Il ritorno dell’Isis: il gruppo terroristico continua a seminare morte dall’Africa, all’Afghanistan, all’Iran fino in Siria
Due attentati in tre giorni a Kabul, tre agguati in Siria costati la vita a una ventina di soldati del regime di Bashar al-Assad e i sanguinosi attacchi rivendicati in Iran: l’incubo del sedicente Stato Islamico (Isis) non è mai finito.
Malgrado la sconfitta sul campo in Iraq e Siria e il crollo del cosiddetto Califfato instaurato a cavallo dei due Paesi tra il 2014 e il 2017, l’Isis può ancora contare su una serie di gruppi terroristici tra loro affiliati attivi soprattutto in Afghanistan, Iraq, Siria, Egitto, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Repubblica Centroafricana, Uganda e Mozambico. Ma è in Medio Oriente che all’inizio di questo 2024 ha concentrato i suoi attacchi, provocando già un centinaio di morti.
Afghanistan senza pace
L’ultimo è avvenuto ieri, martedì 9 gennaio, a Kabul ed è costato la vita ad almeno tre persone e il ferimento di altre quattro. Come annunciato su X dal portavoce della polizia della capitale afghana, dove dal 2021 sono tornati al potere i talebani, un ordigno è stato fatto esplodere sul ciglio di una strada nella parte orientale della città e la detonazione ha investito un minibus di passaggio.
Le autorità affermano di aver arrestato un sospetto mentre l’Isis rivendicava su Telegram di aver “fatto esplodere un ordigno contro un veicolo che trasportava dipendenti della prigione di Pul-e-Charki” di Kabul, uno dei più grandi penitenziari del Paese. Si tratta già del secondo attentato compiuto in tre giorni nella capitale afghana e attribuito all’Isis.
Domenica 7 gennaio infatti un’altra esplosione, sempre rivendicata dal sedicente Stato Islamico, aveva provocato un morto e cinque feriti a bordo di un autobus nel quartiere Dasht-e-Barchi, prevalentemente abitato dalla comunità sciita Hazara. Nello stessa zona, un altro attacco eseguito dall’Isis a novembre scorso con le medesime modalità era costato la vita a sette persone. Ma non finisce qui.
Siria: la guerra infinita
Il gruppo continua a mietere vittime anche in Siria. Secondo quanto riportato ieri dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, “14 membri delle forze del regime sono stati uccisi in un sanguinoso attacco da parte di membri dell’Isis contro un autobus militare nel deserto di Palmira”, nella provincia di Homs. L’attentato è stato confermato anche dal ministero della Difesa siriano, che in un comunicato ha però riportato “solo” 8 morti. Altri due soldati sono invece rimasti uccisi nelle stesse ore in uno scontro a fuoco avvenuto nel deserto a ovest di Raqqah, dove un’unità militare del regime è caduta in un’imboscata rivendicata dal sedicente Stato Islamico.
In questo caso si tratta almeno del terzo attacco compiuto dall’Isis dall’inizio dell’anno: il 1° gennaio infatti, sempre secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un altro agguato rivendicato dal gruppo terroristico è costato la vita a 9 tra soldati e membri delle milizie fedeli al regime di Bashar al-Assad. Ma il più sanguinoso è avvenuto in Iran.
Gli attentati di Kerman
L’Isis ha infatti rivendicato il duplice attentato suicida compiuto il 3 gennaio scorso nel cimitero di Kerman durante una cerimonia in ricordo del generale Qassem Soleimani, ucciso quattro anni prima in un attacco ordinato da Donald Trump a Baghdad. Secondo le autorità iraniane, almeno 89 persone sono morte e 248 sono rimaste ferite.
In totale, secondo la procura di Kerman, sono state arrestate 32 persone sospettate di complicità negli attentati mentre sono state rinvenute altre 16 bombe potenti almeno quanto gli esplosivi usati dai terroristi del 3 gennaio. Nei mesi precedenti inoltre, sempre secondo la magistratura iraniana, erano stati arrestati almeno 23 membri dell’Isis pronti a compiere attentati in Iran.
Una minaccia ancora presente
Insomma, il sedicente Stato Islamico sembra tutt’altro che sconfitto. Secondo le ultime stime dell’Onu, risalenti alla prima metà dell’anno scorso, il gruppo può contare ancora su un numero compreso tra 5 e 7mila combattenti solo in Siria e in Iraq e tra i 4 e i 6mila in Afghanistan. Per gli esperti del panel del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la sfida posta dall’organizzazione è rimasta “per lo più elevata nelle zone di conflitto e bassa in quelle non di conflitto”.
Tuttavia, nell’ultimo rapporto pubblicato ad agosto dal Centro nazionale antiterrorismo degli Stati Uniti si legge che la minaccia rappresentata dall’Isis (e da al-Qaeda) “è al livello più basso” mai registrato, “grazie alla repressione dei suoi elementi più pericolosi”.
Dall’inizio del 2022 infatti il gruppo ha perso ben tre leader, tutti uccisi in attacchi compiuti dagli Stati Uniti, e almeno altri 13 “dirigenti di alto livello”, “contribuendo alla perdita di competenze e al calo degli attacchi in Medio Oriente”. Gli attentati delle ultime settimane mostrano però la capacità di adattamento dell’organizzazione terroristica, che continua a seminare morte in tutto il mondo.
Il pericolo maggiore comunque, secondo gli Usa, riguarda l’Africa dove sono attivi almeno metà dei gruppi affiliati all’Isis, “pronti per un’ulteriore espansione”. Guai ad abbassare la guardia.