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Home » Esteri

Israele-Iran: siamo di fronte all’inizio di una guerra?

Immagine di copertina
Illustrazione di Michael Anderson e Sam Ben-Meir

Data la crescente tensione in Medio Oriente, in tanti ipotizzano un conflitto imminente, ignorando forse i costi e i benefici che ne deriverebbero per ciascun attore. Ecco cosa potrebbe andare storto, nell'analisi di Alon Ben-Meir

La recente violazione dello spazio aereo israeliano da parte di un drone iraniano, e le rappresaglie di Israele contro bersagli siriani ed iraniani, hanno indotto molti osservatori a suggerire che la crescente tensione regionale conseguente a tali episodi potrebbe scatenare una guerra tra Israele ed Iran/Hezbollah, che potrebbe forse inavvertitamente coinvolgere anche la Siria.

Io non sono d’accordo con questa prognosi.

Ritengo che nessuno degli attori coinvolti voglia intraprendere una guerra che infliggerebbe un altissimo livello di  distruzione e di vittime senza realizzare alcun guadagno sostenibile a lungo termine.

Ciò, tuttavia, non preclude lo scoppio di una guerra accidentale, causata da un incidente involontario o da errori di valutazione.

A prescindere dall’astio reciproco e dalle minacce lanciate pubblicamente da ogni attore, gli interessi strategici di ciascuno sono tutelati al meglio evitando la guerra.

La domanda diventa allora: che tipo di misure di precauzione dovrebbero prendere tutti gli attori coinvolti, in particolare la Russia, in collaborazione con gli Stati Uniti, per evitare sviluppi tanto nefasti?

L’interesse strategico complessivo dell’Iran è quello di ottenere l’egemonia nella regione, obiettivo che è determinato a realizzare assicurandosi dapprima una striscia di terra contigua dal Golfo al Mediterraneo, in cui la Siria è un cardine fondamentale, e creare un fonte unito per minacciare Israele.

Per proteggere la sua base e la sua influenza in Siria, l’Iran è stato pronto a sfruttare la guerra civile fornendo ad Assad centinaia di milioni di dollari, migliaia di combattenti ben addestrati e le attrezzature militari per aiutarlo a sconfiggere i ribelli e l’Isis.

Avendo subito più di 500 vittime, l’Iran è diventato ancor più determinato a raccogliere i frutti dei suoi sforzi, perseguendo l’istituzione di una presenza militare permanente nel paese.

Il secondo obiettivo dell’Iran è mantenere uno stato di minaccia costante contro il suo più accanito nemico -Israele – cercando di stabilire una presenza militare in prossimità del confine israeliano.

L’Iran usa Israele come grido di battaglia per attrarre violenti estremisti a sostenere le sue guerre per procura e per promuovere i suoi interessi nella regione.

Perciò, conservando l’attacco pubblico contro Israele, l’Iran spera di mantenere l’ostilità e accrescere le preoccupazioni nei confronti della “minaccia israeliana” al mondo musulmano.

Inoltre, l’Iran continua a rimpolpare l’arsenale di Hezbollah in Libano; primo, perché vuole assicurarsi il suo punto d’appoggio in Libano.

Secondo, perché vuole aprire tre fronti strategici – in Siria, Libano e potenzialmente a Gaza tramite Hamas – da cui poter intimidire Israele, metterne alla prova la determinazione, e creare nuove tensioni controllate, come ha fatto di recente facendo volare un drone, rapidamente abbattuto da Israele, sopra i cieli israeliani.

Ciò detto, malgrado la sua spavalderia, Tehran non vuole sfidare Israele sul piano militare, sapendo che le ostilità aperte ora, e anche nell’immediato futuro, potrebbero provocare massicce ritorsioni di molto superiori alla rappresaglia per l’incursione iraniana nello spazio aereo israeliano, col potenziale di infliggere una sconfitta umiliante all’Iran.

Infine, l’Iran vuole preservare l’accordo nucleare con gli Stati Uniti e non vorrebbe dare a Trump motivi per annullarlo.

Detto questo, nonostante Trump potrebbe ancora ritirarsi dall’accordo, l’Iran vuole rimanere nelle grazie degli altri cinque firmatari per impedire la ripresa delle sanzioni, specialmente in un momento in cui il pubblico iraniano è irrequieto ed esige migliori condizioni economiche e maggiori libertà sociali.

Per evitare errori di valutazione che possano portare ad una catastrofica guerra con Israele, l’Iran dovrebbe piuttosto acconsentire ed evitare di stabilire basi militari vicine al confine israeliano, costruendole invece più a nord in Siria.

