Iran: impiccato il decimo manifestante dalle proteste scoppiate nel 2022 per la morte di Mahsa Amini
L'esecuzione del 34enne Reza Rasaei, arrestato nel novembre di due anni fa e condannato per l'omicidio un membro dei Pasdaran grazie a una confessione estorta sotto tortura, è la decima dallo scoppio delle rivolte per la morte di Mahsa Amini
Reza Rasaei, un 34enne arrestato durante le proteste scoppiate nel 2022 in Iran per l’uccisione di Mahsa Amini, è stato impiccato questa mattina nella città di Sahneh, nella provincia di Kermanshah, nell’ovest del Paese. È il decimo manifestante condannato a morte e ucciso dalle autorità della Repubblica Islamica dall’inizio delle contestazioni per la morte della ragazza di origini curde deceduta nel settembre di due anni fa dopo essere stata arrestata perché non indossava correttamente il velo.
Rasaei, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa della magistratura iraniana Mizan, era stato arrestato nel novembre del 2022 e condannato a morte nell’ottobre scorso con l’accusa di aver ucciso un membro delle Guardie Rivoluzionarie durante un processo definito “gravemente iniquo” da Amnesty International. Prima dell’esecuzione al giovane è stata negata persino la possibilità di incontrare la sua famiglia, a cui le autorità hanno vietato di seppellire la salma nella sua città d’origine, imponendone la sepoltura in una località remota.
Un processo iniquo
Rasaei era stato arrestato il 24 novembre 2022 a Shahriar, nella provincia di Teheran, dall’unità investigativa della polizia iraniana (Agahi) e successivamente trasferito in un centro di detenzione a Sahneh, dove il 18 novembre durante una protesta era rimasto ucciso un membro delle Guardie Rivoluzionarie, il colonnello Nader Bayrami. Secondo Amnesty International, per estorcergli una confessione, il giovane avrebbe subito diverse forme di tortura, tra cui scosse elettriche, soffocamento con un sacchetto di plastica e percosse.
Trasferito successivamente nel carcere di Dizel Abad, nella provincia di Kermanshah, Rasaei ha incontrato il suo avvocato per la prima volta soltanto al processo, in cui si è sempre professato innocente e che si è svolto in sole tre udienze, l’ultima tenuta il 21 settembre dell’anno scorso.
Malgrado la dichiarazione di non colpevolezza, denuncia Amnesty, i giudici della seconda sezione della Prima Corte penale provinciale hanno ammesso in aula come prova le “confessioni” estorte al giovane sotto tortura, ignorando del tutto le denunce di maltrattamenti dell’imputato e la sua ritrattazione. Su questa base, il 7 ottobre scorso, il tribunale ha dichiarato Rasaei colpevole di omicidio e l’ha condannato a morte.
Secondo il verdetto, confermato a gennaio dalla Corte Suprema iraniana, il 34enne avrebbe contribuito a provocare la morte dell’agente durante le proteste, motivo per cui è stato anche condannato per “disturbo dell’ordine pubblico” a 74 frustate.