Bezalel Smotrich: il ministro dell’annessione di Israele
Vuole mandare in bancarotta l’Autorità nazionale palestinese, consolidare il dominio sui Territori occupati e assorbirli gradualmente nello Stato ebraico. Come titolare delle Finanze ha approvato la più grande appropriazione di terre palestinesi da 30 anni a questa parte e ha nominato coloni estremisti ai vertici dell’Amministrazione civile che governa le zone non sotto il controllo dell'Anp. Ecco chi è l’alleato più oltranzista del premier Netanyahu
«La missione della mia vita è impedire la creazione di uno Stato palestinese». Da anni invoca l’annessione dei Territori occupati. Adesso, nel pieno della devastante offensiva sulla Striscia di Gaza, Bezalel Smotrich pensa di avere l’occasione per realizzare il suo obiettivo.
Leader del partito di estrema destra “Sionismo religioso”, dal 2022 Smotrich è un membro di spicco del governo e uno dei baluardi della maggioranza che sta garantendo la sopravvivenza politica di Benjamin Netanyahu.
L’avvocato 44enne è un convinto sostenitore di una “Grande Israele” che si estenda oltre i confini internazionalmente riconosciuti dello Stato ebraico fino a quelli che gli spetterebbero per diritto divino. Definitosi «orgogliosamente omofobo», ritiene che i palestinesi siano «un’invenzione» e che fermare gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza fino al ritorno degli ostaggi sarebbe «giustificato e morale», anche se dovesse causare «la morte di 2 milioni di civili».
Da quando è diventato ministro delle Finanze e responsabile “aggiunto” alla Difesa ha avuto la possibilità di mettere in pratica molte delle sue idee. Nell’ultimo anno e mezzo, il governo ha “legalizzato” avamposti precedentemente non autorizzati, ha reso più difficile per i palestinesi costruire case e spostarsi e ha autorizzato la costruzione di migliaia di nuove abitazioni negli insediamenti nei Territori occupati.
Gli stessi in cui Smotrich è nato e tuttora vive, tutti considerati illegali agli occhi del diritto internazionale. Uno dei 700mila coloni attualmente presenti in Cisgiordania e Gerusalemme Est, quasi il triplo rispetto ai 250mila del 1993, che con la loro presenza rendono impraticabile qualsiasi accordo che preveda la coesistenza tra uno Stato ebraico e uno palestinese, come previsto dagli accordi di Oslo.
Dopo la formazione del governo a fine 2022 ha favorito una forte espansione degli insediamenti, con provvedimenti senza precedenti, descritti da molti attivisti e osservatori come passi decisi nella direzione della «annessione» della Cisgiordania. Un termine che Smotrich non usa direttamente, visto che non considera la Cisgiordania un territorio da aggiungere a Israele ma già parte naturale dello Stato ebraico.
In un’intervista a Haaretz del 2016 spiegò che incorporare il più grande dei due territori palestinesi costituirebbe una «unificazione» mentre la soluzione dei due Stati, invocata dalla maggior parte della comunità internazionale, porterebbe alla «partizione» dei territori che spetterebbero alla popolazione ebraica per diritto divino. «Anche se ho un diritto internazionale e legale (alla terra, ndr), la promessa divina e il nostro diritto storico mi bastano», ha affermato nell’intervista.
Assedio all’Anp
Il passaggio cruciale, secondo Smotrich, è il collasso dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), l’organo creato nel 1994 per governare i territori che gli accordi di Oslo ponevano sotto il controllo delle autorità palestinesi, presieduto da Mahmud Abbas, l’impopolare leader di Fatah. «Non dobbiamo nemmeno rovesciare l’Autorità palestinese, può cadere da sola. Dobbiamo solo smettere di mantenerla», spiegò nell’intervista del 2016, in cui si impegnava a compiere una «mossa decisiva» nei confronti dei palestinesi e «abortire la loro speranza di fondare uno Stato».
Nel suo ruolo di ministro delle Finanze, Smotrich ha cercato in primo luogo di ridurre i trasferimenti all’Anp. Circa il 60 per cento delle entrate dell’Autorità provengono infatti da dazi e altre tasse raccolte dallo Stato ebraico per conto dell’entità palestinese, a cui vengono poi trasferiti ogni mese. Un meccanismo su cui Israele ha spesso fatto leva per fare pressione sull’Anp, sospendendo o trattenendo le somme dovute. Dal 2019 Tel Aviv ha deciso di dedurre i fondi che l’Anp spende per aiutare le famiglie dei palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Dopo il 7 ottobre, Smotrich ha triplicato le deduzioni, arrivate a 145 milioni di euro. Equivalenti, secondo Foreign Policy, al 60 per cento del totale mensile. Per tutta risposta, l’Autorità palestinese si è rifiutata di accettare i fondi che le spettavano, preferendo piuttosto tagliare gli stipendi dei dipendenti pubblici fino al 70 per cento.
