Mutilazioni genitali femminili, un problema anche italiano
Le donne presenti in Italia che sono state sottoposte durante l’infanzia a mutilazioni genitali sono tra le 61mila e le 80mila
Secondo una ricerca coordinata per l’Italia dall’Università degli Studi di Milano – Bicocca, parte del progetto Daphne MGF-Prev, le donne presenti sul nostro territorio che sono state sottoposte durante l’infanzia a mutilazioni genitali sono tra le 61mila e le 80mila.
Il gruppo più numeroso è quello nigeriano che, insieme alla comunità egiziana, costituisce oltre la metà del totale delle donne con mutilazioni genitali.
Ulteriori indagini hanno permesso di stimare la prevalenza del fenomeno all’interno delle singole comunità: le donne provenienti dalla Somalia presentano una prevalenza più alta (83,5 per cento), seguite da Nigeria (79,4 per cento), Burkina Faso (71,6 per cento), Egitto (60,6 per cento) ed Eritrea (52,1 per cento).
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I dati diffusi dalla ricerca e aggiornati al 2016 mostrano che in Italia il numero totale di donne straniere maggiorenni che hanno subito mutilazioni genitali femminili sia tra le 46mila e le 57mila a cui si aggiungono le neo cittadine italiane maggiorenni originarie dei paesi dove la pratica esiste (quantificate tra le 11 e le 14mila) e le richiedenti asilo.
La Mutilazione Genitale Femminile (Female Genital Mutilation – FGM) è di fatto una forma di violenza silenziosa, che calpesta i diritti di bambine e giovani donne mettendo a rischio la loro salute fisica e psicologica.
Questa pratica è un problema che colpisce anche le donne migranti che vivono in Italia, spesso a rischio di esservi sottoposte quando tornano nel loro Paese di origine per visitare i parenti.
Il gruppo di origine più numeroso è quello nigeriano che, insieme alla comunità egiziana, costituisce oltre la metà del totale (il 60 per cento) delle donne con mutilazioni genitali.
Ulteriori indagini hanno permesso di stimare la prevalenza del fenomeno all’interno delle singole comunità presenti in Italia.
Sono le donne provenienti dalla Somalia il gruppo tristemente più numeroso con una prevalenza dell’83,5 per cento di casi di mutilazioni, seguite da Nigeria (79,4 per cento), Burkina Faso (71,6 per cento), Egitto (60,6 per cento) ed Eritrea (52,1 per cento).
Negli ultimi due anni l’associazione ActionAid si è impegnata per porre fine a questa pratica anche tra le comunità migranti residenti in Europa attraverso AFTER, un progetto co-finanziato dall’Unione Europea e implementato in cinque Paesi Ue (Belgio, Irlanda, Italia, Spagna e Svezia).
Grazie a questo progetto, è stato possibile realizzare percorsi di empowerment e prevenzione per le donne, e di informazione ed educazione per le loro comunità, uomini inclusi, sensibilizzando un più ampio pubblico sull’esistenza in Europa di questo problema che spesso si percepisce lontano.
“Parlare di mutilazioni genitali femminili ha suscitato inizialmente diffidenza e chiusura, sia perché ogni tema relativo alla sessualità è spesso considerato tabù, sia perché per molte donne e uomini era la prima volta che si metteva in dubbio una pratica che fa parte della loro ‘tradizione’”, dichiaraBeatrice Costa, Responsabile Programmi di ActionAid Italia.
“A questo si somma la non conoscenza dei rischi e delle conseguenze delle mutilazioni. Grazie ai percorsi realizzati all’interno del progetto AFTER, siamo riusciti ad avviare un primo cambiamento nella percezione delle mutilazioni. Si tratta di un primo passo importante per destrutturare le convenzioni sociali che legittimano questa pratica in ogni parte del mondo, nonostante sempre più Paesi si siano dotati di leggi che condannano le mutilazioni genitali femminili”.
Il lavoro tra le comunità migranti è stato possibile anche grazie alle testimonianze di donne che hanno combattuto in prima persona le mutilazioni nei loro Paesi d’origine.
Storie di cambiamento, come quella di Rahel, ex tagliatrice tanzaniana diventata attivista contro questa pratica: “Era una tradizione della mia famiglia, mia madre mi ha dato lo strumento e lo ha poggiato sulla mia testa dicendo che avrei dovuto tenerlo per sette giorni”.
Una cerimonia per consacrarla. È così che Rahel ha cominciato a praticare le mutilazioni genitali femminili. Adesso si batte per far cessare questa pratica, viaggiando anche in Europa per incontrare le comunità migranti originarie dei Paesi a tradizione mutilatoria.
“Vorrei dire a tutte le comunità che praticano le mutilazioni genitali femminili di smettere, perché le implicazioni negative per la salute delle donne sono molte”.
Nell’ambito del progetto AFTER, ActionAid e i suoi partner hanno inoltre costruito un network di “agenti del cambiamento”, detti Champions for Change – persone, attivisti e professionisti impegnati a vario titolo nel contrasto alle mutilazioni genitali femminili – e realizzato il documentario “Girls from earth“, road movie sull’amicizia tra una giovane europea e una ragazza africana.
“Per continuare a combattere questa pratica, chiediamo al futuro Governo italiano di assicurare azioni strutturali e continuative nel tempo per prevenire le mutilazioni femminili, con risorse adeguate e certe, valorizzando in particolare le attività che mirano al coinvolgimento delle comunità provenienti da Paesi dove il fenomeno è ancora diffuso”, conclude Beatrice Costa.
Dei risultati e delle indicazioni emerse dal progetto AFTER si discuterà il 6 febbraio a Strasburgo (ore 18.00, European Parliament, room N 1.2), in occasione dell’evento A Feminist EU External Agenda ‐ Putting an end to Female Genital Mutilation, e il 14 febbraio a Toledo, dove si svolgerà la conferenza conclusiva di AFTER End the Cut-Against Female Genital Mutilation and Cutting through Empowerment and Rejection (9.30-18.30 Universidad Castilla-La Mancha, Facultad de Ciencias Juridicas y Sociales, Edificio Madre de Dios, Cobertizo de San Pedro Mártir).
In occasione del 6 febbraio, Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili, ActionAid invita il pubblico a mobilitarsi per porre termine a una pratica che lascia ferite profonde nel corpo e nella mente e coinvolge almeno 200 milioni di ragazze e bambine in 30 Paesi. Simbolo della campagna è un soffione viola, espressione del desiderio di libertà. Si può aderire alla mobilitazione online attraverso l’hashtag #endFGM e condividendo il post con la foto del soffione che sarà pubblicata martedì 6 febbraio sul profilo Facebook di ActionAid Italia.