L’Italia è la peggiore d’Europa per occupazione giovanile: alcuni dati
Secondo la ricerca presentata dalla società PwC, se l'Italia riducesse il suo livello di disoccupazione giovanile ai livelli della Germania guadagnerebbe 143 miliardi
La popolarità della Germania e dei tedeschi, soprattutto in
Italia, non è esattamente altissima, e sono molti quelli che, soprattutto dopo
la crisi economica che ha colpito l’Europa negli ultimi anni, hanno visto nel
paese guidato da Angela Merkel un “primo della classe” intento a rendere la
vita difficile a tutti gli altri stati membri dell’Unione.
In particolare per quanto riguarda l’ambito del lavoro, oggi
la Germania vanta livelli occupazionali altissimi, specialmente tra le fasce
più giovani, avendo una percentuale di disoccupati non impiegati in attività
scolastiche (NEET) tra i 20 e i 24 anni che non supera il 10 per cento, battendo di
gran lunga non solo l’Italia ma molti altri paesi.
Secondo una ricerca recentemente presentata dalla società di
consulenze PwC e riportata dalla testata online Quartz, sarebbe quindi il caso di guardare alla Germania con un po’
più di ammirazione, perché se tutti i 35 paesi dell’OCSE
(Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) riducessero la
loro disoccupazione giovanile ai livelli tedeschi, il vantaggio economico complessivo
sarebbe di circa 1 bilione di euro, ovvero mille miliardi.
(Una mappa che riepiloga alcune posizioni della classifica realizzata da PwC. L’articolo prosegue in basso)
Secondo lo studio di PwC, la Germania si classifica al secondo
posto dopo la Svizzera nella loro classifica, che prende in esame diversi fattori per valutare le condizioni occupazionali ed
educative dei giovani, con gli Stati Uniti decimi nella lista, il Regno Unito al
21esimo posto e a fare da maglia nera i paesi del sud Europa, tra cui per
ultima proprio l’Italia.
Nel nostro paese, infatti, il 35 per cento dei giovani non
hanno lavoro né sono impegnati in attività educative o formative: se l’Italia raggiungesse
invece il livello della Germania, il suo PIL potrebbe aumentare di circa 143
miliardi di euro.
(Una tabella che mette a confronto Turchia, Portogallo, Spagna, Grecia e Italia rispetto alla posizione nella classifica di PwC, alla percentuale di NEET e al potenziale aumento del PIL in dollari nel caso i numeri corrispondessero a quelli della Germania. Credit: Quartz)
Quali dovrebbero essere, quindi, le strategie di paesi come
Germania e Svizzera che andrebbero imitate anche nel nostro paese? Per esempio
il cosiddetto “sistema educativo duale”, che incorpora la formazione
professionale nel sistema educativo classico, al fine di preparare i giovani al
lavoro, e nel frattempo invita le imprese a offrire questo genere di servizi
così da avere a disposizione forza-lavoro giovane.
In alcuni paesi, come il Regno Unito, questo genere di
approccio finora non ha funzionato per un pregiudizio negativo legato alla
formazione professionale, visto che i contratti di apprendistato non sono
considerati validi percorsi di carriera, nonostante sarebbero quelli più
necessari alla domanda delle imprese. Questo ha fatto sì che, come d’altronde
in Italia, tra il 2005 e il 2010 il 59 per cento dei laureati britannici siano
stati impiegati in posti di lavoro che non richiedevano una laurea.
Nelle immagini di seguito, un quadro complessivo dei dati
raccolti da PwC su istruzione e occupazione a confronto in Germania e Italia:
Germania (Credit: PwC Young Workers Index)
Italia (Credit: PwC Young Workers Index)