Iran: la poetessa baha’i Mahvash Sabet, sottoposta a un intervento chirurgico a cuore aperto, dovrà tornare nel carcere di Evin per scontare la sua pena
La scrittrice e poetessa iraniana 71enne di fede baha’i, Mahvash Sabet, recentemente sottoposta a un intervento chirurgico a cuore aperto, dovrà tornare nel carcere di Evin, dove è rinchiusa anche la giornalista Cecilia Sala, per scontare, dopo 13 anni di reclusione, il resto della pena a dieci anni inflittale nel 2022.
La denuncia arriva dalla rappresentanza in Francia della minoranza religiosa perseguitata dalla Repubblica islamica, che chiede il rilascio “immediato e incondizionato” di Sabet, nonché “la cancellazione della sua pena detentiva e la garanzia da parte delle autorità iraniane che non tornerà mai più in prigione”.
Esclusa dall’insegnamento nel 2006 a causa della sua fede, prima di essere arrestata due anni dopo a Mashhad e imprigionata per un decennio nel famigerato carcere di Evin insieme ad altri sei colleghi, Mahvash Sabet faceva parte di un’associazione informale di autogoverno della comunità baha’i.
Insignita nel 2017 del premio “International Writer of Courage” dall’associazione mondiale degli scrittori Pen International, la poetessa iraniana fu rilasciata nel 2018, per poi essere nuovamente arrestata nel luglio del 2022 perché accusata di “partecipare a gruppi che agiscono contro la sicurezza nazionale” e di “diffusione della corruzione sulla terra”.
Allora, secondo i medici citati dalla Comunità Internazionale Baha’i, Mahvash Sabet soffriva le conseguenze di una grave infezione da Covid-19 e di altri problemi di salute, tra cui “osteopenia, osteoporosi e tendinite”, oltre che di “una grave forma allergica di asma e di bronchite cronica”, tutte condizioni che, “vista la progressione della sua malattia, che richiede visite ripetute”, le rendono “molto difficile tollerare le condizioni carcerarie, che porterebbero ad un rapido peggioramento delle sue patologie”. Malgrado queste valutazioni mediche, secondo cui la poetessa iraniana “non è in grado di sopportare la pena”, nel dicembre di quell’anno fu ugualmente condannata ad altri 10 anni di reclusione.
Le condizioni della sua detenzione furono denunciate dalla Premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, che rivelò al mondo il suo incontro del gennaio 2023 nel carcere di Evin: “Mahvash era lì, tossiva molto, era pallida e indossava ancora gli abiti estivi che aveva addosso quando era stata arrestata il 31 luglio”.
Nell’aprile dello stesso anno poi, come raccontato da un’altra attivista, la compagna di carcere Faezeh Hashemi, figlia del defunto presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, durante un interrogatorio nella prigione di Evin, i suoi carcerieri le frantumarono le ginocchia contro un muro, un infortunio da cui fu costretta a riprendersi all’interno delle mura del penitenziario, senza la possibilità di rivolgersi a strutture sanitarie esterne.
Alla fine del 2024, invece, Mahvash Sabet è stata sottoposta a un intervento chirurgico a cuore aperto, da cui si sta ancora riprendendo. Oggi, denuncia la comunità baha’i, dopo più di 13 anni di interrogatori, di reclusione e di soprusi fisici ed emotivi da parte delle autorità iraniane, la poetessa “si sta riprendendo da un intervento cardiochirurgico causato da anni di negligenza e abusi medici”.
“Alla signora Sabet sono già state ripetutamente negate le cure mediche adeguate durante la sua detenzione, nonostante i gravi e crescenti problemi di salute”, si legge nel comunicato della rappresentanza in Francia della minoranza religiosa. “Dopo l’operazione al cuore, la signora Sabet sarà rimandata molto presto nella prigione di Evin per scontare il resto della sua pena, quasi altri otto anni dietro le sbarre. La Comunità Internazionale Baha’i insiste affinché la sua pena detentiva venga annullata e che venga rilasciata”.
“La signora Sabet soffre di gravi problemi di salute da anni e non ha ricevuto le cure mediche di cui ha bisogno. Invece, il governo (dell’Iran, ndr) l’ha messa in isolamento, sottoponendola a lunghi e violenti interrogatori”, ha spiegato in una nota Simin Fahandej, rappresentante della Comunità Internazionale Baha’i presso le Nazioni Unite a Ginevra. “La signora Sabet non avrebbe mai dovuto essere incarcerata e, una volta messa a confronto con le condizioni igieniche del carcere, avrebbe dovuto essere rilasciata. Il governo iraniano deve ora correggere questa situazione e rilasciarla immediatamente in modo che possa ricevere le cure di cui ha bisogno circondata dalla sua famiglia”.
Teheran garantisce la libertà di culto alle minoranze non musulmane, tra cui cristiani, ebrei e zoroastriani, ma non ai seguaci della fede bahai, una religione monoteista fondata all’inizio del XIX secolo proprio in Iran. La storica sede mondiale dei baha’i si trova a Haifa, in Israele, e anche per questi i seguaci di questa fede sono spesso accusati di “spionaggio” a favore dello Stato ebraico, considerato un nemico giurato dalla Repubblica islamica.
Secondo le Nazioni Unite, almeno 70 persone di fede baha’i si trovano attualmente in carcere in Iran e altri 1.200 stanno affrontando procedimenti legali ai sensi delle leggi in vigore nella Repubblica islamica. Lo scorso aprile l’organizzazione statunitense per i diritti umani Human Rights Watch ha denunciato la persecuzione di questa minoranza in Iran definendolo un “crimine contro l’umanità”.