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Home » Esteri

Perché nessuno ha fermato Netanyahu?

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Credit: AP

Con l’attacco all’ambasciata dell’Iran a Damasco e la successiva rappresaglia di Teheran il premier di Israele ha ottenuto ciò che voleva: allargare la guerra e allontanare Gaza dalle prime pagine. Ma ora il conflitto potrebbe davvero espandersi a Libano, Siria, Iraq e alla Penisola arabica

Come sta cambiando Il Medio Oriente? Per alcuni, i palestinesi, è già mutato in tragedia perché dopo il massacro di Hamas in Israele del 7 ottobre le forze armate ebraiche hanno decimato la popolazione di Gaza e disintegrato la Striscia: chi la ricostruirà e come rimane un interrogativo, così come ci si domanda adesso chi la governerà nel prossimo futuro. Una cosa è certa: Israele se ne terrà un pezzo consistente e per chi verrà si tratterà di amministrare un ammasso di macerie striate a lutto.

Ma è soprattutto lo scontro tra Israele e Iran che rischia di oscurare un’altra volta il destino di un popolo al quale la comunità internazionale riconosce il diritto di avere uno Stato senza per altro fare nulla per arrivare a questo traguardo.

Con l’attacco all’ambasciata iraniana a Damasco il primo aprile scorso (in cui è morto anche un generale dei Pasdaran), la conseguente rappresaglia iraniana, in gran parte fermata nei cieli israeliani, e la controrisposta di Israele, il premier Netanyahu ha ottenuto quello che voleva: allargare la guerra e allontanare Gaza dai titoli di prima pagina dei media.

La questione palestinese va in secondo piano se deciderà di colpire duramente la repubblica islamica trascinandola in un conflitto che si potrebbe espandere al Libano, alla Siria, all’Iraq e alla penisola arabica.

Una polveriera
Nessuno potrà tenersi fuori, questo è l’obiettivo del premier che vuole coinvolgere tutti per tenersi in sella al potere – questi sono i suoi calcoli – almeno fino alle elezioni americane di novembre. Ha ottenuto immediatamente con il suo spericolato cinismo la solidarietà militare degli Stati Uniti e di quei governi europei che hanno partecipato all’operazione contro droni e missili iraniani. E ora si parla insistentemente di una coalizione internazionale anti-Iran che ha già comunque caricato a bordo Paesi arabi come la Giordania, l’Arabia Saudita e gli Emirati.

È vero che gli Usa e il G7 hanno non hanno partecipato al contrattacco israeliano diretto contro Teheran. Ma si tratta di una posizione che potrebbe repentinamente cambiare: basta immaginare cosa potrebbe accadere se la contro-rappresaglia verso l’Iran fosse seguita da un altro attacco di Teheran contro Israele o verso un altro Stato della regione.

Dopo avere detto che gli Usa sono al fianco di Tel Aviv in maniera “ferrea” diventerebbe assai sottile la differenza tra una guerra di attacco e una di difesa.

La realtà è che quando ci si mette nelle mani di un governo d’estrema destra come quello attuale di Israele può accadere qualunque cosa. Ma soprattutto possono verificarsi gli eventi più prevedibili. In primo luogo non finiranno i raid israeliani in Siria dove si è combattuto uno scontro con l’Iran definito in questi anni la guerra “invisibile”: ora può diventare un conflitto sempre più aperto in un territorio dove Israele occupa dal 1967 il Golan e dove si trovano le basi russe, quelle americane, della Turchia, oltre alle milizie di Pasdaran, Hezbollah e alle formazioni jihadiste, Isis compreso. Una polveriera. Ma soprattutto gli israeliani vogliono punire il Libano degli Hezbollah, alleato cardine di Teheran. Qui il casus belli, come avvenne già nel 2006, non serve neppure crearlo, c’è già, ogni giorno.

Confini e paure
Il regime iraniano sciita a sua volta appare di fronte a una nuova situazione che aveva cercato in ogni modo di evitare riavvicinandosi l’anno scorso con la mediazione della Cina alla monarchia saudita. Per la prima volta diversi Paesi arabi hanno preso parte, direttamente o indirettamente, alla difesa dello Stato ebraico.

È il risultato di anni di contatti politici, economici ma anche militari incoraggiati dagli Stati Uniti che avevano avviato il Patto di Abramo tra Israele e alcuni Paesi arabi. Le monarchie del Golfo hanno sempre temuto la concorrenza della repubblica islamica sciita: vale la pena ricordare che negli anni Ottanta foraggiarono con 50 miliardi di dollari una guerra di otto anni e un milione di morti del dittatore iracheno Saddam Hussein contro Teheran. Difficile dimenticare i vecchi incubi del mondo sunnita.

In questo quadro è interessante rilevare che il più grande Paese sunnita della regione, la Turchia, membro dagli anni Cinquanta della Nato, non solo non è intervenuta contro Teheran ma ha chiuso i suoi cieli alle operazioni militari americane. In Turchia gli Usa hanno basi con missili puntati sia verso la Russia che l’Iran.

Il Sultano della Nato Erdogan fa la sua politica estera con spregiudicatezza: ha dato i suoi droni all’Ucraina ma importa gas e petrolio dalla Russia e mantiene un rapporto privilegiato con Putin. Tutto questo significa che gli Stati Uniti e i loro alleati come Gran Bretagna e Francia stanno cerca nuovi alleati in Medo Oriente. 

Una nuova Nato?
È assai presto per dire che sta sorgendo una nuova Nato del Sud nella regione capeggiata da Israele ma sicuramente con questa con questa guerra si stanno testando nuove soluzioni.

Che cosa faranno gli iraniani? Il lancio di centinaia di droni e missili – colpiti dai sistemi di difesa anti-missilistica – era diretto al “pubblico” vero degli ayatollah, non tanto l’opinione interna, ignorata o manovrata dalla propaganda, quanto gli alleati di Teheran nella regione (Hezbollah, Houthi yemeniti, milizie sciite irachene) e gli avversari arabi dell’Iran nella regione, soprattutto verso quel Golfo che Teheran vuole assolutamente “Persico” dove è di stanza la sesta flotta Usa. Ma gli iraniani, al contrario dell’iracheno Saddam, non hanno nessuna intenzione di combattere contro Israele e i suoi alleati la “madre di tutte le battaglie”.

Il loro obiettivo è la sopravvivenza al potere, come del resto Netanyahu, che non ha nessuna intenzione di togliere il dito dal grilletto. Con lui lo scontro finale continuerà ad aleggiare come un incubo sul Medio Oriente. L’unica alternativa sarebbe la diplomazia ma passa inevitabilmente da una soluzione al dramma palestinese e alla guerra in corso a Gaza. Netanyahu non la vuole questa soluzione e neppure noi in Occidente siamo sicuri di volerla, se non a parole.

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