Julian Assange, conclusa l’udienza finale: i giudici rinviano il verdetto sull’appello contro la procedura di estradizione
È terminata all’Alta Corte di Londra la seconda e conclusiva udienza sull’appello finale della difesa di Julian Assange, giornalista australiano e co-fondatore di WikiLeaks, contro la sua contestata procedura di estradizione dalla Gran Bretagna negli Usa.
Il verdetto ci sarà in un’altra occasione: secondo le attese è questione di giorni, ma i giudici non hanno dato indicazioni precise. Se il ricorso non fosse accolto risulterebbero esaurite le possibilità di azione legale presso la giustizia britannica.
Il fondatore di Wikileaks è accusato dalle autorità di statunitensi di cospirazione per aver rivelato, tra gli altri, documenti riservati sui presunti crimini di guerra commessi dagli Usa durante le guerre in Afghanistan e Iraq e le condizioni dei detenuti nel carcere di Guantanamo.
I suoi avvocati sostengono che, in caso di condanna, rischia fino a 175 anni di carcere, ma secondo il Governo americano è più probabile una condanna tra i 4 e i 6 anni.
Assange non era presente in aula al momento della pronuncia del verdetto: “Non si sente bene”, si è limitato a dire il suo legale, l’avvocato Edward Fitzgerald, alimentando le voci sul precario stato di salute fisico e psicologico del suo assistito, reduce da cinque anni di detenzione in isolamento.
Il giornalista australiano, 53 anni, si trova nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, nel Regno Unito, dall’aprile 2019. Era stato arrestato su richiesta delle autorità della Svezia per due accuse di stupro (in seguito archiviate), poi la reclusione è stata prolungata per la sopraggiunta la richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti.
Nel 2021 l’Alta Corte britannica aveva dato il via libera alla richiesta degli Usa, decisione confermata l’anno seguente dalla Corte Suprema. L’allora ministro dell’Interno di Londra, Priti Patel, aveva disposto l’ordine di estradizione, ma Assange aveva fatto ricorso chiedendo la revisione del verdetto del 2021. Fino alla pronuncia di oggi.
Nel 2022 il fondatore di Wikileaks si era anche rivolto alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma i giudici comunitari hanno respinto la sua istanza.
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