Il suicidio economico di Israele: -20% del Pil pur di distruggere Gaza. E quest’anno chiuderanno migliaia di aziende
La guerra è un buon affare solo per i produttori di armi: solo l'anno scorso le aziende israeliane del settore difesa hanno esportato 13 miliardi di dollari di materiale bellico
Negli ultimi tre mesi del 2023 l’economia israeliana si è contratta di almeno il 20% a causa della guerra in corso nella Striscia di Gaza ma quest’anno 46mila aziende sono già state costrette a chiudere nello Stato ebraico per gli effetti devastanti del conflitto con Hamas, che in tredici mesi ha provocato oltre 43mila morti e più di 101mila feriti. Entro la fine dell’anno però, secondo la società di consulenza israeliana CofaceBdi, avranno chiuso un totale di 60mila imprese in Israele.
“I settori più vulnerabili”, ha spiegato al quotidiano Maariv il direttore di CofaceBdi Yoel Amir, “sono l’edilizia e, di conseguenza, l’intero ecosistema che vi ruota attorno: ceramica, aria condizionata, alluminio, materiali edili, etc. che hanno subito danni significativi”.
Prima della guerra, non a caso, tutti questi comparti impiegavano, spesso, manodopera palestinese. Almeno 193mila persone, per lo più provenienti dalla Cisgiordania (150mila) e dalla Striscia di Gaza (oltre 18mila), secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), erano impiegate in Israele e negli insediamenti dei Territori occupati, con permessi di lavoro speciali.
Ma dopo i brutali attentati compiuti da Hamas e dalla Jihad Islamica in Israele il 7 ottobre 2023, il governo di Tel Aviv ha sospeso o revocato le autorizzazioni concesse ai palestinesi, lasciando centinaia di migliaia di persone senza lavoro ma privando al contempo dei loro dipendenti le imprese, che si sono rivolte a manodopera straniera, spesso proveniente da altri Paesi asiatici come l’India.
Anche il settore del commercio al dettaglio però, secondo CofaceBdi, è stato gravemente danneggiato dal conflitto. “Il 77% delle attività commerciali chiuse dall’inizio della guerra, che ammontano a circa 35mila aziende, erano piccole imprese con un massimo di cinque dipendenti”, ha spiegato sempre Amir a Maariv.
Il conflitto ha inoltre colpito i comparti ad alto valore aggiunto della moda, dell’arredamento, dell’intrattenimento, dei trasporti e del turismo. “Praticamente non c’è quasi più nessun turista straniero in Israele”, ha sottolineato Amir, secondo cui “i danni alle attività commerciali sono stati registrati in tutto il Paese e quasi nessun settore è stato risparmiato”.
Gli unici a guadagnarci sono i produttori di armi. Soltanto l’anno scorso le aziende israeliane della difesa hanno esportato 13 miliardi di dollari di materiale bellico e gli ordini provenienti dal governo di Tel Aviv promettono profitti record quest’anno.