Così facendo, l’Iran contribuirebbe inoltre a prevenire ogni seria minaccia al potere di Assad, sulle cui richieste l’Iran giustifica la sua continuata presenza nel paese la quale, in ogni caso, ha la massima priorità nel suo schema di egemonia regionale.

Teheran sarebbe saggia a tenere sotto controllo Hezbollah ed impedirgli di provocare Israele, dal momento che ogni conflagrazione tra Israele ed Hezbollah potrebbe distruggere buona parte delle sue infrastrutture e della sua riserva di missili.

Dopotutto, l’Iran è più interessato a mantenere la minaccia contro Israele sul fronte libanese, cosa che fa il suo interesse strategico a lungo termine, consolidando il suo punto d’appoggio in Libano, solo se Hezbollah resta forte.

Hezbollah si è unito all’esercito siriano per combattere i ribelli durante la guerra civile in corso. Sebbene gran parte della sua forza militare sia temprata dalle battaglie, Hezbollah si trova ora sotto crescenti pressioni per ripristinare un po’ di normalità all’interno della più ampia comunità sciita del Libano e, nel frattempo, riorganizzarsi.

Hezbollah ha subito quasi 1300 vittime, e lo stesso Libano ha sofferto ampiamente dalla guerra civile siriana, alla quale sta ancora pagando un pesante tributo nel suo sforzo di ospitare più di un milione di rifugiati siriani.

Hezbollah, con il supporto dell’Iran, manterrà il suo atteggiamento minaccioso nei confronti di Israele proseguendo nei suoi sforzi per accrescere il suo arsenale di armi, ma non lo sfiderà militarmente.

Hezbollah sa che che la soglia di vittime accettabili per Israele è molto bassa, e la morte di 40-50 israeliani per mano degli attacchi missilistici di Hezbollah provocherebbe travolgenti attacchi di rappresaglia che potrebbero fare migliaia di vittime libanesi, cosa che Hezbollah vuole evitare.

In ogni caso, Hezbollah non avvierà ostilità contro Israele senza l’approvazione di Teheran perché una mossa simile nuocerebbe alle ambizioni strategiche dell’Iran nella regione.

In tali circostanze, Israele continuerà ad attaccare i convogli che trasportano le armi dall’Iran ad Hezbollah, e colpirà anche qualsiasi fabbrica di armi sul suolo libanese.

Questo, naturalmente, comporta un certo rischio di inasprire le ostilità. Ma visto che Hezbollah e l’Iran vogliono evitare la guerra, risponderanno agli attacchi israeliani nella stessa maniera in cui hanno risposto a quelli precedenti: dicendo poco e facendo anche meno.

Ciò, tuttavia, non significa che Israele possa fare ciò che desidera a mano libera. Gli attacchi israeliani si misureranno con lo sfondo del contesto complessivo, che viene limitato dal desiderio dello stesso Israele di evitare una guerra aperta, a meno che non sia minacciato nella sua esistenza.

Il regime di Assad: da quando è salito al potere nel 2000, il presidente siriano Assad non ha mai preso in considerazione di intraprendere una guerra contro Israele.

Come suo padre, ha aderito in pieno all’accordo di disimpegno con Israele del 1974. Infatti, per tutta la durata del suo regime, Assad ha fatto numerose aperture di pace nei confronti di Israele, ritenendo che la futura stabilità e prosperità della Siria dipenda dalla pace con Israele, o, almeno, dal mantenimento dell’assenza di ostilità.

Dallo scoppio della guerra civile, Assad si è assicurato di non fornire ad Israele alcuna ragione per entrare nella mischia.

Adesso che è sul punto di vincere contro i ribelli e l’Isis, grazie al decisivo sostegno di Russia ed Iran, è ancor più determinato ad evitare qualsiasi scontro militare con Israele, che la Russia in particolare vuole evitare ad ogni costo.

Assad si trova tuttavia tra la l’incudine e il martello: da una parte sa che la sua sopravvivenza dipende dal perdurare del supporto di Iran e Russia, e dall’altra vuole tenere l’Iran sotto controllo per evitare la guerra con Israele.

Al riguardo si trova perfettamente d’accordo con la Russia, ugualmente intenzionata a tenere l’Iran a debita distanza.

Per evitare errori di valutazione, che potrebbero risolversi in uno scontro diretto tra Israele ed Iran, lo stesso Assad deve avere la meglio sull’Iran ed impedirgli di stabilire impianti bellici vicino ai confini israeliani.