A fine febbraio è stato trovato un compromesso con la mediazione della Norvegia, che ha accettato di custodire i fondi trattenuti. A maggio però Smotrich è tornato a invocare il blocco dei trasferimenti, chiedendo la restituzione dei fondi a Israele da parte del Paese scandinavo, che assieme a Spagna e Irlanda ha riconosciuto lo Stato palestinese.
Un altro possibile colpo all’economia arriverebbe dal blocco delle esenzioni che in precedenza venivano accordate alle banche israeliane per compiere operazioni con controparti palestinesi, senza incorrere nel rischio di sanzioni. Smotrich ha chiesto di fermare anche questo canale, che contribuisce ogni anno all’importazione di 8 miliardi di dollari di cibo, carburante ed elettricità da Israele e all’esportazione di 2 miliardi di beni palestinesi. La pressione costante sta mettendo a dura prova l’economia palestinese, che nell’ultimo trimestre del 2023 ha subito una contrazione di quasi il 20 per cento.
Oltre a quello di ministro delle Finanze, Smotrich ricopre un secondo incarico all’interno del governo, non meno importante per quanto riguarda gli obiettivi del suo movimento: quello di ministro aggiunto alla Difesa, con un portafoglio che include diverse aree di responsabilità del Coordinamento delle attività governative nei territori (Cogat) e dell’Amministrazione civile. Quest’ultima è guidata da un militare ed è responsabile appunto degli affari civili nei territori, come l’edilizia e le infrastrutture. Dal momento che la gestione di queste materie è stata per lungo tempo affidata ai militari, forze politiche come quella guidata da Smotrich non hanno potuto esercitare un controllo diretto sullo sviluppo degli insediamenti. Ma negli ultimi mesi è cambiato qualcosa.
Il 29 maggio è stato ufficializzato il trasferimento di diversi poteri ad alcuni funzionari del ministero, dopo la nomina di un nuovo vice dell’Amministrazione, Hillel Roth, vicino a Smotrich. Una svolta che per la prima volta ha messo nelle mani di un civile la gestione di parte degli affari in Cisgiordania.
Con un passato da dirigente in un’organizzazione che fornisce rappresentanza legale ai militanti della destra israeliana, Roth ha ora la supervisione di materie come pianificazione e costruzione, contrasto dell’abusivismo, gestione degli enti locali, gestione delle riserve naturali e turismo. L’attivista Yehuda Shaul ha descritto la svolta come una «annessione de iure», sostenendo che sotto la guida di Smotrich «il governo civile israeliano è stato esteso alla Cisgiordania».
«Abbiamo creato un sistema civile separato», ha detto lo stesso Smotrich ai membri del suo partito, secondo quanto emerso in una registrazione ottenuta dall’ong Peace Now. Durante l’incontro del 9 giugno scorso, il ministro si è vantato di come, grazie alle misure da lui volute, molte responsabilità per gli affari in Cisgiordania siano passate dai militari ai civili, che rispondono proprio a lui. Tra queste misure, Smotrich ha fatto riferimento alla nuova Amministrazione degli insediamenti, creata all’interno del ministero della Difesa nel febbraio 2023. «Siamo venuti per colonizzare la terra, per costruire e per impedire che sia divisa e sia creato uno Stato palestinese, Dio non voglia. E il modo per prevenirlo è sviluppare gli insediamenti», ha detto Smotrich. «Tali cambiamenti alterano il dna di un sistema».
Avanzano gli insediamenti
Poche settimane dopo il trasferimento dei poteri all’interno dell’Amministrazione civile, il governo israeliano ha dato un’altra accelerata sul fronte degli insediamenti.
Il 3 luglio il ministero delle Finanze guidato da Smotrich ha annunciato l’appropriazione al demanio di oltre 12 chilometri quadrati di terre nella Valle del Giordano, la più grande degli ultimi trent’anni. La decisione, approvata una settimana prima di essere resa pubblica, segue l’appropriazione di 8 chilometri quadrati di terreni palestinesi a marzo e di 2,6 a febbraio per un totale di 23,3 chilometri quadrati in pochi mesi. Secondo Peace Now, solo quella di giugno è la più grande appropriazione in oltre 30 anni, dagli accordi di Oslo del 1993.
Prima ancora dell’annuncio, Smotrich aveva già detto che nel 2024 le appropriazioni avevano superato di circa dieci volte le medie degli anni precedenti. «Questa cosa è mega-strategica e ci stiamo investendo molto», aveva detto nella registrazione del 9 giugno. «Questo è qualcosa che cambierà radicalmente la mappa» (di Israele e dei Territori).
Le recenti appropriazioni collegano diversi centri che si trovano lungo un corridoio adiacente alla Giordania, creando una continuità territoriale tra vari insediamenti israeliani. Uno sviluppo che, secondo gli attivisti contrari agli insediamenti, minaccia la formazione di un futuro Stato palestinese. Netanyahu e Smotrich, secondo Peace Now «sono determinati a combattere contro il mondo intero e contro gli interessi del popolo di Israele, per il bene di un pugno di coloni».
