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Israele: la rivolta degli ultraortodossi contrari alla leva militare obbligatoria minaccia la premiership di Netanyahu

Immagine di copertina
Credit: AGF

La più grande minaccia per il futuro politico del primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, non viene dalla guerra in corso nella Striscia di Gaza né dalle proteste dei familiari degli ostaggi o dell’opposizione ma dalla rivolta degli ebrei ultraortodossi contrari alla leva militare obbligatoria.

I membri della comunità haredi, come sono conosciuti alcuni movimenti religiosi di ebrei ultraortodossi in Israele, costituiscono circa il 13 per cento della popolazione dello Stato ebraico. Se studiano a tempo pieno in una yeshiva, le scuole ultraortodosse, o in altri istituti religiosi sono tradizionalmente esentati dal servizio militare e ricevono persino un sussidio statale fino ai 26 anni.

Il 28 marzo scorso però, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha congelato parte di questi fondi, consentendo al ministero della Difesa di avviare una serie di arruolamenti, in attesa di una nuova legge.

In particolare, con un’ordinanza provvisoria, la Suprema Corte ha vietato al governo di finanziare, a partire dal 1° aprile, i sussidi mensili erogati agli studenti ultraortodossi che, pur non avendo ottenuto l’esenzione dalla leva dopo il 1° luglio 2023, non si sono presentati per la coscrizione obbligatoria.

Tutti gli altri, decine di migliaia di persone, godono ancora del privilegio di non arruolarsi nelle forze armate israeliane (Idf) ma i loro sussidi rischiano di essere tagliati a breve se la Knesset non dovesse approvare una nuova norma in linea con le disposizioni dell’Alta Corte di Giustizia.

Già nel settembre del 2017 infatti la Suprema Corte dello Stato ebraico aveva giudicato “discriminatoria e illegittima” la legge che esentava gli ultraortodossi dalla leva militare. Il governo di Tel Aviv avrebbe dovuto recepire quella sentenza entro un anno ma, grazie alle abili manovre politiche dei partiti religiosi, si è arrivati alla scadenza del 31 marzo 2024.

Neppure durante questi sette anni però la Knesset è mai riuscita a legiferare in materia, così il 1° aprile sono cominciate le proteste di piazza. Il rabbino capo Yitzhak Yosef ha addirittura sfidato lo Stato ebraico dicendo che gli ultraortodossi “si trasferiranno tutti all’estero” se saranno costretti ad arruolarsi nell’esercito.

I partiti haredi, che appoggiano la coalizione di unità nazionale formatasi dopo gli attentati del 7 ottobre scorso e guidata dal premier Benjamin Netanyahu, hanno invece minacciato di ritirare il loro sostegno al governo, che da quasi sei mesi ha allargato la sua risicata maggioranza di estrema destra che prima degli attacchi di Hamas e della Jihad Islamica godeva in Parlamento di soli 5 seggi di vantaggio sull’opposizione.

Tuttavia, anche con i suoi 17 parlamentari in più, Netanyahu non può permettersi di perdere l’appoggio dei 19 deputati dei partiti ultraortodossi Shas (11), United Torah Judaism (7) e Noam (1). Altrimenti le elezioni previste nel 2026 verrebbero anticipate e con un gradimento personale del 4 per cento il premier perderebbe quasi sicuramente la guida del governo.

Così Netanyahu ha promesso a questi partiti che li avrebbe “risarciti”, rischiando però di alienarsi il sostegno dei movimenti “laici”. Secondo un recente sondaggio dell’Israel Democracy Institute infatti, il 70 per cento degli ebrei israeliani è contrario all’esenzione degli ultraortodossi dalla leva militare obbligatoria, proprio come altri partiti che appoggiano il suo governo e che possono contare su una ventina di parlamentari.

Il movimento di estrema destra del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich “Religious Zionism” ad esempio, che può contare su 7 deputati alla Knesset e che ha chiesto agli ultraortodossi di arruolarsi nell’esercito. Una posizione condivisa anche dagli 8 parlamentari del National Unity Party dell’ex capo di Stato maggiore e attuale membro del gabinetto di guerra Benny Gantz.

Sembrano pensarla così anche alcuni deputati del Likud, il partito di Netanyahu, che fanno capo al ministro della Difesa, Yoav Gallant, per cui l’arruolamento degli haredi non è più una questione politica ma “matematica”. Secondo i dati ufficiali diramati dalle forze armate israeliane (Idf), quasi 600 soldati dello Stato ebraico sono rimasti uccisi dall’inizio della guerra a Gaza, di cui oltre 250 nella Striscia, e più di tremila sono rimasti feriti.

La situazione per i militari non sembra più sostenibile: nel 1949 in Israele vivevano solo 40mila ebrei ultraortodossi, appena il 5 per cento della popolazione, e solo 400 uomini in età da leva studiavano in una yeshiva. Oggi la comunità conta oltre un milione di persone, di cui 66mila potrebbero essere arruolate nell’esercito ma solo un migliaio prestano i 32 mesi (24 per le donne) di servizio militare obbligatorio nelle Idf.

Eppure, secondo i critici della leva obbligatoria per gli haredi, è proprio questa la forza della comunità. La popolazione ebraica in Israele, come certificano i dati statistici, cresce soprattutto grazie agli ultraortodossi che, insieme agli arabi, sono quelli che fanno più figli.

Nel 2020, il tasso di fertilità delle donne haredi superava quello di qualsiasi altra comunità dello Stato ebraico, con una media di 6,6 figli per madre rispetto ai 2,1 delle donne “laiche”. Tanto che, entro il 20250, gli ultraortodossi potrebbero arrivare a rappresentare quasi un terzo degli israeliani.

Un’arma a doppio taglio. A quel punto, si chiedono infatti i favorevoli all’abrogazione dell’esenzione degli haredi dalla leva obbligatoria, sarà possibile fare a meno del loro servizio militare? Una domanda che potrebbe temporaneamente salvare o immediatamente porre fine alla carriera politica del premier più longevo della storia di Israele.

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