L’ultimo ostacolo per Netanyahu: la faida interna all’estrema destra in Israele che minaccia la Bibicrazia
Prima la contestata riforma giudiziaria, poi il fallimento del 7 ottobre. Quindi le guerre a Gaza e in Libano e il mandato di arresto della Corte dell'Aja. Infine il processo per corruzione a Gerusalemme. Il premier più longevo di Israele è sopravvissuto a tutto ma se vuole continuare a governare deve risolvere la questione della leva per gli ultra-ortodossi, che è già costata il posto all'ex ministro della Difesa Yoav Gallant e ora rischia di dividere il Likud
L’ultima volta che parlai con l’architetto degli accordi di Oslo, Yossi Beilin, poco dopo gli attentati del 7 ottobre, sembrava impensabile che Benjamin Netanyahu potesse restare premier di Israele dopo la guerra. Oggi però, sondaggi alla mano, il primo ministro israeliano più longevo della storia sarebbe ancora in corsa, nonostante la spaccatura del Paese con una riforma della giustizia che ha provocato proteste inaudite persino tra i ranghi militari; il peggior atto terroristico mai subito dallo Stato ebraico; la più grave crisi con ostaggi dell’ultimo mezzo secolo; quattordici mesi di conflitto su più fronti; i massacri a Gaza e in Libano; un mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità della Corte penale internazionale; e un processo per corruzione a Gerusalemme.
Resta infatti un solo ostacolo sul cammino dell’uomo che soltanto tre anni fa, escluso dal governo per un anno e mezzo dopo 15 anni al potere, decise di scrivere le proprie memorie: la questione dell’allargamento della leva militare alla comunità haredi, i cosiddetti ebrei ultra-ortodossi, costata già il posto all’ormai ex ministro della Difesa, Yoav Gallant (anch’egli destinatario di un mandato di arresto della Cpi), e che rischia o di spaccare il partito del premier (il Likud) o la coalizione di estrema destra che lo sostiene con i voti dei movimenti religiosi.
Il “mago”
Quando fu eletto premier per la prima volta, nel maggio 1996, alla Casa bianca c’era Bill Clinton che appoggiava la rielezione di Boris Eltsin al Cremlino. Oggi il mondo è decisamente cambiato ma Bibi è ancora sulla scena mondiale da protagonista e promette di restarci.
Quella prima volta, i suoi sostenitori lo acclamarono al grido di: “Mago!” per aver vinto le elezioni contro Shimon Peres (anche grazie alla violenza degli attentati di Hamas) con una campagna contro gli accordi di pace firmati dall’ex premier laburista Yitzhak Rabin, assassinato otto mesi prima. Evidentemente non ha perso il suo tocco visto che, secondo un recente sondaggio pubblicato dal quotidiano Maariv, se si votasse ora soltanto un partito guidato dall’ex premier Naftali Bennett riuscirebbe a prendere più voti del Likud di Netanyahu e a formare una coalizione di governo alternativa all’estrema destra attualmente al potere. Non male per un primo ministro di cui un anno fa si fidava appena il 4% degli israeliani.
Adesso però a Bibi servirà un’altra magia perché la mossa del 5 novembre scorso, che ha portato al licenziamento di Gallant mentre il mondo era concentrato sulle presidenziali negli Usa, potrebbe non bastare. I due non si sono mai amati, anche se l’uno è stato nominato ministro dall’altro per ben quattro volte. Dal 2011, quando uno scandalo immobiliare costrinse il premier a ritirare la nomina di Gallant a capo di stato maggiore delle forze armate, i loro rapporti hanno avuti molti alti e bassi, peggiorati negli ultimi due anni. Nel marzo del 2023 Netanyahu arrivò addirittura ad annunciarne il licenziamento da ministro della Difesa (senza poi farlo davvero), dopo la richiesta di Gallant di sospendere l’approvazione della contestata riforma giudiziaria, provocando proteste persino tra i riservisti. A luglio scorso poi Gallant chiese l’istituzione di una commissione d’inchiesta sull’operato del governo e dei vertici delle forze militari e di sicurezza sui fallimenti occorsi prima e durante il 7 ottobre 2023. Il mese successivo criticò il piano del premier per il dopoguerra a Gaza, definendo «una sciocchezza» l’obiettivo prefissato da Netanyahu di una «vittoria totale» contro Hamas e l’idea di istituire «un governo militare israeliano» nella Striscia.
