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Hong Kong, Joshua Wong al Senato: “Il mondo lotta contro la pandemia, mentre la Cina usa il virus per reprimere le nostre libertà”

Immagine di copertina
Joshua Wong

L'attivista di Hong Kong è intervenuto al Senato durante una videoconferenza organizzata dalla fondazione Farefuturo sul tema della libertà

Sfidando le sicure polemiche che verranno dalla Cina, come già accaduto nel novembre dello scorso anno, quando  Joshua Wong fu invitato in videoconferenza al Senato, la fondazione Farefuturo di cui è presidente il senatore Adolfo Urso di Fdi, ha nuovamente invitato l’attivista più famoso di Hong Kong, che è in attesa di un processo che probabilmente lo condannerà ad una lunga permanenza in carcere, per parlare di libertà.

Questo episodio arriva proprio nel giorno in cui tre parlamentari di Hong Kong vengono arrestati dalle autorità cinesi. Ed è proprio alla luce di questi fatti che l’evento avrà sicuramente riflessi a livello diplomatico e risonanza internazionale, Ma secondo il senatore Urso, che apre i lavori della conferenza, “Difendere la libertà di Hong Kong equivale a difendere la libertà di tutti noi”.

La presenza dell’autorevole attivista di Hong Kong arriva forse in uno dei momenti di massima tensione fra il mondo occidentale e la Cina, sia per la pandemia scoppiata proprio in Cina un anno esatto fa e propagatasi in tutto il mondo e sia per il recente accordo RCEP siglato fra la Cina e i principali paesi del sud est asiatico, che copre circa un terzo della popolazione mondiale e un terzo del Pil globale.

“Abbiamo deciso – ha detto Adolfo Urso – di affidare a Joshua Wong il compito di definire oggi il concetto di ‘libertà’ perché ha dimostrato sul campo cosa significhi lottare per i propri diritti nel teatro più difficile dove si scommette non solo il destino di Hong Kong, ma anche il nostro futuro. Oggi Hong Kong è come la Berlino di ieri, dobbiamo tenere i riflettori accesi sulla morsa illiberale da parte del regime cinese nella regione autonoma, che ha cancellato le prerogative sancite dagli accordi internazionali. La lezione di oggi è estremamente attuale perché giunge a pochi giorni dalla espulsione dei parlamentari di opposizione del Consiglio legislativo di Honk Kong”.

Joshua Wong ribadisce nel suo intervento il concetto secondo il quale la sua città godeva di un prestigio globale, come l’economia più liberale del mondo, ma ora il famigerato governo autoritario ha portato via la nostra libertà di elezione, la libertà di manifestare, la libertà di espressione e di idee. E tutto questo di fronte al silenzio colpevole di media ed autorità internazionali, troppo impegnate forse ad occuparsi della grave pandemia scoppiata nel mondo, ma non solo, come accusa Wong.

“In questo 2020, non si sono più viste delle proteste così frequenti nei media, in parte a causa della pandemia, ma soprattutto a causa del governo autoritario. Mentre il mondo è impegnato a combattere la pandemia, il nostro governo ha approfittato del virus per esercitare una morsa sempre più stretta sulle nostre libertà. Con la messa in atto delle leggi di emergenza, le assemblee pubbliche a Hong Kong sono state vietate. Recentemente è stata vietata anche una manifestazione a sostegno della libertà di stampa organizzata da giornalisti. Mentre molte persone potrebbero chiedersi se è la fine all’attivismo di strada, ora nella nostra lotta per la libertà abbiamo di fronte un’altra realtà: i tribunali e il carcere”.

Parole che risuonano come macigni nella austera sala stampa del Senato. Ma non potrebbe essere altrimenti dal momento che, ad oggi, più di 10mila persone sono state arrestate da quando è iniziato il movimento, oltre cento di loro sono giù rinchiusi in carcere. Dei 2.300 manifestanti attualmente perseguitati, 700 rischiano condanne fino a dieci anni per accuse di rivolta. Come mestamente racconta il leader delle proteste di Hong Kong.