L’allarme è arrivato anche dall’Unione europea. «Il numero totale di piani e di gare d’appalto per gli insediamenti promossi da Israele nel 2023 è stato superiore a quello del 2022, superando quest’ultimo come anno con il maggior numero di insediamenti promossi dal 2012», ha dichiarato l’ufficio di rappresentanza dell’Unione europea nei Territori palestinesi, secondo cui nel 2023 Israele ha sviluppato il più alto numero di insediamenti in Cisgiordania dai tempi degli accordi di Oslo del 1993.
All’espansione degli insediamenti si è accompagnata una nuova impennata di violenze. Già ai massimi da più di 15 anni, dopo il 7 ottobre gli attacchi dei coloni e delle forze israeliane sono aumentati ulteriormente. Nella prima metà del 2024 si sono registrate 228 vittime palestinesi, tra cui 51 bambini, il 65 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2023. Secondo il Consiglio norvegese per i rifugiati, gli attacchi dei coloni in Cisgiordania sono arrivati a 649, rispetto ai 598 incidenti registrati nella prima metà dell’anno scorso.
Un’escalation che potrebbe far deflagrare una situazione già insostenibile. Lo scorso ottobre, secondo un documento citato dal New York Times, il maggior generale Yehuda Fox ha scritto al capo di stato maggiore israeliano affermando che l’ondata di violenze da parte israeliana «potrebbe incendiare la Cisgiordania». In un altro documento Fox ha scritto che da quando Smotrich è entrato in carica, gli sforzi per fermare la costruzione di insediamenti illegali si sono ridotti «al punto da scomparire».
“Occupazione illegale”
Il 19 luglio scorso la Corte internazionale di giustizia de L’Aja ha ordinato a Israele di porre fine «prima possibile» alla sua occupazione dei Territori palestinesi e di risarcire pienamente «tutte le persone fisiche o giuridiche interessate per i danni da essa cagionati». Un parere storico, anche se non vincolante, in cui i giudici hanno riconosciuto che l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi viola il diritto internazionale. La Corte, in risposta a una richiesta dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato che gli altri Stati sono tenuti a non assistere Israele nel mantenimento dell’occupazione dei Territori.
Prima del parere della Corte, Smotrich aveva chiesto pubblicamente di annettere la Cisgiordania se, come poi avvenuto, fossero stati dichiarati illegali gli insediamenti.
«Nessuno sposterà il popolo di Israele dalla sua terra», aveva dichiarato Smotrich, assicurando che avrebbe continuato a «ostacolare la creazione di uno Stato palestinese attraverso massicce costruzioni, la regolamentazione degli insediamenti, la costruzione di strade e altre misure».
Negli ultimi giorni invece, il ministro ha ribadito che il governo israeliano sta lavorando «per rimuovere la minaccia» dello Stato palestinese. «Fermare la conquista araba delle aree aperte, combattere il finanziamento del terrorismo all’Autorità palestinese e ai suoi leader e completare il controllo israeliano del territorio. Questo è l’unico modo», ha scritto il 5 agosto su X (ex Twitter). Ma il pronunciamento della Corte potrebbe aprire nuovi scenari.
Secondo Kenneth Roth, ex direttore generale dell’ong Human Rights Watch, i giudici hanno «demolito» la posizione tenuta da Israele, secondo cui la Cisgiordania, Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza «non sono occupate, ma semplicemente “contese”».
Sepolto nel «legalese» del parere, ha scritto Roth sul Guardian, la Corte ha anche confermato che nei Territori occupati vige l’apartheid, come già denunciato da alcune tra le principali organizzazioni umanitarie al mondo, come Amnesty International e la stessa Human Rights Watch.
L’opzione praticata finora, quella di rinviare qualsiasi soluzione per continuare a mantenere indefinitamente il controllo militare dei Territori e un regime di discriminazione sistematico tra occupanti e occupati, è considerata illegittima dalla Corte. L’alternativa dei due Stati è osteggiata apertamente dal governo Netanyahu, che si oppone ancora più fermamente all’ipotesi di uno Stato unico con diritti eguali per tutti.
Rimane quella invocata da Smotrich e dai suoi alleati di allontanare i palestinesi che, secondo Roth, porterebbe all’intervento della procura della Corte penale internazionale. Il riconoscimento dell’occupazione porterebbe all’applicazione della quarta convenzione di Ginevra, che Israele ha ratificato, in base alla quale il trasferimento della popolazione da parte di una potenza occupante in un territorio occupato costituisce un crimine di guerra. Come, secondo la Corte de L’Aja, Israele sta facendo con gli insediamenti.
Il parere della Corte potrebbe essere quindi interpretato come un invito a Karim Khan, procuratore capo della Corte penale internazionale (che non ha legami e non è parte del sistema delle Nazioni Unite come la Corte Internazionale di Giustizia), a perseguire i funzionari responsabili degli insediamenti. Secondo l’avvocato e attivista, «dovrebbe cominciare dai membri dell’attuale governo che ne autorizzano la rapida espansione». Bezalel Smotrich è certamente in prima linea.