Ma a risultargli politicamente fatale fu la sua determinazione ad applicare una sentenza dell’Alta Corte di Giustizia, che a giugno ha stabilito non esservi alcuna base legale per esentare gli uomini della comunità haredi dal servizio militare obbligatorio e la sua opposizione a un disegno di legge che di fatto legalizzerebbe tale prassi, in vigore sin dalla fondazione dello Stato di Israele. La scelta di inviare settemila ordini di reclutamento ad altrettanti giovani ultra-ortodossi ha provocato l’ira dei partiti di riferimento che alla Knesset appoggiano Netanyahu e la sostituzione di Gallant con il ministro degli Esteri, Israel Katz. In un solo colpo così il premier si è liberato di un alleato scomodo e ha fatto contenti i parlamentari che tengono in piedi la sua fragile coalizione di estrema destra. Tuttavia i rischi sono ancora elevati.
Problemi in paradiso
Il sesto governo Netanyahu infatti non può permettersi di perdere l’appoggio dei 19 deputati dei partiti ultraortodossi Shas (11), United Torah Judaism (7) e Noam (1), determinanti per la sua coalizione di governo, che può contare su non più di 67 su 120 seggi alla Knesset, pena le elezioni anticipate. Ma Bibi deve fare attenzione a non alienarsi altri alleati: primo fra tutti il movimento di estrema destra del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, “Religious Zionism”, che può contare su sette deputati, altrettanto importanti per mantenere la maggioranza.
Dopo le sentenze della Corte suprema in materia, il premier ha infatti promesso agli haredim un «risarcimento», licenziando il ministro della Difesa e appoggiando un disegno di legge che aumenterebbe molto lentamente il tasso di reclutamento tra gli ultra-ortodossi mantenendo comunque una serie di esenzioni. Una proposta però ancora ferma alla Commissione Esteri e Difesa della Knesset, il cui presidente, il parlamentare del Likud Yuli Edelstein, continua a osteggiarla, come il collega di partito Gallant, rischiando di fare la stessa fine. Un destino già riservato al deputato Dan Illouz, defenestrato dalla stessa commissione parlamentare. È un gioco pericoloso perché il prezzo non è solo l’unità del Likud ma anche il sostegno dei movimenti “laici” della coalizione e dei loro elettori.
Secondo un recente sondaggio pubblicato dall’emittente Channel 2, il 55% degli israeliani ha giudicato negativamente il licenziamento di Gallant, mentre la stragrande maggioranza degli intervistati è contraria all’esenzione degli ultra-ortodossi dalla leva, proprio come il partito di Smotrich, che ha chiesto agli haredim di arruolarsi, ricordando «l’immenso sacrificio» dei riservisti della comunità ortodossa “moderna”, rappresentata dal suo movimento.
Ma il problema maggiore riguarda proprio i militari. Come spiegò l’ex ministro della Difesa, la situazione pare ormai matematicamente insostenibile: nel 1949 in Israele vivevano solo 40mila haredim, appena il 5% della popolazione, e solo 400 uomini in età di leva studiavano in una yeshiva, le scuole ultra-ortodosse, o in altri istituti religiosi, ricevendo in seguito un sussidio statale fino ai 26 anni. Oggi la comunità conta oltre un milione di persone, di cui 66mila arruolabili nell’esercito, ma solo un migliaio prestano i 32 mesi (24 per le donne) di servizio militare obbligatorio. Numeri in crescita: nel 2020 il tasso di fertilità delle donne haredim superava infatti quello di qualsiasi altra comunità dello Stato ebraico, con una media di 6,6 figli per madre rispetto ai 2,1 delle cittadine “laiche”. Tanto che, entro il 20250, gli ultra-ortodossi potrebbero arrivare a rappresentare quasi un terzo degli israeliani.
Anche per questo, in ottemperanza della sentenza dello scorso giugno, le forze armate prevedono di costituire un’intera divisione, la Brigata Asmonea, interamente aperta agli haredim, la cui prima compagnia, composta da almeno una sessantina di soldati, dovrebbe essere arruolata entro la festa ebraica di Channukah. La nuova legge però potrebbe bloccare tutto e annullare retroattivamente migliaia di ordini di reclutamento, esasperando ancora di più gli animi. A metà novembre infatti, sulle pagine del quotidiano Makor Rishon, considerato vicino al movimento di Smotrich, è apparso un annuncio pubblicitario rivolto da sedicenti riservisti al neo-ministro della Difesa Katz: «Se annulli i settemila ordini di reclutamento (inviati agli haredim, ndr), sarà un tradimento nei nostri confronti». Ecco la minaccia maggiore alla carriera politica di Netanyahu, altro che l’Iran o L’Aja.