“Da quando è iniziato il movimento, le visite in carcere sono diventate anche la vita quotidiana di molte famiglie”.  Peerchè quello che sembra non mancare, malgrado la repressione cinese diventi sempre più incalzante e dura, è la collaborazione e la coesione degli attivisti e la tenacia nel perseguire la difesa delle loro istanze di libertà e giustizia. “La coesione, la connessione e il legame tra i manifestanti sono la pietra angolare del movimento. Allo stesso tempo queste virtù hanno conferito tanto potere al pubblico di massa che potrebbe non essere in grado di combattere coraggiosamente nei momenti di escalation delle proteste”.

Le autorità cinesi approfittando della “distrazione” del mondo a causa della pandemia sembrano aver accelerato nella loro opera di repressione contro le proteste ad Hong Kong. Ad aprile, secondo quanto riporta il quotidiano inglese The Guardian, il Liaison Office – la più alta rappresentanza di Pechino a Hong Kong – ha colto l’occasione per ribadire la propria posizione di dominio sul territorio dell’ex colonia britannica. Si è dichiarato infatti svincolato dall’Articolo 23 della Basic Law hongkonghese, il quale affermava come nessun ente controllato da Pechino avrebbe avuto il diritto di esercitare ingerenze negli affari interni del “Porto Profumato”.

Tale atto, effettuato con tempistiche non casuali, minerebbe il principio del “un paese, due sistemi”, perlomeno da una prospettiva filo-hongkonghese.  Ma quello che rischia di far traboccare il vaso della protesta ad Hong Kong e la fantomatica legge sulla sicurezza nazionale, approvata a giugno, che offre nuove armi alla polizia e alle autorità di Hong Kong, controllate dalla Cina, per reprimere le proteste.

Per le autorità cinesi questa legge serve per prevenire, sopprimere e punire i reati di secessione, sovversione, terrorismo e collusione con un paese straniero a danno della stabilità interna. Le pene vanno dai tre anni all’ergastolo, a seconda della gravità dell’illecito e del grado di coinvolgimento. Tutto giusto e condivisibile ma guardando nelle pieghe della legge si capisce che tutto ciò rischia di esser solo un pretesto per permettere la repressione di qualsiasi forma di protesta. Ad esempio, atti come il ricorso alla violenza contro altre persone, l’innesco di esplosioni e il sabotaggio di mezzi di trasporto (la metro…) o infrastrutture, piuttosto ricorrenti durante i tumulti, sono qualificati come “terroristici” dall’Articolo 24, e pertanto punibili secondo le disposizioni della legge sulla sicurezza.

Un altro articolo eccessivamente interpretabile è il 20, che identifica come perseguibile per secessione chi con o senza l’uso della forza, pianifica, commette o partecipa ad atti volti a separare Hong Kong dal resto della Cina. Ed è per questo che Wong fa un appello alla comunità internazionale perché non abbandoni il popolo di Hong Kong al suo destino di suddito della Cina. “Nei prossimi mesi, dovrò affrontare un massimo di cinque anni in carcere per assemblea non autorizzata e fino ad un anno ridicolo per aver indossato una maschera in protesta. Ma le sbarre di una prigione non mi fermeranno mai nell’attivismo e nel pensiero critico. Vorrei solo che durante la mia assenza, voi potrete continuare a stare a fianco del popolo di Hong Kong, indipendentemente dalle elezioni sfortunate, seguendo da vicino gli sviluppi, gli arresti su larga scala ai sensi della legge nazionale sulla sicurezza o la sorte dei dodici attivisti in Cina”.

Leggi anche: 1. Hong Kong, Pechino fa espellere quattro deputati pro-democrazia: tutti i parlamentari d’opposizione si dimettono /2. Hong Kong, l’attivista Nathan Law: “Temo per la mia vita, l’Italia ci difenda prima che sia tardi” | VIDEO /3. “La Cina usa accordi commerciali per contare di più ma oggi l’Italia non firmerebbe il memorandum” /4. Hong Kong, Joshua Wong a TPI dopo l’arresto: “Rischio 6 anni di carcere ma non mi pento di nulla”

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