Assad può mettere in chiaro che una simile presenza militare iraniana solleciterebbe attacchi di Israele, che coinvolgerebbero la Siria e danneggerebbero la sua sicurezza nazionale.

A questo proposito, Assad può contare sul supporto della Russia, specialmente perché Mosca stessa non vuole (e non permetterà) che l’Iran abbia mano libera in Siria.

Mentre la sconfitta dell’Isis si avvicina, e si allenta la tensione con i ribelli, Assad dovrebbe insistere affinché le milizie iraniane, costituite in maggioranza da non iraniani e la cui lealtà è più rivolta al salario che alla causa dell’Iran, lascino il paese.

Assad dovrebbe mandare ad Israele un messaggio netto, attraverso i canali appropriati, per chiarire che non lo attaccherà militarmente e non sarà persuaso altrimenti dall’Iran. A questo proposito, la Russia fornirà certamente il suo pieno supporto ad Assad.

In più, se Assad vuole ristabilire la stabilità ed avviare un po’ di ricostruzione, il paese dovrebbe essere ripulito da ogni potenziale agitatore.

Ovvero, Assad non dovrebbe permettere una stabile presenza di Hezbollah in Siria, che attirerà solamente attacchi israeliani nel caso in cui qualsiasi ostilità accidentale o premeditata dovesse scoppiare tra Israele ed Hezbollah.

Israele vede l’Iran come il nemico numero uno, votato alla sua distruzione, ed è determinato ad eliminare ogni base militare iraniana in Siria vicina ai suoi confini.

Israele continuerà, come in passato, ad attaccare i convogli che trasportano armi sofisticate dall’Iran a Hezbollah passando per la Siria.

Israele accusa l’Iran di intraprendere regolarmente attività sovversive allo scopo di minare la sua sicurezza e instigare i palestinesi ad opporsi violentemente all’occupazione della sponda occidentale e al blocco su Gaza.

Israele crede che l’Iran sia determinato ad procurarsi armi nucleari allo scadere delle clausole di decadenza del Piano d’azione congiunto globale (il cosiddetto “Accordo sul nucleare iraniano”), particolarmente nella prima fase, al termine della quale all’Iran sarà gradualmente permesso di riprendere (pur con qualche restrizione) l’arricchimento dell’uranio.

Per questa ragione Israele sta compiendo sforzi estremi per convincere l’amministrazione Trump a “risolverlo o bocciarlo” (“fix it or nix it“, per come l’ha posta il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu).

Nonostante Israele sia certo di poter vincere ogni possibile scontro militare con i nemici che lo circondano, ha valutato che non trarrebbe alcun beneficio a lungo termine dallo scagliare attacchi preventivi contro le forze iraniane, siriane o di Hezbollah.

Per distruggere la riserva di Hezbollah di circa 150mila missili a corto e medio raggio, in gran parte incorporata nella comunità civile, Israele dovrà effettuare, almeno in parte, bombardamenti a tappeto che potrebbero comportare la morte di decine di migliaia di civili.

Israele, tuttavia, colpirà preventivamente solo se si troverà a fronteggiare una minaccia imminente.

Israele non ha avversione per il regime siriano in quanto tale, e preferirebbe vedere Assad al potere a patto che riesca a limitare lo spazio di manovra dell’Iran, facendogli capire chiaramente che non lascerà che la Siria diventi il campo di battaglia tra Israele ed Iran/Hezbollah.

Per evitare qualsiasi incomprensione ed errore di calcolo, Israele dovrebbe chiarire che vuole stare alla larga dalla guerra in Siria.

Ciò detto, Israele deve ribadire con forza all’Iran e (tramite la Russia) ad Hezbollah che, trovatosi a fronteggiare una qualsiasi minaccia, risponderà con forza imponente e sproporzionata a qualunque provocazione da entrambe le parti.

Israele dovrebbe definire apertamente che cosa possa costituire una “azione provocatoria”, concetto che dalla prospettiva israeliana include la violazione dello spazio aereo, lanciare missili, o l’infiltrazione di terroristi provenienti dal territorio libanese o siriano.

Israele dovrebbe dire chiaramente che qualunque di queste violazioni costituisce una linea rossa che né l’Iran né alcuno dei suoi surrogati possono superare impunemente.

Israele dovrebbe inoltre rendere inequivocabilmente chiaro a Teheran tramite la Russia che distruggerà qualunque base militare vicina al confine, e che, se l’Iran dovesse contrattaccare, Israele non esiterà, come recentemente dichiarato da Netanyahu, a bombardare specifici bersagli sul ruolo iraniano.

