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Home » Esteri

Iran, i lavoratori del settore petrolifero entrano in sciopero e protestano contro l’hijab obbligatorio

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Alla fine della quarta settimana di proteste che hanno travolto l’Iran dalla morte di Mahsa Amini, dopo le manifestazioni, le mobilitazioni studentesche e gli scioperi in Kurdistan, entrano in gioco i lavoratori del settore petrolifero, pilastro economico del regime. Era già arrivato un avvertimento dal sindacato nei giorni scorsi: “Smetteremo di lavorare e ci uniremo al popolo se continuerete ad uccidere ed arrestare le persone che protestano contro l’hijab obbligatorio”. Ma la repressione ha continuato a fare vittime, arrivando a 185 morti, di cui di 19 bambini.

Ieri hanno avuto luogo 16 manifestazioni in 11 province diverse. Oltre 1.000 lavoratori del petrolchimico di Asalouyeh, nella provincia di Bushehr, hanno partecipato a scioperi e proteste di solidarietà contro il regime. I lavoratori di Asalouyeh avrebbero bloccato le autostrade, incendiato alcune strutture dell’impianto petrolchimico e scandito slogan rivoluzionari, tra cui “questo è l’anno del sangue, Khamenei sarà rovesciato”. Anche i lavoratori della raffineria di Abadan, nella provincia di Khuzestan, hanno partecipato a scioperi e proteste contro il regime.

Il Council of Oil Contract Workers ha affermato che 4.000 lavoratori del settore hanno partecipato agli scioperi del 10 ottobre, anche in diverse altre raffinerie lungo il Golfo Persico. Il consiglio ha invitato a ulteriori proteste e scioperi in tutto l’Iran, esortando i manifestanti a “prepararsi a scioperi nazionali e spaccaschiena”. La lotta politica contro l’oppressione delle donne è stata affiancata alle rivendicaizoni economiche. Nel comunicato dei lavoratori si può leggere: “Sosteniamo la battaglia del popolo contro i crimini commessi sulle donne e la povertà crescente”.

L’annuncio di scioperi prolungati permettono alle proteste di fare un salto qualitativo. Bloccando la produzione i lavoratori possono mettere il regime in ginocchio, mettendo sul tavolo la questione del potere e di chi lo detiene. In altre città la presenza di forze dell’ordine ha portato a situazioni quasi insurrezionali, come è stato a Sanandaj, la capitale del Kurdistan, diventata simile ad una zona di guerra.

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