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Iran, il premio Nobel per la pace Narges Mohammadi picchiata in carcere: “Protestava contro l’esecuzione di un manifestante delle proteste del 2022”

Immagine di copertina
Credit: Narges Foundation

L'amministrazione penitenziaria iraniana ha smentito la ricostruzione della famiglia, affermando che nessuna delle detenute è stata picchiata ma che sono state le prigioniere stesse ad aver aggredito le guardie

Il premio Nobel per la pace 2023, Narges Mohammadi, imprigionata dalle autorità iraniane dal novembre 2021, è stata picchiata dalle guardie della sezione femminile del carcere di Evin, a Teheran, per aver partecipato a una protesta contro l’esecuzione di Reza Rasaei, il 34enne arrestato nel 2022 durante le contestazioni per la morte di Mahsa Amini e impiccato questa settimana dopo un processo farsa.

“Per mesi, le donne nel reparto della prigione di Evin hanno protestato attivamente contro le esecuzioni in Iran”, ha denunciato ieri in una nota la famiglia Mohammadi, che cita le dichiarazioni ricevute da altri prigionieri e dai loro parenti. “Dopo l’esecuzione di Reza Rasaei, diverse detenute si sono riunite nel cortile del carcere per esprimere il proprio dissenso, scandendo slogan contro la pena di morte”.

L’esecuzione del 34enne, arrestato nel novembre di due anni fa e condannato per l’omicidio di un membro dei Pasdaran grazie a una confessione estorta sotto tortura, è avvenuta il 6 agosto scorso ed è stata la decima di un manifestante imprigionato dopo lo scoppio delle rivolte del settembre 2022 per l’uccisione della giovane di origini curde, arrestata per non aver indossato correttamente il velo, obbligatorio per tutte le donne nella Repubblica Islamica. La morte di Rasaei, secondo l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani, segna anche la 345esima condanna a morte eseguita in Iran dall’inizio dell’anno.

Nella stessa giornata dell’esecuzione del giovane dimostrante, le detenute di Evin hanno manifestato la propria solidarietà alla vittima. Inoltre l’attivista premio Nobel e altre prigioniere “hanno protestato contro le porte chiuse che impedivano ai detenuti in condizioni critiche di essere ricoverati nell’infermeria della prigione”. A questo punto, secondo la ricostruzione della famiglia, “hanno tentato di portare in infermeria le persone bisognose di cure mediche urgenti”. Ma le autorità sono intervenute per impedirlo.

“La protesta delle detenute contro l’esecuzione di Reza Rasaei ha portato a una violenta repressione da parte delle guardie carcerarie e degli agenti di sicurezza”, si legge nel comunicato della famiglia Mohammadi. “È stato dato l’ordine di aggredire i manifestanti. Diverse donne sono state picchiate duramente, provocando loro lesioni fisiche e svenimenti”.

Durante la protesta, Rana Korkor, sorella del condannato morte Mojtaba Korkor, Sarvenaz Ahmadi e la stessa Narges Mohammadi hanno avuto un mancamento. Secondo la famiglia, il premio Nobel ha ricevuto ripetuti pugni al petto, che le hanno provocato un improvviso attacco di “insufficienza respiratoria” e “un intenso dolore” e l’hanno fatta svenire nel cortile della prigione.

L’amministrazione penitenziaria iraniana, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa della magistratura Mizan Online, ha smentito la ricostruzione, affermando non solo che nessuna delle detenute è stata picchiata ma che sono state le prigioniere stesse ad aver aggredito alcune guardie.

L’attivista 52enne per i diritti umani è stata medicata nell’infermeria del carcere ma non è stata ricoverata in ospedale. “Siamo profondamente preoccupati per lo stato di salute di Narges Mohammadi”, hanno denunciato i familiari.

Il premio Nobel per la pace ha trascorso gran parte dell’ultimo decennio in carcere. La sua famiglia, residente a Parigi, ricorda di non aver più avuto alcun contatto diretto con Narges Mohammadi da novembre, quando le autorità iraniane le hanno revocato il diritto di telefonare. Malgrado la lunga detenzione e i problemi di salute, Mohammadi ha continuato la sua lotta per i diritti umani in Iran, sostenendo in particolare le proteste scoppiate in tutto il Paese a partire dal settembre del 2022 dopo l’uccisione di Mahsa Amini.

Soltanto a giugno, l’attivista è stata condannata a un altro anno di carcere per “propaganda contro lo Stato”, un’accusa che si aggiunge a tutte le altre per cui deve scontare 12 anni e 3 mesi di reclusione e 2 anni di esilio, subire 154 frustate e una serie di altre sanzioni amministrative e limitazioni dei diritti politici.

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