In ogni caso, il pubblico israeliano è psicologicamente abituato alla minaccia iraniana e si aspetta che il governo intraprenda qualunque azione necessaria ad infliggere intollerabili danni al nemico.

La Russia è il principale intermediario in Siria, e nessuna soluzione alla guerra civile siriana né instaurazione di alcun nuovo ordine politico tra le varie fazioni può verificarsi senza il suo consenso.

La Russia è presente in Siria da circa 50 anni, quando Mosca ha costruito la sua base navale a Tartus, e ha sempre avuto l’ambizione di riempire il vuoto creato dall’amministrazione Obama, che aveva scelto di stare per lo più fuori dal conflitto in Siria.

Il Cremlino ha colto l’opportunità di andare in aiuto del regime di Assad, che era sull’orlo del collasso, inviando truppe di terra e forze aeree a bombardare molti dei bersagli ribelli e dell’Isis, cosa che ha sensibilmente cambiato le sorti della guerra in suo favore.

La Russia ora usa la sua presenza dominante in Siria come trampolino da cui esercitare una maggiore influenza sul Medio Oriente, una posizione che ha ricercato negli ultimi dieci anni.

Persino Israele, che tradizionalmente attende il via libera degli Stati Uniti prima di intraprendere qualsiasi azione militare significativa, deve ora ricevere il benestare della Russia prima di attaccare le basi militari dell’Iran e di Assad in Siria.

Nonostante la Russia e l’Iran abbiano unito le forze per difendere Assad, la Russia vuole limitare l’influenza iraniana in Siria – in parte perché vuole restare la principale potenza in Siria, e in parte perché vuole evitare uno scontro violento tra Israele e l’Iran per scongiurare un’ulteriore destabilizzazione della Siria, che potrebbe minare i suoi interessi strategici.

Per sicurezza, Putin vuole salvaguardare la speciale posizione della Russia in Siria, ed è determinato ad impedire ad Iran, Hezbollah, Israele e persino agli Stati Uniti di guastare i suoi guadagni e la sua influenza, e non permetterà a nessuno dei suoi antagonisti di intervenire senza cooperare con la Russia.

Pertanto, la Russia si trova in una posizione unica per evitare errori di valutazione che potrebbero portare ad una guerra non intenzionale, e a tale scopo Putin deve stabilire delle norme di d’ingaggio a cui tutti i combattenti debbano aderire, a meno che si trovino davanti ad un’imminente minaccia esistenziale.

Primo, la Russia deve rendere chiaro all’Iran che non gli permetterà di installare alcuna base militare vicino ai confini israeliani.

Secondo, dovrebbe comunicare chiaramente ad Hezbollah che non deve cadere nella tentazione di provocare Israele, dato che a questo proposito la Russia non può impedire ad Israele di mettere in atto rappresaglie su larga scala, le quali potrebbero minare gli interessi strategici di Mosca.

Terzo, Putin deve persuadere la Turchia a fermare le sue incursioni in territorio siriano e distogliere Erdogan dalla sua missione di sottomettere i curdi siriani, cosa che aggraverebbe e prolungherebbe solo il conflitto in Siria.

Putin è convinto che la Turchia voglia mantenere una presenza permanente in Siria: una ricetta per prolungare la violenza tra le forze turche e il YPG, un ulteriore fattore destabilizzante.

Quarto, Putin deve ora cercare di ottenere il coinvolgimento degli Stati Uniti nella ricerca di una soluzione permanente alla guerra civile siriana.

Gli Stati Uniti restano una potenza regionale dominante e, nonostante la Russia sia il principale intermediario in Siria, l’appoggio degli Stati Uniti resta decisivo anche solo per per i suoi stretti legami con Israele, e per il fatto che potrebbero essere trascinati dentro un’eventuale futura guerra tra Israele ed Iran/Hezbollah.

Gli Stati Uniti: tristemente l’amministrazione Trump, che ha ampiamente seguito la politica di Obama nei confronti della Siria, si trova ora a dover fronteggiare una nuova realtà.

Gli Stati Uniti di Trump sembrano non avere una chiara strategia sul come occuparsi del conflitto.

Inoltre, limitare il coinvolgimento diretto americano nel conflitto ai soli tentativi di dissuadere Assad dall’utilizzare armi chimiche contro il suo popolo, come Trump ha fatto una volta in passato, ha avuto poco impatto sul corso della guerra e sul comportamento di Assad, finché ha potuto contare sull’appoggio russo.

