L’Iran tra sanzioni Usa e Coronavirus: una morsa che rischia di portare il paese al collasso
L’Iran tra sanzioni Usa e Coronavirus: una morsa che rischia di portare il paese al collasso
L’utilizzo di sanzioni da parte delle amministrazioni Usa nei confronti dell’Iran ha inizio nel 1979. Con l’insediamento di Trump le sanzioni hanno impattato profondamente sull’economia iraniana, sul commercio europeo e sulla gestione dell’emergenza Coronavirus. Nell’arena internazionale, la creazione della Repubblica Islamica nel 1979 rappresentò una rottura degli assetti regionali. L’ascesa al potere dell’Ayatollah Khomeini mise in discussione il ruolo geopolitico dell’Iran, che fino a quel momento rimase pressoché stabile all’interno dell’area medio orientale. Dopo il crollo dello Shah e l’assalto all’ambasciata americana di Tehran da parte di un gruppo di studenti iraniani, i rapporti tra Stati Uniti ed Iran si inasprirono. Il Presidente Carter rispose congelando parte degli investimenti iraniani depositati nelle banche statunitensi. Durante gli anni Ottanta e Novanta i rapporti bilaterali tra Iran e Stati Uniti furono negativamente influenzati dalla guerra tra Iran e Iraq e da quella del Golfo. Nel 1982 l’amministrazione Reagan, inserì l’Iran nella lista dei paesi accusati di finanziare gruppi terroristici.
Nei primi anni Novanta con la presidenza Clinton si diede inizio ad un’escalation di misure restrittive. Proprio a seguito dell’invasione dell’Iran da parte dell’Iraq, il Congresso Americano approvò nel 1992 la “Iran-Iraq Arms Nonproliferation Act” che impediva l’acquisizione all’Iran e all’Iraq di beni o tecnologie volti allo sviluppo di armi nucleari o chimiche e successivamente l’Iran venne dichiarato “stato canaglia” poiché ritenuto legato al terrorismo. Nonostante le pressioni sul paese, nel 1995 l’Iran registrò un aumento degli investimenti esteri nel settore energetico (che tuttora genera il 20 per cento del Pil) . Questo incremento mise in allarme gli Stati Uniti che in risposta vararono nel 1996 la “Iran and Libya Sanction Act – ILSA”. Questo atto mirava a sanzionare le imprese straniere che investivano cifre superiori a 20 milioni di dollari nel settore petrolifero.
Dai primi anni 2000, l’Iran è posto al centro dell’attenzione internazionale a causa della questione dell’arricchimento dell’uranio”, dopo che alcuni dissidenti svelarono l’esistenza di due importati impianti per la produzione di energia nucleare. Il primo intervento della comunità internazionale sul caso del nucleare iraniano si ebbe nel 2006. Con la risoluzione Onu n. 1737 si mettevano al bando tutti i materiali legati all’attività nucleare e si congelavano tutti i beni sia di singoli che di compagnie, collegabili a queste attività. Dal 2007 le misure si sono fatte ancora più severe: sono stati esplicitati e resi noti tutti nomi sia di società e che di personalità collegati al regime, pronti per essere banditi.
L’insediamento di Trump
Con la presidenza Rouhani, nel 2013 si ebbe una momentanea fase di dialogo con l’Occidente ed in particolare con gli Stati Uniti guidati da Obama. L’amministrazione infatti si impegnò per una efficace collaborazione con l’Iran sopratutto per ciò che riguardava il programma sul nucleare. Il 14 luglio 2015 tra i “P5+1” e l’Iran si firmò il “piano d’azione congiunto” noto come JCPOA, che regolamentava l’acquisizione di energia nucleare iraniana. La firma dell’accordo comportò anche la sospensione di tutte le sanzioni “secondarie”, quelle cioè relative solo al programma nucleare, mentre le altre rimanevano in forza. L’iniziale periodo di collaborazione tra i due paesi, venne interrotto con la vittoria elettorale di Donald Trump. L’8 maggio 2018 il Presidente Trump annunciò il ritiro degli Usa dall’accordo, ritenendolo pessimo e non garante dei principali interessi economici americani. La decisione del presidente faceva parte della più ampia strategia di “massima pressione” sul paese. Essa aveva e continua ad avere tutt’ora, l’obiettivo di destabilizzare economicamente e politicamente il paese.
A questo proposito, subito dopo il ritiro dall’accordo, Trump decise di re-introdurre quelle sanzioni sospese in precedenza da Obama nel 2015 a seguito della firma dell’accordo. Queste sanzioni colpirono pesantemente innumerevoli settori dell’economia iraniana come il settore dell’aviazione, quello degli investimenti esteri e l’esportazione di petrolio. L’obiettivo principale era quello di portare a zero l’esportazione di petrolio e di distruggerne l’economia. Negli anni le sanzioni ebbero pesanti conseguenze sul volume delle esportazioni di petrolio. A partire dal 2018, il paese perse oltre 10 milioni di proventi. La vendita giornaliera di barili che ammontava a circa due milioni e mezzo, con l’introduzione delle sanzioni calò a poco più di trecentomila. In futuro, il danno economico si prospetta ancora maggiore se si considera che l’economia è oggi in grave recessione e dal 2018 la crescita del Pil è diminuita del 4 per cento.
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Le polemiche europee
L’approccio dell’Unione europea riguardo le sanzioni americane all’Iran è stato di tipo critico. L’Unione ebbe la percezione che le sanzioni avrebbero scoraggiato di molto il commercio bilaterale tra imprese europee e quelle iraniane, con effetti negativi sul volume dei commerci. A seguito dell’imposizione delle sanzioni infatti, esso subì gravi perdite. Secondo i dati, nei primi due mesi del 2019 le importazioni dall’Iran sono diminuite dell’87 per cento mentre le esportazioni verso il paese del 60 per cento. Al fine di preservare le relazioni commerciali, il Regno Unito, Francia e Germania diedero vita ad un innovativo strumento finanziario che prese il nome di INSTEX. Questo meccanismo, che si presenta come un intermediario finanziario tra Ue ed Iran, consente alle imprese e alle banche dell’Unione di continuare a commerciare con il paese.
Oggi infatti la sopravvivenza del commercio bilaterale tra Ue e Iran è ancora di più una necessità, visto anche il recente scoppio della pandemia da COVID-19. Proprio qualche settimana fa infatti, l’Unione ha attivato per la prima volta il meccanismo INSTEX per aiutare l’Iran nella lotta al Coronavirus. Con lo scoppio della pandemia infatti l’Iran sta avendo difficoltà ad importare il materiale sanitario necessario per fronteggiare la crisi sanitaria. Le attrezzature mediche come ventilatori e mascherine sono difficili da reperire e le sanzioni americane ne rendono difficile anche il processo di produzione “in casa”.
Per agevolare l’Iran a reperire materiale sanitario l’Unione europea sta infatti chiedendo agli Stati Uniti di allentare la pressione economica. Molti degli aiuti medici ed umanitari che la comunità internazionale invia ai paesi in situazioni di emergenza, l’Iran non li può ricevere a causa delle sanzioni. Oggi è quindi evidente quanto l’impatto delle sanzioni americane si intrecci con quello del Coronavirus. Il paese sta affrontando una delle più gravi crisi in cui quella sanitaria si somma ad una economica, rischiando di portare l’intero sistema al collasso.
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