Iran, telecamere nei luoghi pubblici per identificare le donne senza velo
Nuova stretta alle libertà individuali in Iran: le autorità installeranno telecamere nei luoghi pubblici per identificare le donne che violano la legge sull’hijab, che dispone di coprire interamente i capelli. Moltissime negli ultimi mesi hanno sfidato il codice di abbigliamento in protesta contro la morte di Mahsa Amini, la giovane uccisa mentre era in custodia della polizia per una ciocca di capelli che le spuntava dal velo.
Da quel giorno un numero crescente di donne ha abbandonato il velo, in particolare nelle città più grandi del Paese, nonostante il rischio di arresto. Dopo che le “ribelli” saranno identificate – ammonisce la polizia tramite l’agenzia di stampa statale Tasnim – riceveranno messaggi di avvertimento con informazioni circa l’ora e il luogo specifici in cui avevano “violato” la legge. Una sorta di Grande Fratello che potrebbe portare all’arresto di moltissime persone a Teheran e non solo. “Nel contesto della salvaguardia dei valori, della protezione della privacy familiare e del mantenimento della salute mentale e della tranquillità della comunità – riferisce l’agenzia – non sarà tollerato alcun tipo di comportamento individuale o collettivo contro la legge”.
In Iran le donne sono state legalmente obbligate a coprirsi i capelli con un hijab da quando la rivoluzione islamica del 1979 ha introdotto un’interpretazione più rigorosa della legge religiosa. Un video diventato virale all’inizio di questo mese mostra un uomo che lanciava yogurt su due donne che girano col capo scoperto: tutti e tre i protagonisti del filmato sono stati arrestati. Sabato scorso il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha ribadito che le donne iraniane devono indossare l’hijab come “necessità religiosa”.
Il capo della magistratura iraniana Gholamhossein Mohseni-Ejei ha però fatto notare che un sistema di repressione capillare potrebbe non essere il modo migliore per incoraggiare le donne a seguire le regole: “I problemi culturali – ha detto – devono essere risolti con mezzi culturali. Se vogliamo risolvere tali problemi arrestando e reprimendo, i costi aumenteranno e non vedremo l’efficacia che desideriamo”.