L’attuale situazione in Siria è diversa per quattro motivi:

1) il presidente Assad, escluso dall’amministrazione Obama come parte della soluzione, rimarrà certamente presidente e verrà sicuramente “rieletto” non appena si terranno nuove elezioni;

2) il coinvolgimento diretto dell’Iran nella guerra civile siriana e la sua ambizione di radicarsi completamente nel paese è visto da Israele come una minaccia alla sua sicurezza;

3) anche quando la guerra civile finirà, il conflitto fra sette e la rivalità per il potere continueranno a perseguitare il paese per anni, assicurando una destabilizzazione che colpirà gli alleati locali degli Stati Uniti; e

4) gran parte del paese giace in rovina e avrebbe bisogno di decine di miliardi di dollari per la ricostruzione, la quale richiede per necessità la leadership degli Stati Uniti per raccogliere i  fondi necessari.

Per evitare errori di valutazione che possano portare ad una guerra non intenzionale tra Israele ed Iran/Hezbollah, e forse all’accidentale coinvolgimento della Siria, gli Stati Uniti devono:

  • Mantenere la presenza delle truppe americane e dei consulenti inviati in Siria a combattere l’Isis, e aumentare ulteriormente la presenza per fornire agli Stati Uniti l’influenza di cui hanno bisogno per giocare un ruolo importante nella ricerca di una soluzione, in collaborazione con la Russia.

 

  • Riaffermare la propria dedizione alla sicurezza nazionale di Israele. Per di più, nonostante l’attuale coordinazione strategica delle difese dei due stati, l’amministrazione Trump dovrebbe prendere in considerazione di pubblicare un comunicato, seguendo il percorso imboccato col suo impegno nella Nato.
    Gli Stati Uniti dovrebbero dichiarare che ogni grande attacco ad Israele costituirà un attacco agli Stati Uniti. Questo scoraggerebbe certamente l’Iran anche solo al contemplare qualsiasi ampia ostilità nei confronti di Israele.

 

  • Idealmente, Trump dovrebbe focalizzarsi sulla correzione dell’accordo sul nucleare con l’Iran in collaborazione con gli altri cinque firmatari, e farlo attraverso canali diplomatici invece che lanciando un ultimatum in cui minaccia di ritirarsi completamente dallo stesso entro maggio, cosa che acuirebbe semplicemente le tensioni regionali.
    Conoscendo il disprezzo di Trump nei confronti dell’Iran e la sua descrizione dell’accordo come “il peggiore della storia”, potrebbe ancora ritirarsi dal patto. Come minimo, comunque, dovrebbe evitare di ripristinare le sanzioni, in modo che gli altri firmatari abbiano comunque l’opportunità di modificarlo attraverso le negoziazioni.
    Altrimenti, la precipitosa ritirata dall’accordo agiterebbe semplicemente gli iraniani e potrebbe spingerli ad abbandonarlo del tutto, cosa che potrebbe potenzialmente condurre alla proliferazione del nucleare nella zona, che gli Stati Uniti e i loro alleati nell’area vogliono evitare.
    Inoltre, in un momento in cui gli Stati Uniti vogliono negoziare la denuclearizzazione con la Corea del Nord, non dovrebbero revocare unilateralmente l’accordo con l’Iran per poi aspettarsi che la Corea del Nord si fidi della loro capacità di rispettare gli impegni presi.

L’ironia del tutto è che nessuno degli attori coinvolti in modo diretto o indiretto nella guerra civile in Siria vuole esacerbare il conflitto minacciando Israele, che non si fermerà davanti a niente per proteggere la sicurezza nazionale, specialmente se la minaccia è ritenuta esistenziale.

Ogni fazione sa inoltre che, a prescindere da quanti danni potrebbe incassare Israele in una guerra del genere, ne uscirebbe vittorioso, infliggendo livelli di distruzione forse senza precedenti ai suoi nemici.

In ultima analisi, ogni decisione relativa al conflitto si misura in termini di costi e benefici. Non c’è niente che suggerisca che uno qualsiasi degli attori coinvolti preveda di ottenere benefici strategici a lungo termine che potrebbero giustificare una guerra catastrofica.

La guerra potrebbe scoppiare per colpa di errori di valutazione, che possono però essere evitati. La Russia, in particolare, e gli Stati Uniti devono cooperare e fare forti pressioni sui rispettivi clienti per prevenire simili errori.

Leggi anche: L’Iran sta silenziosamente consolidando le sue forze armate in Siria

Articolo a cura di Alon Ben-Meir, traduzione a cura di Noemi Valentini

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