La rielezione di Benjamin Netanyahu come primo ministro di Israele significa che non potrà mai esistere uno Stato Palestinese – almeno non fino al 2019, anno in cui il suo nuovo mandato dovrebbe terminare. Questo è quanto dichiarato dal premier in un’intervista rilasciata lunedì scorso al quotidiano online israeliano Nrg.
Alla vigilia del voto, Netanyahu aveva deciso di fare un ultimo tentativo per rassicurare i suoi elettori e evitare che il voto della destra israeliana si disperdesse in partiti che non fossero il suo Likud.
“Penso che chiunque voglia stabilire uno stato palestinese oggi e evacuare i territori, stia lasciando terre da cui poter attaccare lo stato di Israele in mano all’Islam radicale,” ha detto il premier, forse cercando di giocare sulle preoccupazioni dei suoi elettori più sensibili.
Netanyahu era concentrato sul vincere le elezioni per la quarta volta e così affermarsi come il premier israeliano a ricoprire la carica più a lungo. Sarà per questo che non ha pensato alle conseguenze delle sue dichiariazioni sul rapporto tra Israele e Unione europea, il suo più grande partner commerciale, in cui numerosi parlamenti hanno votato mozioni in favore del riconoscimento dello stato palestinese.
La volontà di Netanyahu nel voler trovare una soluzione concreta al conflitto che divide il medio oriente da quasi settant’anni non era mai stata davvero convincente, ma finché era un’ipotesi formalmente in campo, finché continuavano i famosi colloqui di pace, non si poteva accusarlo del contrario.
L’anno scorso Haaretz aveva pubblicato i contenuti di un documento trapelato da Bruxelles in cui l’Unione europea aveva chiarito la sua posizione riguardo il conflitto, sostenendo che i processi di pace erano l’unica cosa che li fermava dall’imporre sanzioni allo stato di Israele.
Non curante dei rischi e delle eventuali rotture diplomatiche, durante la sua visita di lunedì all’insediamento di Har Homa, a sudest di Gerusalemme, il premier ha mostrato con orgoglio una mappa con le 4mila case già costruite nella zona e le 2mila in costruzione.
“Era un modo per fermare Betlemme dall’avvicinarsi a Gerusalemme,” ha confessato, confermando che con l’autorizzazione del 1997 per le prime costruzioni a Har Homa, il suo intento era stato quello di ostacolare la fondazione di un eventuale stato palestinese che potesse avere Gerusalemme come capitale.
Quando l’Autorità Nazionale Palestinese tentò di far condannare l’atto dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il governo israeliano fu protetto dal veto degli Stati Uniti.
Dopo queste dichiarazioni e una presa di posizione così netta riguardo la soluzione dei due stati però, Netanyahu rischia di isolare Israele dalla comunità internazionale, e in particolare proprio dagli Stati Uniti, la cui alleanza con lo stato di Israele comincia ad apparire sempre più fragile.
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