei colleghi. Ha inviato illegalmente aerei pieni di agenti in Islanda, ha pagato tangenti a un informatore per rubare il prodotto del nostro lavoro, del tutto legale, e giornalistico e, senza un processo formale, ha fatto pressione su banche e servizi finanziari affinché bloccassero i nostri servizi e i nostri conti”.

Ma non solo gli Usa, Assange ne ha anche per le autorità britanniche che l’avevano già preso di mira prima di tenerlo in carcere per anni. “Il governo del Regno Unito ha ammesso alla Corte europea dei diritti umani di aver spiato illegalmente i miei avvocati nel Regno Unito”, ha precisato il fondatore di WikiLeaks.

“Anche mia moglie e mio figlio neonato sono stati presi di mira. Un agente della CIA è stato incaricato di monitorare in modo permanente gli spostamenti di mia moglie e sono state date istruzioni di ottenere il DNA dal pannolino del mio bambino di sei mesi”, ha aggiunto.

“Il fatto che la CIA prenda di mira me stesso, la mia famiglia e i miei colleghi attraverso mezzi aggressivi, extragiudiziali ed extraterritoriali offre una rara panoramica di come potenti organizzazioni di intelligence si impegnino nella repressione a livello transnazionale”, ha denunciato Assange. “Tali repressioni non sono uniche. Ciò che è unico è che ne sappiamo così tanto grazie a numerosi informatori e indagini giudiziarie in corso in Spagna”.

“La repressione transnazionale è condotta anche abusando dei processi legali. La mancanza di efficaci tutele contro questo significa che l’Europa è vulnerabile al dirottamento dei suoi trattati di mutua assistenza legale e di estradizione da parte di potenze straniere per perseguire le voci dei dissidenti in Europa”, ha continuato l’attivista e giornalista australiano.

“Spero che la mia testimonianza odierna possa servire a evidenziare le debolezze delle attuali garanzie e ad aiutare coloro i cui casi sono meno visibili ma che sono ugualmente vulnerabili”, ha proseguito Assange.

“Come molti degli sforzi fatti nel mio caso – che provenissero da parlamentari, presidenti, primi ministri, il Papa, funzionari e diplomatici delle Nazioni Unite, sindacati, professionisti legali e medici, accademici, attivisti o cittadini – nessuno di questi si sarebbe dovuto rendere necessario”, ha aggiunto.

“Alla fine ho scelto la libertà piuttosto che una giustizia irrealizzabile dopo essere stato detenuto per anni e aver rischiato una condanna a 175 anni senza alcuna possibilità di una via d’uscita”, ha ricordato il fondatore di WikiLeaks.

“Ormai la giustizia mi è preclusa poiché il governo degli Stati Uniti ha insistito per iscrivere nell’accordo di patteggiamento il divieto di presentare il mio caso alla alla Corte europea dei diritti umani o persino di presentare una richiesta di accesso agli atti sulla base del Freedom of Information Act per ciò che mi è stato fatto a seguito della sua richiesta di estradizione”, ha rimarcato Assange.

“L’esperienza dell’isolamento per anni in una piccola cella è difficile da trasmettere; toglie il senso di sé, lasciando solo la cruda essenza dell’esistenza”, ha concluso. “Non sono ancora completamente preparato a parlare di ciò che ho sopportato: la lotta incessante per restare in vita, sia fisicamente che mentalmente, e le morti per impiccagione, omicidio e negligenza medica dei miei compagni di prigionia”.

12 anni di lotta per la libertà
Il fondatore di WikiLeaks è tornato libero a giugno dopo aver raggiunto un patteggiamento con le autorità degli Stati Uniti e aver trascorso gli ultimi cinque anni in un carcere di massima sicurezza nel Regno Unito. Il 52enne ha accettato di dichiararsi colpevole di un reato legato al suo presunto ruolo nella pubblicazione di materiale riservato appartenente al governo statunitense su WikiLeaks, in particolare quasi 500mila documenti militari segreti relativi alle guerre in Iraq e Afghanistan.

L’accordo raggiunto con le autorità Usa segna la fine di 12 anni di battaglia legale contro l’estradizione, che Assange ha passato prima nell’ambasciata ecuadoriana a Londra – dove ha trascorso 7 anni – e poi nella prigione britannica di Belmarsh – dove è stato rinchiuso dal 2019 al giugno scorso. I termini del patteggiamento con i pubblici ministeri del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti prevedevano una condanna a 62 mesi di carcere, equivalente al periodo di tempo già scontato da Assange nel Regno Unito.

Il giornalista era stato arrestato su richiesta delle autorità della Svezia per due accuse di stupro (in seguito archiviate) ma poi la reclusione è stata prorogata per la sopraggiunta la richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti, che accusavano Assange di spionaggio. Nel 2021 l’Alta Corte britannica aveva dato il via libera alla richiesta Usa, una decisione confermata l’anno seguente dalla Corte Suprema.

L’allora ministra dell’Interno di Londra, Priti Patel, aveva addirittura disposto l’ordine di estradizione,ma Assange aveva fatto ricorso chiedendo la revisione del verdetto. Nel 2022 poi il fondatore di Wikileaks si era anche rivolto alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma i giudici comunitari avevano respinto la sua istanza. Nel maggio scorso però l’Alta Corte di Londra gli aveva concesso un nuovo appello.

La saga si è conclusa invece il 26 giugno scorso in un’aula del tribunale di Saipan, nelle Isole Marianne Settentrionali, un territorio statunitense nel Pacifico, dove un giudice federale ha confermato l’accordo e il giornalista si è dichiarato colpevole ai sensi dell’Espionage Act in vigore negli Stati Uniti.

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